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Gli italiani conoscono il caffè? I dati sorprendenti di una nuova indagine

Il 1° ottobre è la Giornata Internazionale del Caffè. Un’indagine condotta da AstraRicerche mette in evidenza sia lacune clamorose sia dati confortanti.

Sempre pronti alle levate di scudi in difesa del patrimonio gastronomico nazionale, gli italiani hanno un rapporto viscerale con il caffè. Eppure, proprio nella tazzina si nasconde un paradosso. Se è vero che siamo la patria dell’espresso, è altrettanto corretto ricordare che questa bevanda non è certo un prodotto nostrano. 

Quello che oggi appare come un rito quotidiano e simbolo di ospitalità arrivò a Venezia solo nel XVI secolo e, all’inizio, fu accolto con una certa diffidenza. Ma dopo quasi cinque secoli, possiamo davvero dire di conoscere il caffè? Se lo è chiesto il Comitato Italiano del Caffè di Unione Italiana Food, che ha commissionato una ricerca dai risultati a tratti sorprendenti. E non sempre in positivo.

Le abitudini di consumo

Più di sette nostri connazionali su dieci bevono caffè ogni giorno, con picchi del 75% nella fascia d’età 35-65 anni. Nel confronto tra sessi, sono le donne a vincere la sfida del consumo quotidiano.

Interessante ciò che emerge sulle preferenze di estrazione: altro che tradizione, cialde e capsule hanno superato da tempo la vecchia moka, sebbene quest’ultima, dopo anni di calo, stia vivendo una leggera risalita.

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Il più amato resta però l’espresso, considerato un vero piacere, per di più accessibile a tutti. Ecco perché fa tanto rumore il cosiddetto “caro tazzina” al bar.

Solubile e americano sono molto noti; mentre, altri metodi di estrazione – come la French press o il cold brew – restano di nicchia. Un dato che fa riflettere: probabilmente queste preparazioni sono lontane dal gusto italiano, ma soprattutto richiedono un approccio più “rilassato” che contrasta con il nostro, spesso frenetico. 

Rimandati in geografia

Dicevamo delle origini esotiche del caffè. Ma quanto ne sappiamo sulla provenienza di ciò che beviamo? Il Brasile è menzionato come primo produttore mondiale dalla maggioranza del campione, che cita correttamente anche la Colombia tra i principali Paesi esportatori.

Molto meno noti, invece, due colossi come Vietnam e Indonesia – rispettivamente secondo e quarto al mondo per volumi di produzione – chiamati in causa solo dal 10,6% e dall’8,9% degli intervistati.

Al di là delle lacune geografiche, ciò che colpisce (e preoccupa) è la scarsa consapevolezza della filiera. Oltre il 44% crede che in Italia esistano piantagioni di caffè e solo il 40,5% sa che i chicchi diventano scuri dopo la tostatura e non nascono così. Inoltre, solo il 53,8% sa che i chicchi sono contenuti in frutti e non mancano coloro che addirittura pensano che crescano sottoterra.

Dati incoraggianti

Arabica e Robusta non sono parole misteriose, anzi, c’è una discreta consapevolezza delle differenze in termini di aroma e contenuto di caffeina di queste due varietà.

Ottima è la conoscenza degli elementi che influenzano il sapore e l’aroma del caffè: area di coltivazione (82,9%), processi di lavorazione nei Paesi d’origine (79,9%) e soprattutto la tostatura, indicata da un incoraggiante 88,7%. Poco più del 70% riconosce invece un ruolo determinante alla miscela.

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