Diner

Rise&Shine: lunga vita ai diner americani

Da più di un secolo questi locali informali e familiari rimangono l'archetipo del ristorante Usa. E oggi sono più buoni che mai.

Se potessi mangiare una sola cosa per il resto della mia vita, sarebbe il Lumberjack special: uova strapazzate con cheddar, bacon, salsiccia, patatine fritte fatte in casa, un pancake con gocce di cioccolato e caffè a non finire, ovviamente. Sono cresciuta sulla costa del Connecticut e, la domenica mattina, la mia famiglia era solita guidare fino al Lakeside Diner di Stamford per le loro ciambelle al sidro, o da Gail’s Station House a Ridgefield, dove ordinavamo a ripetizione pancake al mais e cheddar. Ancora oggi me li sogno.

I diner sono dei ristoranti tipicamente americani. Alla fine del 1800, i venditori ambulanti passavano con i loro carretti per vendere pasti economici ai lavoratori delle città della costa orientale, tutto il giorno fino a sera inoltrata. Agli inizi del 1900, quei carretti diventarono fissi, e molto più grandi: abbastanza da avere un fornello a gas, un bancone a ferro di cavallo e degli sgabelli. Creati sulla base delle carrozze ristorante dei treni, chiamate diners, i carretti presero il nome proprio da loro. Nel nord-est, divennero un punto di partenza per i piccoli imprenditori della comunità greca, e da lì iniziarono a diventare popolari in tutti gli Stati Uniti.

Ci sono alcuni requisiti specifici perché un ristorante sia classificabile come diner. Deve innanzitutto essere un luogo informale dove chiunque può godersi la sua tazza di caffè senza limiti, per quanto tempo desidera. La cucina deve essere aperta tutto il giorno (punti bonus se è in attività 24 ore su 24). Ma, soprattutto, i diner devono essere per chiunque: qualsiasi genere di persona, di qualunque contesto, dovrebbe poter entrare e ordinare qualcosa di buono e nutriente, sentendosi accolta, senza spendere una fortuna.

Per molti americani i diner non sono solo ristoranti, ma luoghi cardine della propria vita, custodi di memorie care. Per alcuni era l’unico posto dove si potesse ordinare polpettone a colazione e french toast per cena. Per molti altri è stato il primo ristorante in cui si andava senza genitori, per prendere un milkshake dopo una partita di football, o il luogo in cui si mangiava con gli amici prima di partire per un viaggio. Per molti, il diner è diventato tappa fissa, un posto in cui si torna e si ritorna. Magari ancora oggi.

«Dopo la scuola, a Capodanno, o qualsiasi altra volta in cui volessimo stare senza i nostri genitori, io e i miei amici andavamo al diner della nostra città. Era un luogo sicuro», ci racconta Sam Yoo, chef e proprietario del Golden Diner di New York City. Yoo è uno di quei cuochi che vengono da esperienze di fine dining e che sembrano sempre più voler rendere omaggio a questi locali vecchio stampo. Al Golden Diner, Yoo prende ispirazione dalle sue radici asiatiche, e serve piatti semplici e confortanti, come club sandwich con pollo fritto e torta al tè verde. Dopo la pandemia, le persone inizialmente hanno cercato prodotti ed esperienze di lusso, mentre adesso sembra che prediligano esperienze più semplici e familiari. E i diner rispondono perfettamente a questa esigenza.

«Sono accessibili, e molto nostalgici», dice Caroline Schiff, Best New Chef F&W 2022, che sta aprendo un diner a Ridgewood, nel Queens. I piatti del suo menu saranno ispirati ai suoi anni da pasticcera: i french toast con salsa butterscotch, un broccoli melt vegetariano (ricetta), e una torta al latte e malto. Ma, racconta, «non vogliamo essere innovativi a tuti i costi. Il nostro motto è ‘Siamo solo un diner’. Vogliamo che questo sia un luogo senza tempo».

A Biddeford, in Maine, gli chef Chad Conley e Greg Mitchell hanno scelto di riallacciarsi alle radici del luogo: il loro ristorante, Palace Diner, venne costruito nel 1927. Quando comprarono le mura, nel 2014, sapevano di volerne rispettare la storia: «Volevamo onorare il concetto del diner, presentando dei piatti che avessero senso in questo luogo», racconta Conley. Il loro menu, infatti, presenta capisaldi dei diner ma con dei tocchi di classe e innovativi, come le loro uova strapazzate con formaggio e pompelmo tagliato al vivo e caramellato.

L’autunno scorso la chef Jackie Carnesi ha preso le redini di un altro pezzo di storia: il Kellogg’s Diner di Brooklyn, fondato 97 anni fa, e ha incorporato sapori e influenze della cucina del sud del Texas (dove ha trascorso l’infanzia), come il polpettone poblano, le costine con peperoncini guajillo, e l’omelette con una salsa al peperoncino verde.

Anche Nancy Silverton, famosa cuoca americana e Best New Chef F&W 1990, aprirà un diner a Los Angeles alla fine di quest’anno, insieme al partner d’affari Phil Rosenthal. Il nome sarà Max and Helen’s, come i genitori di Phil, e farà molta leva sulla nostalgia, pur mantenendo il tocco iconico di Silverton. «Ci saranno piatti tradizionali, ma gli ingredienti saranno eccezionali», racconta la chef.
«Spero di riuscire a trasformare in meglio i grandi classici, senza complicarsi troppo la vita».

Ma quali sono, questi classici? In ogni diner, potreste trovare specialità regionali, o piatti che riflettono la storia del proprietario. È per questo che molti di essi hanno i gyros, e le omelette greche (ricetta). E anche perché a Austin, Texas, ci sono i tacos nei menu, e a New York hanno una zuppa di matzo ball (polpette di pane azzimo in brodo, tipiche della tradizione ebraica).

Ma tra i classici ci sono anche quelle proposte servite ovunque negli Stati Uniti: torte, milkshake con due cannucce, uova e bacon, e patate in tutte le forme (vedi “Cosa prendi, tesoro?”, in basso, che riprende la tipica domanda rivolta in tono affettuoso e informale dal personale di sala).

Non importa da dove veniate, o dove andiate: potrete sempre contare sul caffè caldo illimitato, e sulla cameriera che vi chiede come preferite le vostre uova.

Cosa prendi tesoro?

Se ordinate delle uova in un diner, potete aspettarvi che arrivino con un contorno abbondante di patate fritte fatte in casa, o di hash browns. Ma che differenza c’è tra le due?

Hash brown

Sono delle patate fritte, grattugiate o tagliate finissime. Alcuni diner le servono fritte così, altri formano delle specie di polpette. Al Kellogg’s Diner di Brooklyn, le servono in entrambi i modi: «I nostri hash browns sono grattugiati, sbollentati, parzialmente precotti e poi piastrati, oppure fatti a mo’ di crocchette», ci racconta Jackie Carnesi. Per fare dei perfetti hash browns a casa, lasciate in ammollo le patate grattugiate. Questo riduce la quantità di amido, rendendole molto più croccanti.

Patate fritte

Nei diner possono essere di tutti i tipi e dimensioni, ma normalmente sono tagliate a cubetti e fritte in padella, a volte con cipolla o peperoni. Gli chef usano diversi metodi di cottura: Carnesi le sbollenta poi le cuoce prima di condirle generosamente. Caroline Schiff preferisce prepararle direttamente sui fornelli, con cipolla e peperoni. Per delle patate fatte in casa che siano croccanti fuori e tenere dentro, fatele bollire prima di passarle in padella. Da ultimo aggiungete poi burro, peperoncino in polvere e aglio.

Maggiori informazioni

Foto di Greg DuPree

Condividi

Facebook
Twitter
LinkedIn
Articoli
correlati