Ciclicamente, i fatti di cronaca portano alla ribalta mediatica questioni di sicurezza alimentare che, solitamente, sono relegate in ambito medico e scientifico. È il caso dei pericoli connessi al consumo di prodotti caseari a latte crudo. Inevitabilmente il dibattito porta alla formazione di schieramenti opposti che vedono da un lato coloro che, con rigore scientifico, analizzano le probabili conseguenze per la salute; e dall’altro una più variegata schiera che, per ragioni diverse, decide di assumersi i rischi. Il nostro obiettivo è proporre un approccio equilibrato, evitando eccessi allarmistici senza cadere nel negazionismo.
Quali sono i rischi per la salute?
Il latte crudo è semplicemente latte non sottoposto a pastorizzazione, trattamento termico che serve a distruggere eventuali microrganismi patogeni. L’aggettivo “eventuali” è fondamentale: il rischio non è mai nullo, ma a meno che non ci si trovi di fronte a condizioni igieniche scadenti, lontane dagli standard di legge, le probabilità di contaminazione sono generalmente basse e perlopiù con conseguenze poco significative per gli adulti sani.

Con i formaggi stagionati per più di 60 giorni, a pasta dura e con bassa umidità, il discorso cambia: le probabilità di avere problemi di salute si abbassano drasticamente. Cosa non da poco, visto che in questa categoria rientrano specialità di larghissima diffusione come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e pecorini.
Diciamolo senza indugio: categorie vulnerabili come donne in gravidanza, neonati, bambini piccoli, anziani e soggetti immunocompromessi dovrebbero astenersi dal consumo di formaggi che non siano realizzati a partire da materia prima pastorizzata.
Negli adulti sani, la probabilità di sviluppare problemi seri è generalmente bassa. Quando le infezioni si verificano, si manifestano di solito come gastroenteriti che tendono a risolversi spontaneamente in pochi giorni.
Tuttavia, non sono da escludere complicanze più gravi: la listeriosi può causare sepsi o meningite, ma anche in questo caso il rischio è statisticamente moderato per gli adulti in salute. Inoltre, sebbene in casi rarissimi, la contaminazione può avvenire anche in formaggi da latte pastorizzato, durante la produzione o la stagionatura.
La sindrome emolitico-uremica (SEU)
Molto temuta è la sindrome emolitico-uremica (SEU), una malattia rara negli adulti ma che riguarda principalmente bambini e soggetti vulnerabili. Per intenderci: nel 2022, anno con il maggior numero di casi registrati in Italia, si sono contati 91 episodi in totale, di cui ben 89 in età pediatrica. Non tutti possono essere collegati con certezza al consumo di formaggi a latte non pastorizzato: la SEU è quasi sempre provocata da particolari ceppi di Escherichia coli (detti STEC), che si possono trasmettere anche attraverso carne cruda o poco cotta, acqua contaminata o il contatto diretto con animali.
I sintomi più caratteristici, che possono variare in gravità, sono insufficienza renale, piastrine basse e anemia. Nella maggior parte dei bambini la malattia si risolve, ma in alcuni casi può lasciare conseguenze permanenti a livello renale. La mortalità, oggi, è fortunatamente molto bassa grazie alle cure disponibili.
Il 9 luglio scorso il Ministero della Salute ha pubblicato delle “Linee guida per il controllo di Escherichia coli produttori di Shiga-tossine (STEC) nel latte non pastorizzato e nei prodotti derivati”, che, in estrema sintesi, forniscono agli allevatori e ai caseifici indicazioni su buone pratiche igieniche, controlli e analisi, oltre a suggerire le informazioni da garantire ai consumatori.
Non sono mancate le reazioni alla pubblicazione di questo documento del governo. In particolare, l’Associazione Italiana di Agroecologia (AIDA) ha raccolto la voce di 22 associazioni in una lettera aperta al Ministero. Nel testo, AIDA sottolinea l’importanza dei formaggi a latte crudo sotto diversi punti di vista — dalla qualità nutrizionale alle implicazioni relative alla salvaguardia del territorio — ed evidenzia che, a fronte di un numero esiguo di casi di SEU inequivocabilmente legati al latte crudo, l’allarmismo mediatico rischia di penalizzare gravemente i piccoli produttori, in particolare quelli montani, senza benefici reali per la salute pubblica. L’Associazione propone dunque un approccio basato su formazione degli operatori, sperimentazione di buone pratiche igieniche e informazione corretta, con la dicitura “a latte crudo” da intendere come segno di qualità piuttosto che come un avvertimento di pericolo.
Perché consumare i formaggi a latte crudo
Dopo aver dato la giusta dimensione alle legittime preoccupazioni, concentriamoci infatti ora su degli aspetti positivi. Il primo è prettamente edonistico: i formaggi a latte crudo sono più stimolanti a livello organolettico. La pastorizzazione “appiattisce” le sensazioni aromatiche e gustative, specialmente nel caso di latte di animali allevati al pascolo, che conserva le caratteristiche delle erbe che essi hanno mangiato. Da non dimenticare poi che nella produzione casearia entrano in gioco anche una vastissima serie di “microrganismi buoni” i quali, in caso di pastorizzazione, farebbero la stessa fine di quelli patogeni: eliminati.

A quel punto si dovrà sostituirli con fermenti industriali che, ancora una volta, daranno il loro contributo alla non nobile causa dell’omologazione del gusto. Spostando l’attenzione sul piano nutrizionale, proprio questi batteri lattici naturali, grazie alla loro biodiversità, sono essenziali per la salute dell’intestino. Il latte crudo, inoltre, conserva tutti i minerali e le vitamine termolabili e garantisce vari benefici per il nostro organismo: sul sistema immunitario, e con effetti antinfiammatori e ipotensivi.
Infine, dal punto di vista sociale e ambientale, generalmente questo genere di produzioni riguarda piccole aziende agricole e artigianali, il che contribuisce a mantenere posti di lavoro ed economie familiari, specie in zone rurali e montane a rischio spopolamento, con conseguente salvaguardia dei territori. Vi è poi tutto un patrimonio immateriale e identitario, costituito da tradizioni e da saperi legati alle tecniche produttive, che a nostro avviso andrebbe tutelato.
In conclusione, cosa fare?
Concedeteci il dubbio che l’eccessiva apprensione sia dettata, oltre che da occasionali ipocondrie collettive legate all’attualità, anche dagli interessi economici in gioco. Una maggiore consapevolezza da parte di tutti – dai dettaglianti ai consumatori – è essenziale, soprattutto per evitare che certi prodotti finiscano nel piatto di soggetti a rischio. Alla luce di tutto ciò, proviamo a rispondere alla domanda iniziale. Affermare che i formaggi a latte crudo siano pericolosi è quantomeno impreciso: sarebbe più corretto dire che i formaggi a latte crudo, freschi, o stagionati per meno di 60 giorni, possono comportare un rischio da non correre per le categorie fragili. Gli adulti sani, invece, oltre ad avere minori probabilità di contrarre infezioni, nella maggior parte dei casi, sviluppano sintomi lievi che si risolvono spontaneamente.