Arriva in questi giorni nelle sale italiane 100 litri di birra, ottavo film del regista finlandese Teemu Nikki: un’occasione non solo di intrattenimento ma anche per sapere qualcosa di più sul Sahti, la birra ancestrale della Finlandia. L’uscita di questa pellicola era molto attesa, soprattutto dagli appassionati del settore. Dopotutto, un film “birrario” non è cosa comune, tanto più se racconta uno stile tradizionale con cui pochi birrifici si cimentano al di fuori dei confini finlandesi.
Il titolo originale, tradotto, sarebbe infatti “100 Litri di Sahti”, ma per ovvie ragioni la produzione, in parte italiana, ha optato per una soluzione più accessibile e comprensibile a tutti. È la storia di due sorelle homebrewer, afflitte da seri problemi di alcolismo e in costante competizione con il padre, anche lui produttore casalingo ma soprattutto degustatore particolarmente esigente. Tra una bevuta e l’altra, la situazione precipita quando la terza sorella torna a Sysmä (paesino natale anche del regista) e chiede alle protagoniste di produrre cento litri della bevanda, appunto, in occasione del suo imminente matrimonio con un artista di Helsinki.
Cos’è il Sahti?
Ma facciamo un passo indietro: cos’è il Sahti? Si tratta di uno stile storico, riconosciuto come specialità tradizionale garantita (STG) dall’Unione Europea. La base fermentescibile è un mix di cereali, soprattutto segale, ma anche orzo, grano e avena, maltati o meno. Le versioni più tradizionali sono aromatizzate con ginepro, utilizzato anche per una sommaria filtrazione. Il mosto non viene bollito, e per questo il Sahti è tecnicamente una raw ale.
La fermentazione avviene con lievito da panificazione, che conferisce forti sentori di banana matura e chiodi di garofano, simili a quelli di una Weizen. Volendo azzardare un paragone, si potrebbe parlare di una lontana parente della Weizenbock: più corposa, più alcolica (può arrivare a 12°) e con un chiaro tocco di ginepro. Ovviamente il Sahti non viene né micro filtrato né pastorizzato.
Due punti di vista diversi sul film
Tornando al film, si possono dare due valutazioni distinte: una didattica, l’altra prettamente cinematografica. Dal punto di vista birrario, si apprezzano alcune scene interessanti dedicate alla produzione del Sahti: dalla cotta alla filtrazione nella kuurna, una vasca di legno scavata da un unico tronco, riempita con rami di ginepro e paglia. Questo strumento ha un ruolo centrale nella trama, diventando oggetto del contendere tra le due sorelle e l’antagonista, il “cattivo” della storia.
S’intravede anche un momento in cui vengono immerse delle pietre roventi nel mosto: una tecnica usata anche nelle Steinbier tedesche e nelle Gotlandsdricke, la versione dell’isola svedese di Gotland del Sahti. Viene mostrata anche la fase di inoculo del lievito: un panetto che viene sbriciolato a mano nel mosto.
Dai dialoghi delle molte scene di “degustazione” si apprendono varie nozioni: il luppolo non è ben visto dai puristi ma comunque tollerato; i sentori di banana devono essere presenti, ma non dominanti; esiste anche una versione del Sahti più leggera e meno pregiata, ottenuta con i risciacqui dei cereali. Molto interessante anche la narrazione del valore sociale e simbolico che questa bevanda assume, nel bene e nel male, nella vita della Finlandia rurale, puntualmente al centro sia dei riti sia gioiosi, come appunto i matrimoni, che di quelli mesti come i funerali.
Dal punto di vista cinematografico, la storia ha un ritmo abbastanza serrato, mentre sullo sfondo c’è una Finlandia molto lontana dagli stereotipi da cartolina. La trama è a tratti prevedibile ma il colpo di scena tragicomico è sempre dietro l’angolo. Nel complesso il film è godibile, a parte alcuni eccessi grotteschi e un espediente narrativo che sorvola colpevolmente su un momento chiave della vicenda. Senza fare spoiler, si avverte la mancanza di una sequenza più estesa (in stile Una notte da leoni) che mostri le bravate per cui le due sorelle finiscono nei guai. Non sfocia però nemmeno nel cinismo disturbante tipico di certo cinema scandinavo. Insomma, non aspettatevi un equivalente brassicolo de La parte degli angeli, splendido film di Ken Loach sul whisky. Ma gli 88 minuti scorrono rapidi: si ride, si riflette e si impara qualcosa su uno stile birrario tanto raro quanto affascinante.