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Perché le cozze non si mangiano nei mesi con la “r”: la spiegazione scientifica dietro la tradizione

Riproduzione, tossine algali e qualità delle carni: cosa sapere prima di ordinare i mitili fuori stagione.

Chi vive o è cresciuto in una città di mare lo avrà sentito dire almeno una volta: le cozze si mangiano solo nei mesi senza la lettera “r”, cioè da maggio ad agosto. Una credenza popolare che affonda le radici in consuetudini antiche e che, a ben vedere, conserva ancora oggi una sua ragionevolezza, seppur per motivi diversi da quelli originari. Questa usanza ha, infatti, un fondo di verità: è meglio consumare le cozze da maggio ad agosto perché sono al massimo del proprio vigore. Hanno una carne più soda e un sapore migliore. Analizziamo come nasce questa credenza e perché oggi è ancora valida.

È vero che le cozze non si mangiano nei mesi con la “r”?

Sì, è vero: sarebbe meglio non mangiare le cozze in autunno e in inverno. La spiegazione va cercata nella biologia dei mitili. Come molti molluschi bivalvi, anche le cozze seguono cicli riproduttivi stagionali. Nei mesi più freddi, da settembre ad aprile, entrano nella fase riproduttiva, durante la quale rilasciano i gameti in acqua e subiscono modifiche interne. Questo processo rende le loro carni più filamentose, meno sode e meno saporite. Si tratta di una questione organolettica, ancor prima che sanitaria: in questo periodo, il mollusco perde consistenza e parte del suo tipico sapore marino. A questa regola fa eccezione un curioso dettaglio linguistico: gennaio non contiene la lettera “r”, eppure rientra nel periodo sconsigliato. Il motivo è che questa credenza non ha origine in Italia, ma in Francia, dove i mesi senza “r” (come mai, juin, juillet, août) corrispondono ai mesi più caldi, quando le cozze sono nella fase riproduttiva.

Perché qualcuno sostiene che le cozze siano migliori nei mesi con la “r”?

Esiste in realtà anche una versione opposta di questa credenza: molte persone sostengono che le cozze non andrebbero consumate nei mesi privi della lettera “r”. Paradossalmente, anche questa teoria ha una spiegazione plausibile a sostegno. Storicamente, si riteneva che i mesi più caldi — da maggio ad agosto — fossero più rischiosi per il consumo di molluschi filtratori come cozze, vongole e ostriche. Il motivo? La maggiore proliferazione di microalghe potenzialmente tossichenelle acque costiere durante l’estate. Le cozze, infatti, si nutrono filtrando l’acqua di mare e possono accumulare biotossine marine prodotte da fitoplancton nocivo. Oggi, però, grazie ai rigorosi controlli sanitari, alla tracciabilità e agli impianti di depurazione, questo rischio è stato drasticamente ridotto. I mitili disponibili in commercio sono sottoposti a verifiche costanti e risultano sicuri in ogni periodo dell’anno.

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L’idea che le cozze non vadano invece mangiate nei mesi senza “r” arriva da Regno Unito e Bretagna ma per una cattiva interpretazione: lì il riferimento è alle ostriche, la cui stagionalità va da ottobre ad aprile. Il detto è poi arrivato nel Mediterraneo ma è stato frainteso e applicato alle cozze, creando confusione.

Oggi, il consiglio di consumare cozze nei mesi estivi resta valido soprattutto per motivi di qualità. In estate, infatti, i mitili mediterranei hanno completato il ciclo riproduttivo e la loro carne è più soda, sapida e abbondante, perfetta per essere gustata nelle classiche preparazioni come l’impepata, i sauté o i primi piatti di mare. Un ulteriore aspetto riguarda la sostenibilità ambientale: preferire il consumo delle cozze dopo la fase riproduttiva significa rispettare i tempi naturali di rigenerazione della specie e ridurre la pressione sugli allevamenti. Alleviare questa pressione e rafforzare il legame con gli animali che popolano il nostro pianeta deve essere uno dei mantra del futuro. Quindi sì, continuate a mangiare le cozze solo in estate e date loro il tempo di vivere e riprodursi così da poterne godere più a lungo possibile.

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