Oliver Glowig è arrivato in Italia quasi trent’anni fa, con l’idea di fermarsi solo per un anno: voleva studiare da vicino la cucina italiana prima di proseguire in Francia. Ma le cose sono andate diversamente. Nativo di Düsseldorf e allievo di Otto Koch e Gualtiero Marchesi, Glowig è rimasto nel nostro Paese, conquistato dai prodotti, dalle tradizioni e dal calore delle persone.
Oggi è alla guida del Tre Olivi, ristorante stellato nel cuore in Cilento, per la precisione a Paestum, e continua a essere un punto di riferimento per la ristorazione italiana. Lo dimostrano anche i tanti cuochi che hanno lavorato al suo fianco e che oggi guidano cucine importanti, come Daniele Corona, Domenico Iavarone e Lorenzo Cuomo.
Tutti parlano di lui come di un grande maestro: «Io non faccio nulla di straordinario. Provo solo a trasmettere un metodo di lavoro”, ci racconta lo chef. «Per me è un onore sentirlo dire, perché i ragazzi delle brigate che ho avuto negli anni li considero un po’ come dei figli».
L’amore viscerale per l’Italia
«Volevo solo approfondire la cucina italiana per un anno, poi sarei dovuto andare in Francia, che allora consideravo il punto più alto della gastronomia. Invece l’Italia mi ha conquistato subito: i prodotti, le persone, le tradizioni. Non ho mai più sentito il bisogno di andare altrove», spiega lo chef.
Un amore confermato anche da Peppe Guida, chef stellato di Vico Equense, che ricorda come la migliore pasta fresca della sua vita l’abbia assaggiata proprio a Capri, realizzata da Glowig: un raviolo caprese perfetto, all’epoca al Capri Palace.
La crisi del lavoro nella ristorazione
Se la cucina di Oliver Glowig è apprezzata per il suo equilibrio tra radici mediterranee e rigore tecnico, altrettanto lo è il suo approccio alla formazione dei giovani chef. In un settore che fatica sempre più ad attrarre nuove leve, Glowig continua a credere nel valore della disciplina e dell’organizzazione – ma limitandole all’orario di lavoro. «Io non faccio nulla di straordinario», spiega. «Cerco solo di trasmettere un metodo. Sentire certe parole da parte dei ragazzi che sono passati nella mia brigata è un onore: per me sono come figli».
Glowig è ben consapevole delle trasformazioni culturali e sociali in atto: «I giovani cercano ambienti di lavoro più sereni, vogliono più tempo libero, meno stress. Ai miei tempi si lavorava tanto, è vero. Io continuo a farlo, ma non chiedo mai straordinari. Gli orari sono quelli. Se qualcuno si ferma, lo fa per passione, per imparare».
Il cuoco tedesco riflette anche sul cambiamento dei valori nel settore: «Forse hanno ragione loro. Ne parlavo con mia moglie (tra l’altro, originaria di Capri, ndr) qualche settimana fa, pensando a quanti compleanni e momenti importanti mi sono perso con la mia famiglia. Ho fatto sacrifici, ma forse la loro mentalità è quella più giusta».
Per Glowig, la maggiore attenzione alla qualità della vita non è una debolezza, ma un’opportunità per far crescere meglio la ristorazione.