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Terra e iodio, uno dei piatti di Francesco Apreda (ph. good.lookin.food)

(Meno) sale in zucca

Ridurre il consumo di cloruro di sodio senza rinunciare al gusto, si può. Ecco le raccomandazioni nutrizionali e i consigli degli chef, dalla cucina quotidiana a quella gourmet.

Un elevato consumo di sodio (oltre 2 grammi al giorno, che equivalgono a 5 grammi di sale, meno di un cucchiaino da tè) e un’insufficiente assunzione di potassio (meno di 3,5 grammi al giorno) contribuiscono alla pressione alta e aumentano il rischio cardiaco. Mentre tenere la dose giornaliera di sale, composto appunto da cloruro e sodio, sotto i 5 grammi – la media è invece di 9-12 grammi – aiuta a ridurre la pressione e le possibilità di infarto e attacco coronarico. Sono questi i dati e le raccomandazioni diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, i cui stati membri hanno concordato di ridurre il consumo di sale da parte della popolazione del 30% entro il 2025. Il tutto, tenendo naturalmente presente che ha anche effetti positivi sull’organismo – è essenziale, ad esempio, per mantenere l’equilibrio acido-base, la trasmissione degli impulsi nervosi e il normale funzionamento cellulare – e che gran parte di quello che consumiamo abitualmente è “nascosto” in alimenti come salumi, snack o salsa di soia. La riduzione dell’assunzione di sale – a cui andrebbe associato un consumo maggiore di frutta e verdura, ricche di potassio – è stata infatti identificata come una delle misure più efficaci per migliorare la salute: può “regalare” a ciascun individuo un anno in più di vita. Tutto ciò si scontra con l’evidenza che il sale rende il cibo più appetitoso, ed è un ingrediente essenziale di molti piatti. Ma anche questo è dovuto in gran parte alle abitudini, e al fatto che diamo per scontato che “salato” sia sinonimo di “sapido”. In realtà, il sapore – con il suo effetto appagante – non è legato solo al contenuto di sale ma alla capacità del cibo di stimolare le nostre percezioni, per esempio con l’uso di erbe e spezie. Che si possa usare meno sale senza per questo rendere i piatti meno allettanti lo dimostrano gli chef. Si chiama “Senza sale” il libro pubblicato nel 2020 per Tecniche Nuove dal cuoco e consulente alimentare Giuseppe Capano: per contrastare quella che definisce una “esaltazione della sapidità naturale del cibo raramente necessaria” e i suoi danni, mette insieme ricette e consigli utili, a cominciare dall’uso di condimenti e insaporitori come l’olio aromatico ai funghi (con funghi secchi, alloro, cipolla e buccia di pomodoro), di cui bastano poche gocce per rendere più buono ogni piatto quotidiano. Un approccio simile si può applicare anche al fine dining.

A Roma, da Idylio, lo chef Francesco Apreda ha battezzato uno dei menu degustazione Sapidità Essenziali: un percorso affascinante in cui tra rimandi orientali e ispirazioni mediterranee utilizza soprattutto le alghe (ma anche colatura d’alici, acqua di ostriche e altri ingredienti) e tecniche come fermentazioni e concentrazioni (per esempio negli intensi fondi vegetali), per arricchire le portate di sfumature variamente saline senza aggiungere cloruro di sodio. Ampio spazio hanno anche le spezie, con cui lo chef compone i deliziosi “spicy blend” usati nei piatti (e in vendita sul suo sito), come il Curcu-max – a base di curcuma, sesamo, pepe e altre spezie – che esalta la crema di patate della portata iniziale Terra e Iodio insieme a elementi marini come riccio e nero di seppia. Un progetto nato dal successo del suo storico Cappellotto Doppio Umami (in cui si affiancano Parmigiano Reggiano, katsuobushi, funghi Shiitake, alga kombu) e proseguito anche grazie al riscontro degli ospiti, felici di constatare che alcuni piatti così gustosi fossero adatti alle loro esigenze: «Cucinare senza aggiungere sale è molto stimolante, spinge a tirare fuori sapori inediti e non “camuffati” — racconta lo chef —. E questo studio ci ha portato anche a individuare delle nuove linee guida nel lavoro della cucina, che oggi ha sempre di più una verve salutista: usiamo ingredienti biodinamici e di stagione, cambiando il menu Sapidità Essenziali quattro volte l’anno. E il menu segue una composizione precisa: almeno il 50-60% dei prodotti che usiamo sono vegetali, il 30% è pesce, e solo un 5-10% carne». Parte da un approccio “olistico e sistemico” – ispiratore del progetto di ricerca transdisciplinare de La FuGa, LAboratory for Future GAstronomy, che mette a confronto chef, antropologi, designer a altre figure professionali con il motto “Improve the world through food” – il lavoro che ha portato Mattia Baroni e Gregor Wenter a ridurre dal 60% all’80% il contenuto di sale dei piatti del ristorante Alpes del Bad Schörgau, a Sarentino.

Due le macro-sfide a cui cercare soluzioni (anche) in cucina: da un lato l’effetto serra creato da un’agricoltura intensiva e le problematiche del global warming, dall’altro le patologie legate allo stile di vita moderno, in cui rientra il consumo eccessivo di sale. «Pensiamo che il gusto possa essere un potente motore del cambiamento — spiega lo chef Baroni —. L’obiettivo è rendere più buono del cibo che faccia anche bene, evitando che venga percepito come deprimente». Nasce così un’approfondita ricerca sull’umami, il “quinto gusto” capace di esaltare gli altri, amplificando e allungando la percezione dei sapori. Il lavoro si focalizza in particolare sui diversi tipi di garum – salse concentrate e complesse ispirate agli antichi romani ma con aggiunta di koji e con un processo controllato – e sulle fermentazioni lunghe, che nel laboratorio altoatesino si uniscono al zero waste recuperando le materie prime “seconde”: non solo scarti di verdure ma anche – ad esempio – lische e teste di salmerino che fermentano per almeno sei mesi fino ad avere un garum in cui marinare il pesce fresco rafforzandone la sapidità. Baroni ne ottiene anche una polvere dal sapore intenso: «Ricorda quello delle acciughe del Cantabrico, basta spolverizzarne un po’ sugli spaghetti aglio, olio e peperoncino per avere un mix incredibile di umami e rotondità». E a proposito di carboidrati: l’uso di condimenti tanto spinti e complessi rende superfluo salare l’acqua di cottura, permettendo di cogliere tutta la dolcezza amidacea della pasta.

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Foto di copertina: Terra e iodio, uno dei piatti di Francesco Apreda (ph. good.lookin.food)

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