Il giro tra i campi coltivati a bordo di un Land Rover Defender del 2000, restaurato con cura da Raffaello Coletta, è la ciliegina sulla torta di un soggiorno a Santa Lucia, residenza agricola immersa nel verde di Maccarese, a tre chilometri dal mare di Fregene. Aperto in piena pandemia, questo piccolo resort omaggia – con un approccio concreto e contemporaneo – la storia agricola del territorio: un paesaggio che, tra gli anni Venti e Trenta, fu bonificato e trasformato in una delle più grandi aziende agricole d’Italia e d’Europa. Oggi tutto è stato riconvertito, ma senza cancellarne la memoria. Santa Lucia sorge in uno di questi ex centri produttivi: un antico ovile diventato luogo di ospitalità rurale (ma chic), tra agriturismo e fattoria artigianale.
Rifugio agricolo tra memoria contadina e charme
L’idea è di Raffaele, già noto sul litorale romano per lo stabilimento balneare Controvento, che ha trasformato il complesso in una struttura con camere, ristorante, piscina e una forte vocazione all’autosufficienza gastronomica. Il cuore pulsante del progetto è, infatti, l’orto: circa 6mila metri quadrati coltivati a rotazione durante tutto l’anno, da cui arrivano zucchine (come quelle della foto di apertura che hanno ispirato uno degli antipasti nel quale si utilizza il 100% dell’ortaggio, dalle foglie al pistillo, più una sarda affumicata), pomodori di più varietà (da provare la loro linguina con datterino rosso e giallo, e cuore di bue e il bello di Trevignano), fragole (ottimo lo shot in combo con il pomodoro servito alla fine del percorso degustazione), poi carciofi, insalate, cicorie e verze.
Visto il suo amore per la Toscana, proprio l’altra mattina Raffaello ha piantato l’aglione della Val di Chiana, già protagonista di un primo piatto di pasta acqua e farina. Viene dal Lazio, invece, il ginepro con cui fanno distillare il loro gin (conferendo le materie prime a un’azienda nei pressi di Capalbio), un prodotto che racchiude molti dei profumi di Santa Lucia, come la lavanda, la foglia di limone e il rosmarino. Intorno all’orto, poi, crescono spontaneamente erbe e piante selvatiche: una garanzia di genuinità che testimonia quanto sia realmente biologico.

A gestire la cucina c’è lo chef Alessandro Squicquero, che lavora con un’impostazione fortemente stagionale e pragmatica: si cucina quello che c’è. Il menu è prevalentemente vegetariano, ma non mancano le proteine animali: la carne proviene dalla cooperativa Testa di Lepre, specializzata in piccoli allevamenti bradi, tra cui maiali da 200 kg alimentati con ghiande e foraggi naturali, e si stanno avviando anche le prime prove di norcineria.
Nelle vicinanze dell’orto ci sono le arnie per il miele, gli ulivi per l’olio e – novità del 2025 – quattro ettari e mezzo di grano seminati. L’obiettivo è chiudere il cerchio della filiera con una produzione interna di farine per pane e dolci (già tutti fatti in casa) e a breve inizieranno la trebbiatura. E le verdure e la frutta che non finiscono nei piatti del ristorante, vengono vendute direttamente ai privati grazie all’azienda agricola Tenuta Terre dell’Agro, per un modello agricolo che non è solo sostenibile, ma anche vivo e condiviso.
Chi pernotta in una delle otto camere può scegliere il tipo di colazione: voi siete team dolce o salato? Se optate per il dolce, vi ritroverete a spalmare burro e marmellata con vista sulla piscina. A quel punto, l’unico vero dilemma sarà scegliere il lettino giusto per trascorrere il resto della giornata tra sole e relax.
