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Le maschere veneziane di Philippe Starck da Amor

Philippe Starck: «Nutriamo la creatività»

Il ruolo di un designer è quello di migliorare la vita della collettività. Parola del creativo francese che nella campagna trevigiana arriva per parlare di sincerità, partecipazione, ma anche buona alimentazione. Con la complicità dei fratelli Alajmo.

Al pian terreno della biblioteca progettata con la collaborazione dell’architetto Richard Rogers, le grandi vetrate lasciano filtrare la luce di un cielo terso d’autunno. L’auditorium del campus H Farm di Roncade è gremito di ragazzi, che affollano la platea in attesa dell’attore protagonista. In cartellone c’è il one-man show di Philippe Starck, classe 1949, designer di fama internazionale tra le personalità più originali, prolifiche e disinvolte del nostro tempo. L’avanguardistica cittadella che si svela come apparizione inaspettata nella campagna trevigiana, da qualche tempo può fregiarsi anche di un edificio progettato dall’archistar capace di tenere il palco meglio di un interprete consumato. Si parla di creatività. Come fonte di ispirazione per cambiare il mondo, secondo quell’idea di servizio che informa l’intera opera del creativo francese, fautore di un design democratico – oggi maturato nel concetto di ecologia democratica – pienamente fruibile da tutti, sia concettualmente che idealmente (eppure, nella sua lunga carriera, Starck non ha disdegnato di firmare progetti super esclusivi, dalle lobby di prestigiosi hotel parigini allo yacht del magnate russo Melnichenko. Al contrario, tra gli oggetti a suo timbro di più ampia diffusione troviamo l’iconico spremiagrumi Juicy Salif e lo scolapasta Max le Chinois). Ancor prima, però, la creatività è urgenza espressiva di sé, gesto essenziale nell’autodeterminazione dell’essere umano: «Ho lavorato tutta la vita per creare, perché noi esistiamo per questo, è nel nostro Dna. E abbiamo il dovere di usare la nostra creatività, che non è solo appannaggio degli artisti, tutti ne siamo dotati: nessuno ci chiede di essere geni, ma dobbiamo partecipare».

Ha il tono del discorso motivazionale quello che Starck indirizza agli studenti. Lui è un uomo in missione da tutta la vita, ribadisce, consapevole del proprio ruolo: «Siamo tutti eroi di un film collettivo, il valore dell’eredità che ci ha lasciato chi è venuto prima di noi è importante, dobbiamo lavorare per migliorarla costantemente. E questo è possibile solo guardando con attenzione la realtà che ci circonda, per comprenderla». Il filtro della creatività è la chiave, ma l’operazione non deve mai essere fine a se stessa: «Ogni progetto è figlio di una necessità, così dovrebbe essere, anche se oggi siamo circondati da designer che agiscono per denaro o narcisismo. I loro progetti sono uno specchio della vanità, non hanno senso di esistere, perché soddisfano solo chi li ha creati. Poi ci sono persone che semplicemente non pensano, seguono i trend, guardano le riviste, sono completamente inutili perché non aggiungono nulla al processo creativo. Io credo in una progettazione etica, che risponde a una visione del futuro di cui avremo bisogno. Lasciare un segno in questo caso non è questione di guadagno personale: i miei lavori tendono all’interesse collettivo. Un progetto deve avere in sé una buona dose di avventura che ti porti a sognare».

A Roncade, la materializzazione di questo approccio è un ristorante al servizio degli studenti, un fast food (ma si preferisce parlare di fast casual) di ultima generazione ideato dai fratelli Alajmo, che in Starck, ormai da molti anni, hanno trovato un complice sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda. «Con Max e Raffaele siamo come fratelli, abbiamo gli stessi obiettivi, amiamo le stesse cose, gli stessi vini, abbiamo gli stessi vizi e interessi culturali. Lavoriamo in osmosi, ridiamo moltissimo. Siamo naturalmente connessi, per questo le nostre collaborazioni nascono nel segno della sincerità, che è lo stesso valore per cui mi sono innamorato del loro cibo». Residente a Burano da oltre quarant’anni (si dice sia il luogo dove più ama rifugiarsi, nonostante oggi viva stabilmente in Portogallo e passi buona parte dell’anno tra case e studi che possiede nelle più grandi capitali internazionali, ndr), il designer ha vissuto il primo incontro con i fratelli di Rubano come una folgorazione. Da allora, non si sono più lasciati. C’è la sua visione onirica – capace di portare su un piano indistinto e fluido passato, presente e futuro – dietro a progetti ambiziosi come il Caffè Stern di Parigi e il Quadri di Venezia, frutto del recupero di preziosi spazi storici: «Io sono un uomo del futuro, ma per gli Alajmo mi è capitato di lavorare in luoghi dal passato sontuoso, verso cui portare rispetto. L’importante è empatizzare con l’anima del luogo, cristallizzarla utilizzando la fantasia, la poesia, l’ironia, come fossero un cappotto che tiene in caldo e preserva l’essenza di quello che c’è stato prima». A proposito di sodalizi, con H Farm il gruppo Alajmo ha stretto un accordo all’inizio del 2021, prendendo in carico la gestione di tutti i servizi di ristorazione del polo di ricerca e formazione avviato nel 2005 da Riccardo Donadon. Obiettivo: investire nel futuro dei giovani, interpretandone i bisogni a partire dalla loro routine quotidiana, che in buona misura passa attraverso il cibo e le relazioni che si stabiliscono intorno a un tavolo. L’assist, a dimostrazione di un’empatia che va ben oltre la comunione di intenti, lo fornisce lo stesso Starck, nel ribadire la necessità di favorire con tutti gli strumenti a disposizione la crescita di una società capace di immaginare un futuro migliore: «Esercitare la creatività, imparare a usarne la quota di cui ciascuno di noi è dotato, è fisicamente stancante, richiede lucidità e buona salute, ma anche una buona alimentazione». Amor – nella versione rivista e corretta che segue una parentesi milanese non troppo fortunata – è il format che somma queste istanze sul piano progettuale e gastronomico: «Un luogo concepito per le esigenze dei giovani con una proposta facile, riconoscibile, dinamica e accessibile pur restando rigorosamente fedele ai nostri principi e alla nostra etica», spiega Raffaele Alajmo.

«L’ispirazione arriva dal concetto di naturalità che Max persegue in cucina. Questo posto è pensato per nutrire bene (il menu, che ammicca agli habitué del fast food, ne riprende la forma, stravolgendone la sostanza, tra pizze al vapore con ingredienti di stagione, proposte vegetariane, hot dog con pane e salse home-made e wurstel da allevamenti trentini sostenibili), ma anche per portare felicità ed eleganza nelle relazioni umane. È un luogo vibrante, progettato da persone che fanno del loro meglio per mettere a proprio agio gli altri», chiosa Starck. Visivamente, il marchio di fabbrica che non passa certo inosservato è la bauta (la maschera tradizionale veneziana) con cui il designer popola le facciate e gli spazi interni di una struttura completamente vetrata (e punteggiata di piantine ed erbe aromatiche coltivate in idroponica) sviluppata su due piani, pensata come luogo di incontro, dove si arriva per mangiare, studiare o ritrovarsi dopo una giornata di lezione. Chiunque, però, è invitato a lasciare la propria firma, letteralmente. Tutte le superfici interne di Amor sono personalizzabili, come lavagne pronte a raccogliere un segno del passaggio di chi frequentando abitualmente il luogo lo fa vivere nel presente. Ecco il designer che fa un passo indietro, lasciando il destino dello spazio che ha immaginato nelle mani di chi lo vivrà, perché l’evoluzione costante della realtà che ci circonda sia emblema di libertà, intelligenza, curiosità.

Maggiori informazioni

AMOR (H Farm)
Via Adriano Olivetti 1, 31056 Roncade TV
alajmo.it

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