La pesca di Volpedo in un dessert

I Colli Tortonesi tra vigne storiche, cucine di confine e artigiani del gusto

Nel cuore del Piemonte sud-orientale, dove la pianura incontra l’Appennino, un territorio così contaminato racconta la sua identità attraverso vino, formaggi, frutta e tradizioni gastronomiche antiche.

Nella parte sud-orientale del Piemonte, tra il lento scorrere del Po e le prime ondulazioni dell’Appennino Ligure, la provincia di Alessandria si apre come un crocevia di sapori e culture. Qui, la regione subalpina incontra la Lombardia, l’Emilia e la Liguria: una convergenza che si riflette nei piatti, nei profumi delle cucine di paese e nei racconti di chi coltiva, alleva, trasforma.

È soprattutto salendo verso l’Appennino che si colgono le sfumature più sorprendenti di questo territorio. Le colline custodiscono due vitigni di grande personalità: la Barbera, con il suo carattere generoso e il Timorasso, antico bianco riscoperto, oggi amato per la sua struttura e la sua mineralità.

Accanto al vino, anche la norcineria regala autentiche eccellenze. Il Salame Nobile del Giarolo ne è l’emblema: realizzato solo con le parti più pregiate del suino, in particolare della razza Duroc, combina sapientemente tagli magri come coscia, coppa, culatello, spalla, lonza e filetto, con quelli grassi ricavati da pancetta e gola. Il risultato è un salume dall’equilibrio perfetto, espressione pura di un sapere artigiano tramandato da generazioni.

Il Salame Nobile del Giarolo

Tra i formaggi, spicca il Montebore, una rarità tanto affascinante quanto gustosa. Prodotto con latte vaccino e ovino, ha una forma inconfondibile, simile a una piccola torta nuziale che richiama l’antica torre del borgo omonimo. Citato per la prima volta nel 1153, conquista con i suoi profumi di timo e spezie e un gusto burroso, con note di castagna e sfumature erbacee. Ottimo crudo con miele o marmellate, diventa irresistibile in fonduta, soprattutto con gnocchi o risotti, accompagnato da un bicchiere di Barbera o Timorasso.

Il formaggio piemontese Montebore

Non mancano i frutti simbolo di queste valli: la pesca di Volpedo, con il suo sapore dolce e vellutato, racconta la tradizione agricola delle valli Curone, Grue, Ossona, Borbera e Scrivia. E tra i boschi, veri e propri scrigni naturali, si nascondono tartufi bianchi e neri, che crescono tra querce, noccioli e castagni, in un sottosuolo ricco di calcio. Lamellati direttamente sul piatto, mai cotti, sprigionano il meglio del loro aroma su fondute e uova in tegamino, in un’esperienza sensoriale che è puro Piemonte, ma con l’anima aperta al mondo.

Ristoranti da provare

Anna Ghisolfi

Sedersi alla tavola di Anna Ghisolfi (ne parliamo qui) – una chiesa sconsacrata del 1500, ristrutturata e ridisegnata con un design moderno e minimalista – è un po’ come entrare in un giardino costellato di fiori, germogli, bacche, alberi secolari ed erbe spontanee. Partendo da una riflessione sulla tradizione di un territorio storicamente denso quale il Piemonte, e abbracciando la vicina Liguria nelle declinazioni più leggere della sua gastronomia, Anna propone una sua personale espressione di ogni singola materia prima.

Senza porsi limiti di stile o di tecnica, ma valorizzando l’ingrediente sopra ogni altro elemento, la femminilità del pensiero della chef si sposa con una mano leggera, concreta e assolutamente priva di manierismi. I suoi piatti che sono il risultato di studio approfondito e di continua formazione sul campo (da Gualtiero Marchesi a Dal Pescatore Santini, da Claudio Sadler all’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano) e di viaggi gastronomici presso celebri insegne internazionali (La Chapelle, Troisgros, Pierre Gagnaire, Ultraviolet by Paul Pairet, elBulli, Mugaritz, Alinea) che le hanno permesso di assorbire conoscenze e competenze dal gotha dell’alta cucina. 

Aprono solitamente le danze sfiziosi amuse-bouche, originali interpretazioni del territorio, seguiti dalla vera e propria ouverture, due percorsi di antipasti concepiti come mini-menu degustazione – Giocando con i prodotti e Giocando con la tradizione – dove la chef stupisce con consistenze e sapori inaspettati. Così il Montebore, diventa gelato in un’insalata colorata; la verza si trasforma in tartufo e un piccolo bon bon rosa esplode in bocca: è un aperitivo a base di campari e succo di pompelmo in uno scrigno di sottilissimo cioccolato bianco. Melanzana, zucca, verza e zucchine essiccate si gustano in sottili e fragranti chips da intingere in delicate maionesi all’acciuga dando vita alla bagnafredda, personale interpretazione della bagnacauda piemontese. E, ancora, la quaglia al cuore di gambero che nasce dal ricordo di Anna del polet aux crevettes francese.

A questo preludio che si mangia con le mani, senza seguire un ordine prestabilito se non quello della curiosità, seguono i primi piatti dove non manca mai il riso – principe della cultura gastronomica piemontese e lombarda – presentato come una tavolozza di elementi colorati che il commensale è invitato a indovinare – semi, scaglie di frutta secca croccante e morbide verdure – tra i quali il cameriere appoggia il riso, che tutto lega ed amalgama.

Il riso, piatto simbolo di Anna, viene accompagnato con zucca, nocciole (la tonda gentile del Piemonte) e gocce di Passito. L’omaggio al Piemonte più tradizionale è spesso riservato alla pasta ripiena, gli agnolotti, di pasta sottilissima, conditi con il fondo del loro brasato e gocce sferificate di barbera. La seconda portata vede sempre al centro un elemento vegetale di stagione che viene scomposto e reinterpreto attraverso diverse tecniche e al quale accosta carni – come l’agnello o il piccione – o pesce – merluzzo o tranci di pesce povero – cucinati con tecniche e fondi che ne esaltano il sapore.

Anche il dessert è composto da una girandola di bocconi dolci dove il camouflage torna a essere il filo conduttore e conclusivo dell’esperienza con, ad esempio, la mousse di albicocca che sembra un uovo alla coque, fiori e foglie brinate su croccante di nocciole e gli aspic di frutta e Barbera o Timorasso, dove il confine tra dolce e salato è davvero sottilissimo.
annaghisolfi.it

Corona 1702

Dal 1702, questo splendido locale accoglie i suoi ospiti nel cuore del centro storico di San Sebastiano Curone, articolandosi in tre sale dal fascino distinto e senza tempo. La sala d’ingresso, amata dai frequentatori abituali, conserva il calore dell’ospitalità tradizionale; la saletta rossa, più raccolta e intima, è impreziosita da una raffinata selezione di disegni di Maddalena Sisto; mentre al piano superiore, un’atmosfera ancora più elegante avvolge la terza sala, decorata con una pregiata collezione di antiche stampe raffiguranti i cavalieri dell’Alta Scuola di Equitazione di Vienna.

Il menu del Ristorante Corona è un percorso che si snoda lungo due direttrici fondamentali: la stagionalità dei prodotti e la tradizione delle ricette. Accanto ad alcuni piatti che sono presenti durante tutto il periodo di apertura – come il salame nobile del Giarolo, l’involtino di prosciutto e maionese in gelatina, i famosi gnocchi alla bava di latte, il bunet di cioccolato alla piemontese – dall’avvicendarsi delle stagioni troviamo il vitello tonnato, la frittatta alla ricotta, le torte di verdure con le erbe del nostro orto, i fiori di zucchina in pastella, le insalate di funghi freschi, la terrina di toma al tartufo nero, il patè di tre fegati.

Per quanto riguarda i primi (preparati a mano ogni mattina) non mancano i taglierini all’uovo, nobilitati in stagione dal profumatissimo tartufo bianco della val Curone, gli straccetti alla salvia, le fettuccine di borragine dell’orto; oppure i ripieni: i ravioli di carne al sugo, i tortelloni di zucca aromatizzata all’aceto balsamico, i ravioloni di bietole dell’orto profumati alla salvia, quelli con fonduta spolverati di tartufo.

Tra i secondi, anch’essi espressione di una storia secolare, troviamo il manzo all’inferno – preparato secondo un’antica ricetta della casa –, l’arrosto al rosmarino, le cotolette in carpione, la trippa con le fagiolane, il polpettone di vitello in umido, le savoiarde e i bolliti misti.

A chiudere i dolci al cucchiaio: panna cotta, creme caramel con granella di nocciola, montebianco di castagne, sorbetti di frutta della valle ed infine il gelato artigianale, che negli anni Sessanta ha reso il “Corona” e il signor Giovanni celebri per le coppe: “Zanzibar”, “Autunno”, “Quarto Stato” e “Segreto del Sahara”.
corona1702.com

Una delle sale del ristorante Corona

Produttori da provare

Caseificio Terre del Giarolo

Matteo Grattone, insieme alla famiglia, dedica tutte le sue energie alla produzione di formaggi dei Colli Tortonesi (vaccini, ovini e caprini), combinando studi e competenze tecniche con un’instancabile passione per il mondo caseario, dopo aver rilevato il celebre marchio Vallenostra con lo scopo di crescere, costruire, migliorare e implementare standard qualitativi di alto livello e portare al grande pubblico prodotti caseari storici.
caseificioterredelgiarolo.com

Valli Unite

È una cooperativa affiatata che dal 1981 lavora compatta ed entusiasta in questo territorio, dove diviene fondamentale non soltanto concentrarsi sulla parte vitivinicola (producendo, tra l’altro, ottimi Barbera e Timorasso) ma sugli orti, sui campi di cereali, sui frutteti, sui pascoli e sui boschi. Accoglienza, vendita dei vari prodotti agricoli ed estrema cura di ogni componente dell’ecosistema sono il loro biglietto da visita. Notevole il loro salame crudo con tutte le parti migliori del maiale, le cui qualità e caratteristiche hanno permesso di renderli soci del Consorzio del Salame Nobile del Giarolo.
valliunite.com

La Mortemarzina

Da oltre cinquant’anni, una piccola azienda agricola coltiva con pazienza e dedizione i suoi frutteti sulle colline di Montemarzino, seguendo i principi di un’agricoltura lenta e rispettosa, basata sulla lotta integrata. Dopo la raccolta, pesche, albicocche, pere, fragole, prugne e ciliegie vengono lavorate in un piccolo laboratorio aziendale, dove si trasformano in frutta sciroppata, confetture artigianali, nettari e composte in piccole produzioni, tutte fedeli alla stagionalità e alla qualità del frutto. Tra tutte le colture, a dominare incontrastata è lei: la pesca di Volpedo, regina assoluta di queste terre e simbolo della tradizione agricola locale.
lamontemarzina.it

I vignaioli da provare

La Colombera

Fondata nel 1937 da Pietro Semino, giunto a Vho da Montemarzino, La Colombera affonda le sue radici sulle colline che fronteggiano il castello di Tortona, dove il bisnonno di Elisa acquistò i primi terreni agricoli. Oggi è proprio Elisa Semino – conosciuta da molti come la “regina del Timorasso” – a guidare l’azienda di famiglia, accogliendo appassionati e clienti nella sua cantina. Insieme al fratello Lorenzo e al padre Piercarlo si dedica con passione alla coltivazione delle vigne e alla vinificazione, mentre Davide Ferrarese, agronomo di grande esperienza e compagno di Elisa, applica in campo le sue preziose competenze, contribuendo alla qualità e all’identità unica dei vini de La Colombera.
lacolomberavini.it

Azienda Agricola Nebraie

Andrea Tacchella conduce una piccola ma preziosa realtà vitivinicola di appena quattro ettari a Sisola, un borgo dell’Alta Borbera sospeso tra Piemonte e Liguria. Il suo progetto è chiaro e determinato: praticare una viticoltura attenta alla salvaguardia della biodiversità, coltivando uve di Timorasso con l’obiettivo di dar vita a un vino che sia il più possibile espressione agricola autentica, fedele al territorio e ai suoi ritmi naturali.
nebraie.it

Oltretorrente

Chiara Penati e Michele Conoscente hanno dato vita al loro progetto nel 2010, acquistando un ettaro e mezzo di vigneti e una piccola cantina a Paderna, nel cuore dei Colli Tortonesi, a sud di Tortona. Fin dall’inizio, il loro obiettivo è stato chiaro: produrre vini artigianali di altissima qualità, profondamente legati al territorio. Oggi l’azienda si estende su circa 8 ettari, suddivisi in 9 parcelle distinte, e continua a crescere secondo un principio preciso: il recupero di vigne mature. Grazie a questa filosofia, negli anni si sono aggiunti appezzamenti che oggi garantiscono circa 5 ettari di vigneti con età comprese tra i 40 e i 100 anni.

Il contesto in cui operano è ancora intatto, quasi incontaminato, e questo si riflette nella purezza dei loro vini. Le lunghe macerazioni per i rossi – in prevalenza Barbera – e i prolungati affinamenti sulle fecce fini per i bianchi, primo fra tutti il Timorasso, rappresentano i pilastri di una produzione che si distingue per qualità, autenticità e una marcata personalità.
oltretorrente.com

Maggiori informazioni

L’interpretazione della chef Anna Ghisolfi della pesca di Volpedo in un dessert

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