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L’Unione Europea dal 2021 bandirà tutta la plastica monouso. Ristoratori e produttori cercano soluzioni sostenibili tra i materiali alternativi. E i consumer? Saranno loro il driver più forte per un cambiamento permanente

plastic-free food and wine italia

A memoria, l’ultimo nemico pubblico contro cui siamo stati così compatti è stato Bin Laden. Oggi è il turno delle cannucce nei drink. Ma com’è successo? Fino a un paio d’anni fa, i detrattori delle cannucce ne facevano al massimo una questione di estetica: sono cose da bambini, i cocktail si bevono dal bicchiere. Nel frattempo la nostra sensibilità è cambiata radicalmente, e così la cannuccia è diventata il segno dell’utilizzo dissennato che facciamo della plastica monouso. Certo, la tendenza esisteva già da anni, ma a impiegare materiali biodegradabili e a ridurre gli involucri erano realtà piuttosto isolate: ad esempio i negozi dove i prodotti si acquistano sciolti, alla spina, che hanno una forte vocazione all’ecologia – e che a volte erano percepiti come un po’ hippie. All’improvviso abbiamo raggiunto il punto critico, come lo chiamò Malcolm Gladwell nel celebre bestseller omonimo: il momento in cui una tendenza di nicchia “sfonda” tutto d’un tratto, diventando un’opinione maggioritaria. 

Perché proprio ora? Difficile dirlo. In parte, la responsabilità è sicuramente delle immagini che ci costringono a prendere atto delle enormi dimensioni (in senso proprio) del problema dei rifiuti di plastica. I quattro “Garbage Patch”, le gigantesche isole di spazzatura formate dalle correnti oceaniche, occupano ormai 16 milioni di km quadrati: se fossero un paese sarebbero il secondo più grande al mondo, come ricorda l’artista Maria Cristina Finucci, che nel 2013 si è data la carica simbolica di “Presidente del Continente di Plastica”. Se restiamo concentrati solo sulle cannucce, però, anche la battaglia resterà simbolica. Ma a chi spetta diminuire il consumo di plastica? Se è facile scaricare la colpa sull’industria, non possiamo trascurare il resto della catena del valore: come ha sottolineato Roberta Barbieri, Vice Presidente Global Sustainability di PepsiCo, nel corso di Seeds&Chips, l’evento internazionale sulla Food Innovation ospitato a Milano nel maggio scorso, «quando i consumatori inviano segnali di mercato, le aziende si danno la riduzione dell’utilizzo di plastica come priorità». La plastica è vittima del proprio successo: un materiale economico, eccezionalmente versatile, pratico. Per questo ridurne l’impiego non è semplice: un materiale che può funzionare per un utilizzo – le cannucce, per tornare al nostro esempio, possono essere di paglia di riso o di carta – non si presta invece a molti altri. 

A oggi non esiste un unico standard emergente alternativo alla plastica: la spinta dei consumatori serve allora a creare la domanda da parte delle aziende che, a sua volta, conduce l’industria chimica a impegnare forti investimenti in ricerca e sviluppo, necessari per creare nuovi materiali. Oltre alla spinta dal basso, ci sono le scelte dall’alto, quelle della politica: l’Unione Europea ha dato un segnale forte, annunciando a partire dal 2021 la messa al bando graduale di tutta la plastica monouso. Insomma: anche tolte le cannucce, ai ristoranti resta ancora molto da fare; ma la sensibilità sta crescendo, e cominciano ad affacciarsi soluzioni condivise. Nella ristorazione fast si stanno diffondendo materiali biodegradabili: Mater-Bi, PLA (derivato dal mais), pura cellulosa, legno e bambù. Questo cambiamento – che può sembrare il più ovvio e il meno dirompente – può avere invece un impatto enorme: ristorazione casual e delivery continuano a crescere a ritmi vertiginosi, producendo immense quantità di rifiuti tra tovagliette e tovaglioli di carta, bottiglie e posate di plastica, per i quali i ristoranti tradizionali utilizzano da sempre materiali più durevoli. Come racconta Cristina Cattaneo, che insieme alla socia Daniela Gazzini a Roma ha aperto le 5 sedi del format Vivi Bistrot: «Fin dall’inizio, nel 2008, abbiamo sempre usato materiali da asporto biodegradabili e compostabili; all’epoca in Italia questo mercato praticamente non esisteva, così eravamo costrette a importare dall’Inghilterra. 

Oggi invece ci appoggiamo a fornitori locali, come Minimo Impatto». Anche Pescaria, il popolare fast food di pesce originario di Polignano a Mare, ha sostituito completamente la plastica con il PLA, mentre a Peschici lo chef Domenico Ottaviano, che al Trabucco da Mimì ha eliminato tutto il tovagliato di carta, ha varato l’iniziativa “Gargano PlasticFree” insieme alla compagna Elizaveta Derkach: «Come ristoratori abbiamo una responsabilità verso l’ambiente che ci circonda: così con l’aiuto di amici ripuliamo angoli di costa e di bosco dai rifiuti lasciati da turisti e locali incivili». Attribuire il problema alla plastica tout court, infatti, non è esatto: il problema sono piuttosto i rifiuti di plastica. La plastica non ha le gambe, e non arriva da sola in mare e nell’oceano. Per evitare le bottigliette, molti locali scelgono di offrire acqua filtrata e refrigerata; Vivi Bistrot presto metterà in vendita borracce metalliche per l’acqua, con refill gratuito. Quando eliminare completamente le bottigliette non è ancora praticabile, una strada è scegliere fornitori più responsabili, come WAMI (“Water With a Mission”) che sostiene progetti idrici nel Sud del mondo e utilizza solo plastica riciclabile (e riciclata per il 50%). Nessun ristorante è un’isola: lavorare insieme ai fornitori è fondamentale. 

Un approccio che si sta diffondendo – tra i ristoratori che abbiamo interpellato lavorano così sia Cesare Battisti del Ratanà di Milano sia Marc Lanteri del Ristorante Al Castello di Grinzane Cavour – è accettare solo contenitori a rendere. A volte, il cambiamento più difficile è quello culturale: a luglio negli Usa, e da novembre anche in Italia, il Pastificio Felicetti utilizzerà un packaging completamente riciclabile, senza plastica. Una scommessa, perché, come spiega Riccardo Felicetti, CEO del Pastificio, «I consumatori amano vedere la pasta in trasparenza, la considerano di maggiore qualità». Anche quando le soluzioni ci sono, l’adozione di buone pratiche è più lenta se si procede in ordine sparso. In questo le associazioni possono avere un ruolo: Relais & Châteaux, ad esempio, è impegnata in un ampio progetto di riduzione dell’impatto ambientale delle dimore e dei ristoranti affiliati, e l’eliminazione della plastica è uno dei tasselli più importanti. 

La dimora esemplare in Italia è il Relais & Châteaux Capofaro Locanda & Malvasia, che nell’ultimo report di sostenibilità del gruppo Tasca d’Almerita (cui appartiene) ha inserito l’eliminazione al 100% della plastica monouso in dimora nel 2019. Su come eliminare completamente la plastica dalla cucina rimangono ostacoli difficili da aggirare: a oggi non esistono alternative valide per pellicole alimentari e sottovuoto, anche se stanno comparendo i primi imballaggi 100% biodegradabili a base di cera d’api (come Apepack), che sono però molto delicati da lavare e riutilizzare. Il processo dovrà necessariamente essere graduale, ma non è detto che sia un male. Come ricorda Food Tank, l’organizzazione no profit nata nel 2013 per riformare il sistema alimentare: «Non abbiamo bisogno di poche persone perfette che producono zero rifiuti, abbiamo bisogno di milioni di persone imperfette che producono meno rifiuti».