Guardando la statua bronzea della Fanciulla con canestro di frutta posta al centro del Mercato Albinelli di Modena, sul lato destro si riconosce un’emblematica bottega dove fermarsi a mangiare: Balsamico e Cucina. Si tratta dell’attività gastronomica di Monari Federzoni, storica acetaia modenese guidata da cinque generazioni di donne. Ai fornelli, dal 2021 circa, c’è Shota Mitamura, trentatreenne originario di Kanagawa, vicino a Tokyo, che unisce la tradizione secolare dell’aceto balsamico alla precisione e alla sensibilità della cucina giapponese.
Cresciuto in una famiglia di ristoratori – suo padre gestisce un ristorante di cucina italiana in Giappone –, Mitamura racconta di non aver mai lavorato lì e aggiunge «ho osservato tanto mio padre cucinare e da lì ho imparato la passione per i sapori italiani». Nella capitale del Giappone ha iniziato in una pizzeria di proprietà napoletana, dove ha conosciuto la sua attuale moglie, originaria di Campobasso, con cui ha scelto di trasferirsi in Emilia.
Il suo percorso professionale in Italia comincia al ristorante Strada Facendo di Modena, dove è rimasto quattro anni costruendo la sua conoscenza della cucina regionale. Poi l’incontro con Monari Federzoni e l’opportunità di guidare la proposta culinaria della loro bottega tra i banchi del mercato.
La cucina come traduzione culturale
Da Balsamico e Cucina, Mitamura lavora con un approccio rispettoso: «Cerco di restare fedele alla cucina modenese, senza folclore. Alcune ricette non le tocco: ognuno ha la sua idea di ragù, per esempio», spiega. La sua precisione giapponese e il rispetto per la tradizione emiliana si fondono in piatti che non “esotizzano” Modena, ma la raccontano con occhi nuovi.

L’aceto balsamico è così diventato il suo ingrediente-simbolo: «All’inizio lo usavo solo nell’insalata, poi ho capito che poteva entrare nelle salse, nei dessert, perfino nei biscotti. Con il balsamico tutto cambia». Oggi i suoi cavalli di battaglia – da assaggiare rigorosamente con aggiunta di una delle referenze di balsamico della casa – sono i calzagatti, alias quadrotti di polenta fritta con fagioli, i tortellini in crema di Parmigiano Reggiano, il gelato alla crema con balsamico e i biscotti al burro e aceto balsamico, dove l’equilibrio tra dolce e agro è diventato una piccola firma.
L’acetaia al femminile

Se oggi l’aceto balsamico di Modena viaggia in così tanti Paesi (circa 100), è anche grazie all’intuizione di una donna. Agli inizi del Novecento, Elena Monari – proprietaria di un’osteria nel cuore di Modena – serviva ai clienti il suo balsamico fatto in casa, come facevano molte famiglie della zona. La differenza fu che lei, per prima, ne capì le potenzialità tanto da registrarne la licenza di vendita. Da quel gesto pionieristico nacque l’azienda Monari Federzoni (dal nome del marito), che trasformò un rito familiare in un prodotto capace di arrivare al mercato, mantenendo anche la parte agricola: sono l’unica e più grande realtà del territorio dal punto di vista della coerenza rispetto ai vigneti, con oltre 100 ettari vitati che permettono di coprire circa il 30% di necessità di mosto.
Quella scelta aprì la strada a un’avventura che è rimasta saldamente familiare e, soprattutto, al femminile: oggi l’azienda è guidata da Sabrina Federzoni, affiancata ancora dalla madre Ines, dalla sorella Elena (stesso nome dell’ava fondatrice a cui è dedicata una delle loro migliori referenze dell’acetaia, l’Igp Invecchiato, con una bottiglia personalizzata che ricrea l’immagine di Elena da giovane grazie a un’illustrazione) e già dalla quinta generazione con la figlia di Sabrina, Vittoria, che attualmente segue il mercato americano. Un’impresa che non ha mai lasciato Modena, né nelle radici né nei dipendenti, con una fedeltà al territorio così forte da sembrare un valore aggiunto nel gusto stesso del balsamico.
Accanto all’aceto, la famiglia custodisce anche una collezione di auto d’epoca, simbolo di una passione per la velocità che convive con la lentezza dell’invecchiamento balsamico. Un contrasto che racconta bene il capoluogo dell’omonima provincia in Emilia-Romagna: capitale del motore e della pazienza gastronomica. Chi fosse curioso di vederle esposte può partecipare al prossimo appuntamento di Acetaie Aperte, in programma a fine mese.
Ma se l’anima resta locale, il destino è stato internazionale. Il primo a credere nel balsamico Monari Federzoni fu Giorgio DeLuca, fondatore di Dean & DeLuca, tempio di alimentari gourmet di Broadway: da lì il passo verso gli Stati Uniti fu naturale. Negli anni Ottanta, a New York e a San Francisco, il balsamico divenne simbolo di raffinatezza: non più solo condimento, ma accessorio di lusso.
Dentro l’acetaia, la tradizione si mescola con scelte di metodo rigorose: uso del mosto cotto e non concentrato, attenzione maniacale al legno delle botti, fermentazioni curate da enologi come se fosse vino pregiato. Perché, sfatando un mito, il balsamico non nasce dal vino cattivo: se il vino ha difetti, li porta con sé anche nell’aceto. Oggi Monari Federzoni conta oltre 5mila botti di invecchiamento e 200 ricette di aceto per mercati diversi, ma la sostanza non cambia. Ogni goccia racconta di un’osteria in centro a Modena, di donne che hanno creduto in un’idea, e di un legame con il territorio che, ancora, profuma di Lambrusco, il vitigno più rappresentativo di questa produzione tra i sette dell’aceto balsamico: Sangiovese, Trebbiano, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni.
