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Quando birra artigianale fa rima con inclusione sociale

Non si tratta più soltanto di ricerca della qualità, sempre più produttori e organizzatori di eventi scelgono di farsi portavoce anche di valori sociali.

«La birra è di per sé inclusiva. Non la si beve in tavoli rotondi, a numero chiuso, ma piuttosto in lunghe tavolate, dove si sta in otto ma volendo anche in dodici». Difficile non essere d’accordo con Raffaele Abbattista, ideatore, insieme a Marta Florio, di Bolle di Malto, evento che ogni anno porta nel centro di Biella alcuni dei migliori birrifici artigianali italiani. 

Il festival Bolle di Malto 

L’edizione 2025, tenutasi a fine agosto, è stata la decima. Parallelamente al festival birrario e al ricco calendario di appuntamenti musicali, si è svolto anche il Salone Italiano della Birra, uno spazio di confronto per gli operatori del settore. Tra i tanti argomenti trattati, l’inclusività ha avuto un ruolo centrale.

«L’associazione Cortocircuito, che organizza Bolle di Malto, si occupa di fragilità di diverso tipo e sin dalla prima edizione abbiamo pensato a un festival inclusivo, trovando terreno fertile tra i birrifici», afferma Abbattista.

Al di là dell’ingresso gratuito, Bolle di Malto è infatti un evento privo di barriere architettoniche, realizzato anche grazie a volontari diversamente abili, alcuni dei quali hanno conseguito la qualifica di sommelier della birra.

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«Durante l’ultima edizione, alcune degustazioni le hanno tenute due ragazzi con la sindrome di Down, che hanno proposto i loro abbinamenti. Si è poi parlato di inclusione durante l’incontro con Nico Acampora di PizzAut e abbiamo organizzato dei trekking senza barriere in montagna», racconta Abbattista. 

Il mondo della birra artigianale non è nuovo a questo tipo di sensibilità. Tanto per citare un paio di birrifici, tra quelli che hanno partecipato alla kermesse biellese: La Piazza, di Torino, è uno dei progetti de La Piazza dei Mestieri, che ha come obiettivo il contrasto alla dispersione scolastica, attraverso percorsi professionali. Il Birrificio 5+, in provincia di Trento, dal canto suo,  nel processo produttivo si avvale dell’aiuto di ragazzi autistici.

I birrifici sociali italiani

Il più longevo tra i birrifici sociali è La Vecchia Orsa, nato nel 2008 in un casolare della provincia di Bologna. Dato il coinvolgimento di persone con disabilità, l’assegnazione di un ruolo a ciascuno è studiato su misura. In poche parole: è il lavoro che si adatta agli individui, e non il contrario.

«Siamo stati i primi. Dopo di noi sono nati altri progetti molto interessanti» racconta Martino Piccoli, birraio della Vecchia Orsa. «Molti ci chiedono consigli, essendo i più vecchi. Per noi è un’occasione di confronto con un settore che sta evolvendo. Più siamo e più cresciamo. L’obiettivo finale di tutti è l’inclusione lavorativa».

Da qualche anno questo spirito collaborativo si traduce anche in un evento che si tiene in uno dei due locali bolognesi della Vecchia Orsa. «Quello dei birrifici sociali è diventato un movimento importante. Tre anni fa abbiamo deciso di riunirci per trascorrere insieme due giorni di confronto, collaborazione e lavoro».

L’ultima edizione del Social Beer Festival, tenutasi a metà settembre, ha visto protagonisti diversi birrifici. Oltre alle birre dei padroni di casa e dei ragazzi de La Piazza, di cui abbiamo già parlato, alle spine del pub Fuori Orsa sono state attaccate le creazioni firmate Articioc (Parma), Bàgolo (Verona), Sbam (Bari) e Pintalpina (Sondrio), realtà impegnate a offrire opportunità a persone con difficoltà psico-cognitive o fisiche. Nel panorama brassicolo italiano non mancano però esperienze di supporto verso altre categorie vulnerabili, come nel caso dei progetti connessi all’economia carceraria. Secondo Martino Piccoli de La Vecchia Orsa, i birrifici sociali attivi oggi in Italia sono circa una quindicina. Non possiamo ancora parlare di numeri importanti, ma possono sicuramente rappresentare un seme destinato a crescere.

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