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Gucci Osteria: Firenze, vista mondo

Tra signature e nuovi piatti, Karime Lopez conferma la grazia e l'identità multiculturale della sua cucina

gucci osteria

Quando collidono due mondi dalle identità così forti e risplendenti (diciamo anche ingombranti) – come sono quelli di Gucci e di Massimo Bottura – il rischio è che si continui a considerare i singoli fattori e mai la risultante. Così siamo tornati a Firenze, in una situazione estiva di ormai quasi normalità ma senza gli eccessi dell’overtourism, e ci siamo accomodati nel più scenografico dei dehors, quello del Gucci Garden su Piazza della Signoria, davanti a Palazzo Vecchio e al lato B della Fontana del Nettuno.

E qui abbiamo avuto prova che Gucci Osteria, a due anni e mezzo dall’apertura, è nel frattempo diventato “semplicemente” un grande ristorante con una bella e precisa personalità, calato perfettamente nella scena cittadina con allure globale. Non più solo lo spazio gastronomico della maison, secondo lo stile del visionario direttore creativo Alessandro Michele, non più solo l’estensione giocosa e casual dell’universo dello chef già numero uno al mondo.  A Firenze c’è un team che lavora con energia e affiatamento, capitanato dall’ottima Karime Lopez, interprete di una cucina capace di trasmettere sensibilità, rispetto e bellezza – secondo la lezione del suo maestro modenese – che ha meritato lo scorso anno la stella Michelin (prima chef donna messicana ad averla ricevuta). Una cucina policroma che si conferma “di” e “in” viaggio: tra il Messico suo paese d’origine, il Perù e la Spagna palestre di formazione, il Giappone del compagno di vita (e prima anche di fornelli all’Osteria Francescana) Takahiko “Taka” Kondo. E soprattutto l’Italia, paese d’adozione, di cui la Lopez conosce sempre più e meglio le produzioni regionali e gli orti locali e di cui si “nutre” avidamente per continuare a integrare tradizioni nelle (sue personali) tradizioni e per costruire nuove memorie (gastronomiche). 

Dunque ecco i signature, irrinunciabili: da una parte la Tostada di mais viola con la palamita marinata, che resta giustamente la sua espressione più rappresentativa, costruita su di un equilibrio perfetto di sapori e consistenze, perché parla fortissimamente messicano ma è tutta italiana negli ingredienti; dall’altra i Tortellini in crema di Parmigiano Reggiano (bestseller anche alla Franceschetta58 di Modena), piatto da ordinare sempre, in qualsiasi stagione, con qualsiasi clima, tanto è buono e comfort.  Ma ci sono anche i nuovi ingressi nel menu (presentato sull’ormai iconico cartoncino rosa): la Panzanella garden, versione inedita di un tormentone toscano, racchiusa in un cannolo di fette di cetriolo, che spinge ancora di più sulla freschezza, grazie al gazpacho; poi le linguine, capperi e vongole (E che cappero!), elegante sintesi di Mediterraneo dalla voluttuosa mantecatura; e ancora la delicata Razza con taccole e radice arrostita, piatto che mostra il calibro nelle cotture e, più in generale, tutto il garbo e la godibilità del suo stile. 

Infine la pasticceria, da sempre un pallino della chef, che oggi è tornata a seguire personalmente. I dessert, poco dolci, sono risolti sulla giusta acidità, la nitidezza dei sapori e la sublimazione di frutti estivi, in presentazioni così eleganti e leggiadre come solo al Gucci Garden se ne possono vedere: la Collina dei ciliegi e Pesca & rosmarino – abbelliti da petali e farfalle, dettagli artigianali che richiedono molto tempo e molto impegno – sono due esempi del fecondo dialogo, anche dal punto di vista estetico, tra la cucina e la casa di moda. Menzione d’obbligo per la sala, guidata con ritmo, disinvoltura e intuito dal giovane Damiano Barbato (con la Lopez condivide la passata esperienza in un ristorante di Virgilio Martinez, nel suo caso il Lima a Londra), che trova il giusto tono di voce per accompagnare ed esaltare un’esperienza contemporanea su un palcoscenico rinascimentale.

foto Gucci Osteria