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La casa tra i fiordi

Il primo edificio interamente progettato da Olafur Eliasson con Sebastian Behmann nel racconto dell'art curator Elena Bordignon. Un multi-paradigma che incrocia funzione spaziale ed esperienza sensoriale. Sull'acqua.

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Si raggiunge a piedi da una lunga passerella in mezzo al mare e da lontano, in mezzo ai riverberi dell’acqua increspata, sembra emergere dalla superficie specchiante come un’imponente scultura di 28 metri. Inaugurata nel 2018 vicino al porto di Vejle, sulla penisola dello Jutland, in Danimarca, la “Fjordenhus” – la “casa tra i fiordi”, sede di Kirk Kapitals: il piano terra è accessibile al pubblico dalle 7 del mattino a mezzanotte – sintetizza la filosofia del poliedrico artista Olafur Eliasson e dello studio Other Spaces, fondato da Eliasson con l’architetto Sebastian Behmann: un’opera d’arte totale dove trovano espressione design, progettazione d’interni, architettura e arte. Tutto l’edificio, la sua forma, i percorsi, gli oggetti e le opere d’arte al suo interno sono frutto del dialogo con la superficie dell’acqua. Ed è proprio da questo elemento che Eliasson e i suoi collaboratori sono partiti per definirne la struttura. «Abbiamo ragionato sin dall’inizio su come creare un edificio organico che rispondesse al flusso e riflusso delle maree, alla superficie scintillante dell’acqua, cambiando in diversi momenti della giornata e dell’anno». 

Spiega l’artista «se le pareti curve dell’edificio trasformano la nostra percezione di esso mentre ci muoviamo attraverso i suoi spazi». Accessibile da una passerella progettata dall’architetto-paesaggista Günter Vogt, l’edificio si caratterizza per un imponente ingresso a doppia altezza con diverse aperture che affacciano sul porto. Il gioco di pieni e vuoti e di contrasti tra forme concave e convesse ha dato vita a una trama di pareti curve e archi parabolici, che ospita al suo interno un altissimo pozzo d’aria tondo centrale. Ad accentuare l’osmosi tra l’edificio e il paesaggio, una particolare lavorazione della muratura di rivestimento, trattata con 15 diverse tonalità di colore – in gradiente dal verde, in basso, al blu – che grazie allo smalto riflettono naturalmente l’acqua e il cielo. Non è un caso che Behmann, per raccontare il lungo iter progettuale, chiami in causa gli aspetti sensoriali dell’edificio: «Per aumentarne la percezione siamo stati molto attenti alla coreografia e allo studio della sequenza degli spazi, utilizzando la modulazione della luce e dell’acustica (per esempio grazie a un sistema di sculture sospese semovibili e/o riflettenti e spotlight, ndr)». Ritenuta un esemplare modello di riqualificazione di una zona marginale – l’obiettivo delle municipalità era quello di unificare il centro della città con la zona portuale – la Fjordenhus si inserisce perfettamente in quelli che sono i dettami della poetica di Eliasson: un forte interesse per i processi di percezione, movimento e interazione delle persone con i loro ambienti.

 Il coinvolgimento, la sensibilizzazione, lo spostamento dell’attenzione sul paesaggio circostante, inoltre, collocano questo intervento nel porto di Vejle in una lunga lista di gesti culturali esemplari firmati dallo Studio: come il “Fog assembly”, a Versailles nel 2016, dove si invitavano gli spettatori a esperire un’installazione che creava nebbia, o come la realizzazione di cascate che precipitano da impalcature alte fino a 36 metri. Memorabili in questo gruppo le “The New York City Waterfalls”, del 2008, che ha visto l’East River newyorkese inondarsi di un getto d’acqua turbinante. Un esempio calzante in ambito architettonico, e per molte ragioni molto vicino alla Fjordenhus, è l’intervento sulla facciata dell’Harpa Reykjavik Concert Hall (ultimata nel 2011). Ispirata alle formazioni geologiche basaltiche della costa islandese, si compone di moduli tridimensionali in acciaio e vetro che catturano la luce del sole, il riflesso dell’acqua, e i colori del cielo. Al pari della casa tra i fiordi, è da leggersi come una gigantesca scultura che muta al variare del tempo e delle stagioni.