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Riccardo-Felicetti

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Il Trentino di Riccardo Felicetti

Mille, non più mille

Testo estratto dal numero speciale Italianissimo: 20 (+1) racconti d’autore per 20 regioni

D’un tratto mi sono accorto che attorno a me c’è una riga invisibile, come quelle che tracciano le maestranze nelle case in costruzione: a mezz’aria. È la linea dei Mille Metri slm, sul livello del mare, come si dice.
Il mare, qui sulla linea immaginaria dei mille metri, è verde, e ondeggia e mareggia e bonaccia come il mare blu: e come il mare blu diventa nero, a volte. Come quando d’improvviso si fece buio, un brutto giorno di ottobre, e la linea dei mille metri venne spazzolata da un assurdo vento a oltre duecento chilometri all’ora. Nemmeno nelle discese più ardite a sci uniti, giù dalla Gran Risa o dalla Mediolanum al Passo Lusia, ho sentito il vento in faccia a duecento all’ora, e lo posso solo immaginare. E temere. Vaia è l’uragano appeso alla linea dei mille metri.

Ecco, su quella linea si srotola la spina dorsale della mia
vita: il Pastificio sta lì, metro più metro meno, e dalle sue finestre posso vedere questo mondo svolgersi in verticale. Nelle giornate in cui pare che l’universo congiuri per farti sospirare, capita di guardare fuori e il mondo in verticale ti porta altrove: un altrove fatto di sole, di fatica e di sorrisi. Questa è la sintesi che vorrei portare con me, su quella linea: il sole abbagliante delle giornate belle, dopo la neve; la fatica di vivere la montagna, dove non cammini mai in piano e il fiato si spezza anche per spostarsi da qui a lì, e i sorrisi della gente che ti ripagano di tutto. 
È una linea che divide il mondo in due, il sopra e il sotto, ma resta il riferimento quotidiano, il cardine attorno a cui ruotano i fogli del calendario.

Ed è proprio scorrendo i fogli, uno a uno, che scopro che oltrepassare la linea è una specie di partenza, l’inizio di un nuovo viaggio, e che lì attorno posso snodare i giorni importanti e quelli normali, come gli antichi schedari rotanti da scrivania. Ogni volta che parto, scendo al di sotto dei mille: è lì che finisce ogni stilla del lavoro che svolgo. E da lì risalgono gli input necessari all’evoluzione, al cambiamento, all’invenzione. Scendo, parto: e vado per le terre valicando un confine verticale che mi porta in un sistema di riferimento differente, nel quale le distanze non sono più dislivelli ma linee.

La maggior parte delle relazioni si svolge per linee orizzontali, parallele all’orizzonte, e l’orizzonte è la linea gemella che segna il confine – da raggiungere, da superare – dei miei pensieri, dei miei progetti e in qualche occasione anche dei miei sogni. Eppure è necessario, anzi indispensabile – anche se non ancora sufficiente – abbandonare quella linea di galleggiamento e navigare in altri mari, di nuovo ondeggianti, di nuovo agitati o misteriosamente silenziosi: i gialli campi di grano, le grigie autostrade. È da quelle parti che vado per raccontare la Vera Storia del Pastificio a Mille Metri sul Livello del Mare: che è poi la storia di uomini che vivono in verticale, in una dimensione che è riservata alle genti di montagna.

È la linea dell’incredulità, peraltro ormai superata con la forza della comunicazione contemporanea. Della narrazione, come a volte oso dire. Perché era la domanda “tòpica” di qualche decennio fa, quando si cercava di trasformare il concetto del Pastificio in montagna in qualcosa di compatibile con il sistema di riferimento della pasta. Ricordo una bellissima conversazione, in una delle tante occasioni in cui ci prodigavamo per raccontare la nostra idea di pasta. Andò più o meno così: “Scusi signor Felicetti, ma a Predazzo c’è il grano?!?” Risposta: “No, ma c’è l’acqua e quella non possiamo trasportarla!”.

Ci sono episodi che marcano il passo della vita di montagna, oltre il quotidiano: momenti che si iscrivono nel registro della vita con un prima e un dopo. Come il percorso del Lagorai, quando assieme a un manipolo di amici ho imboccato un sentiero lontano da ogni riferimento: turistico, abitativo, umano. Quarantotto ore di fatica e di bellezza in cui a ogni sussulto del terreno l’immensità delle Dolomiti esplodeva quasi dolorosamente, al di là delle spalle provate dagli zaini, e le uniche tracce umane erano i segni del fronte della Grande Guerra, sempre presente come una cicatrice nel paesaggio e nella memoria, o qualche remota stalla d’alpeggio, che diventava rifugio e riparo e ristoro nel mezzo di un nulla così pieno e rigonfio di emozioni da togliere il fiato. Una natura letteralmente incontaminata davvero dietro l’angolo dell’inerzia e della pigrizia che la montagna ti chiede, ti esorta a superare.

E pure l’inverno, quando si supera la linea dei mille metri per andare a fare con quelle due assi sotto ai piedi cose che al nostro deambulare incerto non è concesso. Ci è concesso di salire oltre, di respirare la meraviglia biancolucente delle altitudini. Da lassù la linea dei mille metri è un lontano baluardo: ancora risuona dei profumi del ritorno a casa, ma con la stanchezza di coloro che hanno visto la luce. Non sono certo di credere nel paradiso, ma se devo pensare a un paradiso penso a quelle altitudini in cui il silenzio è prezioso e la solitudine il diadema che lo contiene.

Maggiori informazioni

Volto del pastificio di famiglia fondato nel 1908 nel cuore delle Dolomiti (a Predazzo) e oggi centro di produzione di pasta secca di qualità (indirizzo espresso al meglio con la linea Monograno), Riccardo Felicetti è anche presidente dei pastai italiani.

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