Un piatto di pasta “stracotta”, servita fredda e dalla marcata nota acidula: non stiamo parlando di un errore da ristorante da battaglia, ma di un grande piatto assaggiato di recente in uno degli indirizzi fine dining più interessanti della Capitale. Certo, c’è un che di provocatorio ma tutt’altro che fine a sé stesso.
E tutto torna se si considera che a proporlo è Roy Caceres, chef di origini colombiane ma in Italia dal 1993. Con un nonno originario dalla Siria, e una moglie sarda, nei suoi menu la contaminazione non è mai mancata, così come la ricerca: direttrici gastronomiche che da Orma – il ristorante aperto nella primavera 2023 a due passi da via Veneto insieme all’imprenditore Vincenzo Fiengo – si esprimono con più forza che mai, in un percorso gastronomico che mescola spesso e felicemente sapori nostrani e lontani, ingredienti esotici e locali (in particolare, quelli in arrivo dall’orto dedicato a Orma e curato in prima persona insieme a Silvia Galan e Pietro Segatta all’interno della loro azienda agricola Santa Teresa ad Ardea, in provincia di Roma), in piatti come la “Pardula” di pasta fresca ispirata al dolcetto sardo, con peperone crusco, kefir di capperi e ‘nduja, o il Tamal con manzo Wagyu e Muhammara (salsa con noci pecan ispirata alla tradizione di Aleppo), entrambi nel menu Tracce Indelebili.
Ceviche/Mais/Spaghetti
Nello stesso menu è presente anche un piatto chiamato Ceviche/Mais/Spaghetti: non un classico “primo piatto”, e nemmeno uno “spaghetto” creativo, ma una ricetta senza passaporto in cui la pasta diviene ingrediente e soprattutto texture all’interno di una preparazione complessa, tanto dal punto di vista tecnico quanto per il ragionamento alla base, anche se godibilissima e immediata nei sapori.

E rappresenta un punto di arrivo importante – anche se certo non finale, per una cucina in costante movimento anche grazie alla collaborazione di Giovanni Oliveri che, da tempo accanto a Caceres, lo affianca oggi nella cucina di Orma assieme a Pier Mario Fiengo ed è addetto alla Ricerca&Sviluppo – di un percorso di studio sulla pasta che è iniziato già da diversi anni: chi si è seduto alla sua tavola da Metamorfosi, ad esempio, ricorderà senz’altro la Anti-pasta con le “finte” fettuccine di mare prive di carboidrato e l’Uovo 65° Carbonara: uno dei suoi signature, creato già nel 2010, in cui a dare la parte croccante alla sua interpretazione del grande classico romano erano le mezze maniche soffiate. Mentre da Orma sono nati i ravioli d’ostrica ispirati alla Cina.
«Sia da Metamorfosi sia da Orma, non abbiamo mai proposto primi piatti “tradizionali”, ma abbiamo voluto giocare cercando di concentrare il gusto all’interno della pasta stessa», racconta Caceres. Libero da costruzioni culturali e vincoli di appartenenza alla tradizione, ha voluto anche provare a fondere il Dna culinario delle sue origini con quello italiano: «L’idea di lavorare su un “ceviche di pasta” c’era già da diversi anni, ci avevo lavorato anche con Ciro Scamardella da Metamorfosi e avevo provato pure da Carnal (l’irresistibile format di cucina latina pop aperto a Roma dal 2020 al 2024, di cui in tanti attendono la ripartenza, nda) a mettere del pesce crudo sopra la pasta fredda: ma mi sembrava sempre che mancasse qualcosa».
La quadratura del cerchio è arrivata nella cucina di Orma, dove Roy Caceres propone una cucina “alta” e senza confini che celebra ingredienti, sapori e tecniche da ogni angolo del mondo mettendole al servizio del sapore e di un’esperienza entusiasmante (accompagnata alla grande tanto dai diversi pani sfornati quanto dalle etichette mai banali proposte dal sommelier Luca Pozzoli).
«Con Giovanni abbiamo iniziato a lavorare sulla texture della pasta, domandandoci se davvero per un ceviche fosse indispensabile il pesce crudo: così, lo abbiamo sostituito appunto ricercando una consistenza particolare degli spaghetti che in qualche modo sostituiscono quella del pesce, e mantenendo invece la freschezza e acidità tipiche di questa preparazione». Secondo una tecnica già adottata da Caceres (e anche da altri chef) in precedenza, la cottura della pasta viene prolungata di due minuti rispetto al tempo indicato dal produttore: scolati e immersi in acqua, giaccio e soia bianca, per effetto della retrogradazione degli amidi dovuta al cambio di temperatura gli spaghetti acquistano una texture scivolosa e mordacea che replica in qualche modo quella della proteina animale.
La parte acidula del ceviche, data dal leche de tigre, è affidata invece a un altro ingrediente basilare della preparazione tipica di Perù e dintorni: il mais. «In questo caso abbiamo lavorato sulla varietà chiamata Pignoletto, che cresce nell’orto di Santa Teresa: facendo lattofermentare il succo per quattro giorni, otteniamo un condimento dall’acidità adatta a sostituire quella del limone o lime». Per la parte aromatica, al posto del coriandolo fresco Caceres usa i semi tostati, che ne apportano la nota fresca e agrumata con un’aggiunta speziata e appunto tostata, mentre a donare al piatto la componente marina e iodata c’è l’alga kelp tagliata nella stessa forma degli spaghetti e aggiunta al succo a base di mais.
A tavola, vengono aggiunti gli ultimi tocchi, a cominciare dal pestato realizzato a vista, con pestello e mortaio, a base di tanti ingredienti coltivati nell’orto di Ardea appositamente per Orma: alla base ci sono i semi di jalapeño tostati, e poi gli stessi peperoncini freschi e tagliati a cubetti insieme al cipollotto, a dare una nota croccante, ma anche “en curtido”, una conserva in soluzione acetica ma leggermente dolce, con aggiunta di olio: «Li raccogliamo soprattutto in questo periodo, che è l’apice del raccolto, e ne facciamo questa purea leggermente dolciastra», racconta lo chef.
E ancora una rapa piccantina grattugiata a dare freschezza e pungenza che ricordano quelle del Daikon Oroshi giapponese, la nota agrumata della buccia di lime, la componente erbacea delle foglie di prezzemolo, e infine un olio con la parte verde del cipollotto: «Mescoliamo tutto e lo aggiungiamo a finire il piatto, come se fosse un Ají colombiano, un mole messicano o comunque un pesto crudo, che alla fine è una preparazione comune a tante culture», nota Caceres. «So che in Italia può essere vista come una provocazione servire della pasta fredda, ma soprattutto acida, in un fine dining. Ma quando la si assaggia, ci si discosta dal fatto che sia un piatto di pasta, diventa ingrediente di un piatto “altro” e più complesso, come indica anche il nome con cui è presentato».
Il risultato? Un grande successo, apprezzatissimo in questa calda stagione estiva, che è ormai già un must e resterà in menu ancora per un bel po’. C’è da scommettere che manterrà il suo charme anche in inverno.