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Pasta di riporto: il segreto antico che dà carattere a pizza e lievitati

Tecnica, storia e usi di un impasto che unisce memoria artigiana e fermentazioni naturali.

La pasta di riporto è un impasto già lievitato, prelevato da una lavorazione precedente di pane o pizza, conservato e riutilizzato come agente lievitante per una nuova preparazione. È una tecnica antica, nata in epoche in cui il lievito di birra non era disponibile o diffuso, e che ancora oggi viene usata da panificatori e pizzaioli che vogliono ottenere un prodotto più aromatico, digeribile e con una struttura interna particolare. La forza della pasta di riporto risiede nella flora microbica mista che contiene: lieviti e batteri lattici che, già attivi, accelerano e arricchiscono la fermentazione dell’impasto successivo.

A cosa serve e come si utilizza

La pasta di riporto agisce come un lievito vivo, trasmettendo al nuovo impasto parte della propria forza fermentativa e soprattutto il patrimonio aromatico sviluppato nella lievitazione precedente. Si utilizza in panificazione, per pizze, focacce, grissini, ma anche per alcuni dolci lievitati rustici.

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In pratica, quando si impasta pane o pizza, se ne preleva un pezzo da 80 a 200 grammi (la quantità dipende dalla ricetta e dal peso della farina) prima della formatura, lo si avvolge in pellicola o si mette in un contenitore chiuso e lo si conserva in frigorifero. Nella lavorazione successiva, quella porzione si unisce agli ingredienti freschi — farina, acqua, sale — e, grazie alla sua carica microbica, accelera l’avvio della fermentazione, conferendo una complessità di profumi che un lievito istantaneo non può replicare.

Il tempo di lievitazione con pasta di riporto è variabile: in genere è più breve rispetto all’uso esclusivo di lievito madre, ma più lungo di quello con solo lievito di birra. L’esperienza del panificatore sta nel bilanciare quantità di pasta di riporto e tempi di riposo, tenendo conto della temperatura ambiente e dell’idratazione dell’impasto. Storicamente le famose pizze a portafoglio napoletane sono fatte con la pasta di riporto: in questo caso però non era un “prelievo” volontario del pizzaiolo, veniva solamente usato l’impasto avanzato della sera prima per fare delle pizzette da strada.

Origini storiche e ruolo nelle panetterie tradizionali

La pasta di riporto ha radici che affondano in un’epoca in cui il lievito di birra compresso non esisteva ancora e la fermentazione era affidata esclusivamente a colture spontanee. Nei forni e nelle panetterie di città, l’impasto del pane veniva preparato in grandi quantità: dopo la cottura, una parte del pane crudo — già impastato e salato — veniva messa da parte per innescare la lievitazione del giorno successivo.

Nel Mezzogiorno, specialmente in Campania e in Puglia, il termine criscito o crescito indica proprio questa pasta madre di riporto. Prima della produzione industriale di lievito di birra, la pasta di riporto era l’unico modo sicuro per garantire una lievitazione stabile e controllata, e la sua gestione richiedeva un sapere empirico tramandato di generazione in generazione.

Oggi, il suo impiego resiste in panifici che vogliono distinguersi con un prodotto autentico, legato al territorio, e tra appassionati di panificazione domestica che cercano profumi e sapori che ricordano il pane di una volta.

Differenza tra pasta di riporto e lievito madre

La pasta di riporto e il lievito madre condividono la presenza di lieviti e batteri lattici, ma si distinguono per modalità di mantenimento e uso.

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Il lievito naturale è un impasto di acqua e farina rinfrescato periodicamente per mantenere attiva la flora microbica, ed è concepito per essere perpetuato nel tempo come “madre” di tutti gli impasti. La pasta di riporto, invece, non è un lievito a sé stante ma un impasto già maturo e salato, residuo di una panificazione precedente. Proprio la presenza del sale — che inibisce parzialmente l’attività microbica — fa sì che la pasta di riporto abbia una vita più breve e non possa essere rinfrescata all’infinito come il lievito madre.

In sintesi, il lievito naturale è un organismo vivo da gestire costantemente, mentre la pasta di riporto è una sorta di “scorciatoia” che trasferisce al nuovo impasto aromi e forza fermentativa accumulati in un ciclo di lavorazione precedente.

Conservazione e come rinfrescare il criscito

Per prolungare l’efficacia della pasta di riporto, è necessario conservarla in modo corretto. In frigorifero, avvolta bene per evitare disidratazione, mantiene una buona attività per 2–3 giorni. Oltre questo tempo, la forza lievitante si riduce e i sapori tendono a virare verso note acide troppo marcate.

Se volete mantenerla più a lungo, potete procedere a un rinfresco simile a quello del lievito madre. Il rinfresco consiste nell’impastare la pasta di riporto con farina e acqua, in proporzioni che riportino l’idratazione intorno al 50–55%, e lasciarla fermentare a temperatura ambiente fino al raddoppio del volume. Una volta rinfrescata, può essere usata subito o conservata nuovamente in frigorifero, avendo però cura di non prolungare troppo i tempi tra un utilizzo e l’altro per non indebolire la microflora. Parliamo comunque di due pre impasti differenti e la pasta da riporto non è assolutamente “immortale”. Dopo qualche giorno, pur con i rinfreschi, tende ad appassire rovinando tutto.

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Foto da Shutterstock

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