Location in una delle strade più belle della Napoli, via Orazio, forti ascendenti francesi e un’intera famiglia coinvolta nel ristorante: questa la formula che Giorgio Vaccaro ha scelto per il suo ritorno “a casa” con l’apertura di Partage. Dal francese “condivisione”, questo nuovo indirizzo riflette la sua identità: raffinato ma accogliente, con una forte impronta familiare e un’anima aperta alla contaminazione. Dopo una lunga esperienza a Parigi al fianco di alcuni dei più grandi chef d’Oltralpe, il ventinovenne ha ben chiaro il percorso davanti a sé: unire l’eleganza e la tecnica della cucina francese agli ingredienti e al gusto partenopei, senza fossilizzarsi troppo né su uno stile né sull’altro.
Partage è il bistrot parigino con vista sul Vesuvio
Scegliere di proporre cucina francese a Napoli è una sfida audace, quasi provocatoria. Ma forse non così inconciliabile come sembra. Tra la gastronomia partenopea e quella d’Oltralpe, infatti, esistono legami storici. Basti pensare al ragù, il babà, il sartù o il gattò di patate: tutte preparazioni che affondano le radici nel periodo borbonico, quando la corte spagnola, innamorata della cucina raffinata francese, contribuì a importarne tecniche e ispirazioni nel Regno delle Due Sicilie.
Con il passare del tempo, questa connessione si è un po’ assottigliata, sopravvivendo quasi esclusivamente case. Il giovanissimo Giorgio Vaccaro prova così a ricucire quello strappo con garbo e consapevolezza. Nessuna imitazione pedissequa della haute cuisine, ma un linguaggio personale che si nutre di entrambe le tradizioni.
«Ho influssi francesi, è innegabile, ma voglio valorizzare i prodotti napoletani con queste influenze, tra brodi, salse e tutte le altre preparazioni che ho imparato a Parigi. Amo definire la mia cucina “viva”, non italiana o francese, perché cambio costantemente la carta: vedo cosa arriva, vedo cosa è di stagione, vedo cosa mi propone il mercato in cui passeggio tutti i giorni prima di arrivare al locale», ci dice Giorgio Vaccaro. Effettivamente il menu di Partage è davvero snello: tre primi, tre antipasti, tre secondi e tre dolci. Queste voci cambiano quasi ogni mese, c’è la possibilità di scegliere alla carta o di optare per un menu degustazione da cinque portate al costo di 60 euro. Da Parigi ha importato un’abitudine che a Napoli è una chimera: il menu pranzo con portate e prezzi ridotti, davvero introvabile in città in ristoranti fine dining. Al Partage questa formula è disponibile dal lunedì al sabato: 35 euro per tre piatti.
Noi ci abbiamo trovato una cucina gustosa e di grande tecnica: il semicrudo di seppia con tartare, julienne e tentacoli dell’animale, accompagnato da un consommé di sedano rapa e foglie di cappero, insieme allo spaghetto con salsa marinara alle carote, alici marinate e origano fresco sono forse i piatti che ci hanno colpito maggiormente perché semplici e golosi oltre che molto ben fatti. Merita poi un plauso il dessert: un sorbetto con spuma ai fiori di sambuco, macedonia e polvere di fragole che ricorda molto le intramontabili fragole con la panna; il tocco in più è però il tè, da bere prima di assaggiare la portata, ricavato dagli scarti della lavorazione del dolce stesso. Un piatto non troppo stucchevole, primaverile, colorato, bello da vedere e soprattutto buono da mangiare.
Il servizio è elegante ma non invasivo, affidato a Francesca Vaccaro, sorella dello chef, e Annalisa Colantuono, la loro mamma, che a cinquant’anni ha deciso di conseguire il diploma alberghiero di sala e cominciare un lavoro nuovo per supportare i figli in questa avventura.
Chi è Giorgio Vaccaro
Il cuoco napoletano ha una storia molto classica: appassionato di cibo e ristoranti fin da bambino «a dieci anni, durante le vacanze estive, mia mamma mi ha mandato a lavorare da mio zio che aveva una macelleria perché ero terribile e non mi sopportava più», dice Vaccaro, ridendo. Quella che doveva essere una sorta di punizione «in realtà non fa che accrescere la mia passione: il primo approccio con la materia prima l’ho avuto in macelleria. Lì, mi convinco a voler diventare un cuoco e iscrivermi all’alberghiero».
Gli anni dell’adolescenza trascorrono veloci e, a diciotto anni, fresco di diploma, per la stagione estiva si ritrova al St. George Restaurant by Heinz Beck di Taormina dove incontra Giovanni Solofra come resident chef. L’incontro con il fine dining colpisce a tal punto Vaccaro che, dopo qualche mese, prepara la valigia e parte per Parigi. «Per me è da sempre una delle capitali della cucina mondiale. Viverci è stato un sogno».
In Francia parte dall’Atelier Étoile di Joël Robuchon (una stella Michelin), ci resta due anni prima di spostarsi al Four Seasons Hotel George V, insignito sempre con un macaron, per lavorare con lo chef italiano Simone Zanoni. Nel biennio successivo fa il grande salto: approda in un tre stelle Michelin. Si tratta del leggendario Guy Savoy che ha mantenuto le tre stelle per oltre due decenni prima di essere retrocesso a due nel 2025. Il Savoy è stata l’esperienza più lunga, durata oltre tre anni e mezzo: «Con lui ho imparato ancora di più il valore della materia prima, l’arte delle salse e delle tecniche di cottura della cucina francese». Poi, il ritorno a Napoli «quasi per caso – prosegue Vaccaro – complice una telefonata di mia mamma che mi segnala un’opportunità. Io in realtà stavo benissimo a Parigi ma mi piacciono le sfide. Così, ho accettato di mettermi in gioco, tornando nella mia città natale come chef e imprenditore».