Cosa hanno in comune Gian Lorenzo Bernini e Iside De Cesare? L’ispirazione. Se il mito di Apollo e Dafne raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio è stato sublimato in scultura dal maestro del Barocco, più di recente la tragica storia dei due innamorati ha dato uno spunto alla chef per il suo brodo progressivo, in cui annegano dei cappelletti di Cinta Senese. Seguendo una progressione che omaggia il dinamismo delle forme di marmo, il liquido viene servito in tre tempi: nel piatto in versione assoluta, racchiuso in una perla affumicata e come estratto di alloro.
Questo è uno dei piatti iconici del ristorante La Parolina a Trevinano, in provincia di Viterbo, inserito anche nel menu “20 anni e non sentirli…”, proposto ai commensali in occasione dello speciale anniversario che verrà festeggiato per tutto il 2025. Chi si siede a uno dei tre fortunati tavoli davanti a una delle altrettante ampie vetrate può approfittarne anche per fare un ripasso di geografia: di fronte spicca il monte Amiata, più defilata sulla destra s’intravede la Val d’Orcia e, proseguendo verso lo stesso orizzonte, c’è il monte Cetona.
Potrebbe sembrare di essere in Toscana ma in realtà siamo ancora in uno degli ultimi paesi dell’Alto Lazio, dove anche l’Umbria fa la sua parte da cartolina. È proprio questo panorama che Iside e Romano Gordini, suo marito e anche lui chef-patron dell’insegna, volevano regalare ai loro ospiti.
Così, nel 2012, hanno deciso di spostarsi di qualche metro dall’originario nucleo, acquistando un terreno dove hanno edificato da zero. In questo borgo di appena 70 anime, frazione di Acquapendente, la coppia non solo ha scelto di lavorare ma anche di abitare, costruendo una casa adiacente alla cucina. Al piano superiore, ci sono due camere riservate agli ospiti desiderosi di godere della quiete del posto che accoglie quello che è tornato a essere l’unico ristorante stellato in Tuscia dopo la chiusura di Casa Iozzia, come sottolinea con rammarico De Cesare.
Da piccola non ti immaginavi chef: cosa avresti voluto diventare?
Terminato il liceo scientifico, mi sono iscritta alla facoltà di Ingegneria. È stata mia sorella a notare per prima il mio feeling con la cucina. Ho interrotto gli studi universitari per frequentare la scuola di A Tavola con lo Chef, dove oggi insegno anche. Durante la pandemia, invece, ho conseguito il diploma alberghiero.
Chi ha segnato le tappe più significative del tuo percorso?
Direi che tutti hanno contribuito, da Salvatore Tassa a Heinz Beck. Per me, la cucina è stata una vera e propria palestra di vita, ho scoperto un mondo che non conoscevo ed è una professione che solo chi ha una forte motivazione riesce ad affrontare. Nel giorno in cui il ristorante ha compiuto vent’anni, ho mandato un messaggio a tutti i miei maestri per ringraziarli.
Quali sono le sfide che avete affrontato nell’aprire in un paesino come Trevinano?
Ho sempre cercato un posto che mi permettesse di trovare un equilibrio. Sono cresciuta a Roma (da madre milanese e padre calabrese, nda) e fin da piccola avevo il desiderio di vivere in campagna. Dopo varie ricerche nel Centro Italia, per un soffio, siamo finiti nel Lazio. Quando insieme a Romano l’abbiamo trovata, La Parolina era un ristorantino di confine chiuso da tempo. Dopo averlo ristrutturato con l’aiuto della vecchia proprietà, lo abbiamo preso in gestione, forse con un po’ di incoscienza. Il nome c’era già e abbiamo deciso di tenerlo: esprime perfettamente il nostro concetto di ristorazione sussurrata.
A proposito di Romano, siete entrambi gli chef de La Parolina, ma lui è sempre rimasto un po’ più defilato. Come mai?
È una questione di carattere. Sui bigliettini da visita c’è scritto “Iside e Romano” e nella realtà, quando ci raccontiamo, siamo quasi sempre insieme. Romano è una figura fondamentale, anche se non ama essere al centro dell’attenzione. La sua presenza è discreta ma essenziale.
In che modo la Tuscia ha influenzato il menu in questi anni?
Il legame con il territorio è totale. Ho avuto la fortuna di scoprire materie prime incredibili e artigiani straordinari. La Tuscia offre un patrimonio gastronomico unico e abbiamo imparato a valorizzarlo con il tempo. I produttori locali sono stati fondamentali in questo. Ci sono i legumi dell’azienda Il Cerqueto e quelli di Le Perle della Tuscia, poi Tonino Pira per i formaggi di Tenuta Il Radichino, la società cooperativa Lago Vivo a Bolsena per il pesce, mentre la carne proviene da allevamenti tra Toscana, Umbria e Lazio. Molti dei nostri fornitori sono di prossimità, ma a volte ci spingiamo un po’ oltre i confini della regione. Il menu parte dai legumi con l’Hummus di ceci del Solco e il Caviale di lenticchie di Onano, raccontando ciò che vediamo dalle finestre del ristorante, e poi si espande per includere altre specialità della nostra tradizione, chiudendo con Italia Squisita, un ideale tour a forma di Stivale servito come piccola pasticceria, nostro signature da ormai qualche anno.
Come vedi il futuro della ristorazione nei piccoli borghi?
Più complicato ma sostengo questo ritorno alla provincia. Comunque è vero che difficilmente vieni “perdonato” se sbagli. In generale, non amo dare consigli: per fortuna mi sento ancora “un’apprendista con esperienza”, come ripeto spesso. Mio padre mi diceva sempre di mettermi con chi è meglio di me. Cerco ancora di orientarmi, mi piace imparare e non smetto di studiare.
Oltre al vostro ristorante, segui altre realtà con le tue consulenze.
È una dimensione un po’ diversa dalla ristorazione diretta, e mi ci dedico in particolare quando La Parolina chiude per riposo settimanale. Sono consulente all’Hotel Silva Splendid di Fiuggi e mi ritengo molto soddisfatta perché c’è una brigata di ragazzi veramente appassionati. A Firenze, nel progetto di Palazzo Gaddi sono chef patron: gestisco tutta la parte legata alla cucina, e trovo stimolante l’idea di lavorare in contesti diversi, dalla colazione al fine dining. È un’ulteriore opportunità di confronto e sono felice che il resident chef sia Salvatore Canargiu, mio ex allievo.
Perché, secondo te, le donne ricevono ancora poca visibilità e riconoscimenti?
Dobbiamo considerare diversi fattori. Un tempo, non c’erano tante donne che riuscivano a fare esperienza in cucine di rilievo. Era un limite culturale: molte hanno rinunciato alle proprie carriere per seguire quelle dei mariti, e altre si sono perse per strada. Oggi le cose sono cambiate e le donne studiano parecchio. Tuttavia, fanno carriera più lentamente rispetto agli uomini. Ci sono poche cuoche che diventano capo partita, e quindi è naturale che ce ne siano poche a capo delle brigate. La mentalità maschilista è ancora un problema culturale, non di genere. Quando facciamo un colloquio, spesso l’uomo è considerato competente fino a prova contraria, mentre la donna è incompetente fino a prova contraria. Questo riflette un pregiudizio che rende tutto più difficile.