A Cagliari se ne parla spesso: il fermento gastronomico della città sembra più vivo che mai, e non stupisce che il capoluogo sardo fosse nella nostra selezione delle “Nuove città del cibo” già nel 2023. Tra i locali che avevamo ancora da scoprire c’era Old Friend, ristorante contemporaneo che riesce sempre a sorprendere, pur essendo in attività dal 2016. Dopo gli esordi in un altro indirizzo limitrofo, l’attuale sede colloca l’insegna in una stradina defilata rispetto alle vetrine della più commerciale via Giuseppe Garibaldi, nel quartiere di Villanova, ai piedi del Castello, con un fascino discreto che tradisce il passato come ovile se si fa caso al soffitto molto alto.
La sera in cui siamo andati a cena non poteva essere più azzeccata: il 22 agosto, giorno in cui ricorreva il 30esimo anniversario di un album dei Rancid, band punk che ha ispirato il nome del locale. Ce lo ricorda subito Dario Torabi, chef e proprietario, mentre ci accompagna in un viaggio che spazia dalla musica alla cucina, dove l’attitudine al genere musicale non è solo un ricordo adolescenziale (rinforzato anche dal fatto che suonava in una piccola band), ma una filosofia: sorprendere, osare, non seguire la via più facile.
Dario Torabi, chef sardo di prima generazione
Per ancora pochi giorni Dario Torabi avrà 36 anni: uno chef sardo di prima generazione con una storia da giramondo alle spalle. Il papà, infatti, era iraniano mentre sua mamma ha origini torinesi. I genitori si erano conosciuti fuori dall’isola e sono arrivati a Cagliari, dove lui è nato. La famiglia ha avuto un ristorante e prima ancora lavorava il cuoio: forse è da lì che nasce in Dario l’attenzione per l’artigianalità, per i dettagli, per il gesto preciso. Dopo il liceo classico, il cuoco ha girato l’Europa: esperienze in cucine italiane in Germania, soprattutto a Monaco, dove ha avuto modo di cucinare per numeri importanti, inseguendo un suo stile. Ma il vero salto creativo arriva quando decide di aprire un locale tutto suo, insieme al socio Luigi Serra, facendo definitivamente ritorno in Sardegna: «Volevo portare in città una cucina diversa», racconta, «giocando con interiora, spezie, contrasti forti. Quella di Old Friend non è cucina di comfort e ci siamo accorti che chi ci sceglie non cerca necessariamente il buono, ma qualcosa che spiazzi».
Perché “buono” non è necessariamente sinonimo di comfort
Old Friend oggi non è più un bar con cucina, com’era quasi dieci anni, ma un ristorante vero e proprio, arredato con legno vivo, quello dei tavoli nudi, toni caldi, lampade di artigiani sardi, ceramiche anch’esse locali e quadri di Roberto Follesa, oltre alle illustrazioni di Carlo Gianbarresi, un suo amico che realizza le copertine italiane di Stephen king, «uno dei miei scrittori preferiti», ci confida Dario.

E poi ci sono i piatti, che raccontano il manifesto culinario di Dario. L’ostrica al bbq, ad esempio, prima leggermente cotta al vapore e poi scottata al barbecue, viene glassata con un fondo vegetale e aromatizzata con erbe spontanee dell’orto biodinamico di Cocchiland: un piccolo spettacolo di profumi e consistenze. Il pomodoro, piatto iconico dell’estate, viene declinato in diversi modi: verde fritto, cuore di bue arrostito, scaglie sottili, jus di ciliegini e datterini, semplice eppure evocativo, capace di riportarti immediatamente alla stagione e ai ricordi della tavola estiva. Il muggine, marinato e speziato con lentisco, mirto ed elicriso, porta in bocca i profumi della Sardegna, mentre la pasta, decisamente amara, con cicoria, cozze e cannella, si prova alla fine delle portate salate e unicamente se si sceglie il menu degustazione per essere apprezzata.
Fuori dagli schemi anche uno dei due dolci, quello al caramello alle arachidi, funghi, capperi e caffè in un equilibrio sottile di umami, sapido e terroso, senza escludere note dolci e tostate. La proposta beverage include vini esclusivamente naturali, birre artigianali (a Cagliari c’è interesse per il tema brassicolo), e non mancano alternative low alcol come nel caso del kombucha.

La squadra di Old Friend è giovane, sotto i 40 anni, e lavora con passione: due giorni di chiusura e massimo 40 ore a settimana, per garantire qualità e benessere. «Cagliari è piccola, ma non bisogna cucinare pensando solo ai cagliaritani», ci spiega Dario. Dopo la menzione nella Guida Michelin, il ristorante ha registrato un aumento di visite dall’estero: durante la nostra cena eravamo tra i pochissimi tavoli occupati da italiani. Gran parte di questo flusso è legata anche al periodo delle vacanze estive, in una città di mare che invita a sperimentare, sorprendere e farsi apprezzare da chi cerca esperienze gastronomiche autentiche e fuori dall’ordinario.