Alajmo

Alajmo, un affare di famiglia che fa viaggiare il gusto italiano

Dalla provincia padovana al mare aperto, passando per Venezia, Parigi, Cortina e Marocco: tra fine dining, design, porcellane e pasticceria, la rotta brillante e salda di uno dei nomi più iconici della cucina italiana.

Un piatto mezzo decorato e mezzo bianco. Da qui parte un viaggio che attraversa oceani, portando con sé cinque secoli di cultura veneziana e una precisa idea di eleganza.
Si chiama 510 la collezione nata dall’incontro tra Gran Caffè Quadri e Manifattura Geminiano Cozzi Venezia 1765, omaggio a due icone della città lagunare che nel 2025 hanno festeggiato, rispettivamente, 250 e 260 anni (ne abbiamo già parlato qui). Disegnata a Venezia e realizzata in fine porcellana Bone China, la linea è già a bordo delle navi di Crystal Cruises, dove la famiglia Alajmo firma la proposta gastronomica come consulente. Questa è l’ultima sfida per il gruppo, che dalla scorsa estate ha portato il proprio stile anche in mare, aggiungendo questo capitolo alla costellazione di 14 insegne tra Italia, Francia e Marocco.

Mise en place al Ristorante Quadri con le ceramiche di Geminiano Cozzi ph. Riccardo Andreatta

Quello degli Alajmo è uno dei cognomi più solidi della ristorazione italiana. Lo è anche solo per il fatto che Massimiliano Alajmo, chef e patron del tristellato Le Calandre a Sarmeola di Rubano, in provincia di Padova – il più giovane al mondo nel 2002 a conquistare le tre stelle Michelin, a soli 28 anni – guida con il fratello Raffaele e la sorella Laura un gruppo che è insieme impresa, laboratorio e famiglia.

Un’espansione misurata

Tutto comincia alle porte di Padova, lungo la trafficata via della Provvidenza, dove Erminio Alajmo e Rita Chimetto aprono nel 1981 una locanda con ristoro, ottenendo la prima stella Michelin di famiglia quando mamma Rita era ai fornelli. Oggi Erminio resta l’uomo della tartare, preparata al momento e servita personalmente da lui ai tavoli del Calandrino, il bistrot accanto al ristorante che “vale il viaggio” e dirimpettaio della loro bottega con gastronomia La Dispensa. Il passaggio di testimone ai figli risale, invece, ai primi anni Novanta, insieme all’apertura de La Montecchia (ristorante oggi chiuso).

I fratelli Alajmo, Massimiliano e Raffaele ph. Jessica Zufferli

Da allora la crescita è stata costante. Nel 2011 l’approdo a Venezia, con la sfida di piazza San Marco e la triade d’insegne sotto le Procuratie – Ristorante Quadri (1 stella Michelin), Bistrot Quadrino e Gran Caffè Quadri – riportata a nuova vita grazie al dialogo con l’architetto e designer francese Philippe Starck e agli artigiani veneziani. Poi l’espansione nella campagna trevigiana con Le Cementine, il laboratorio-ristorante immerso nel verde, e AMOR, stazione del gusto all’interno del campus di H-FARM, sempre in collaborazione con Starck.

Oltre i confini italiani, c’è il raffinato Caffè Stern a Parigi, bistrot all’italiana che celebra la tradizione del caffè grazie alle produzioni dell’amico Gianni Frasi, torrefattore veronese scomparso nel 2018, il cui nome continua a vivere nel segno di Giamaica Caffè. Più recente è la presenza sulle Dolomiti, con Alajmo Cortina nei rinnovati spazi dello storico El Toulà, e in Marocco, con Sesamo a Marrakech e Coccinella a Tamuda Bay, all’interno del Royal Mansour, il riad della famiglia reale.

La novità imprenditoriale del 2025, questa volta, è in mare aperto. Sulle navi di lusso Crystal Serenity e Crystal Symphony è approdata Osteria d’Ovidio, il nuovo ristorante firmato Alajmo, dove si può scegliere tra tre menu distinti: Italia, dedicato alla tradizione regionale con grandi classici, tra cui vitello tonnato e parmigiana di melanzane; Le Calandre, con signature come il cappuccino di seppie al nero; e A Venezia, che reinterpreta la cucina lagunare in chiave contemporanea, con i ravioli di burrata ai frutti di mare, ad esempio.

Il laboratorio di pasticceria: due novità per il Natale 2025

Dietro le quinte, le “migliori attrici non protagoniste” degli Alajmo Brothers restano mamma Rita e la sorella Laura, custodi dell’anima dolce del gruppo. Cuoca e grande appassionata di lievitati, la signora Rita è considerata la regina della pazientina, la torta simbolo di Padova. Realizzata con una base di pasta bresciana, crema allo zabaione e pan di Spagna imbevuto al Grand Marnier, completata da una copertura di cioccolato e una sottile sfoglia di gianduia. La sua personale interpretazione della ricetta è stata codificata e ufficialmente riconosciuta dall’Accademia Italiana della Cucina. È lei, insieme alla figlia Laura e allo storico pastry chef Alessandro Pesavento (in Alajmo dal 2006), a guidare il Laboratorio Mamma Rita di Rubano, dove nasce tutta la pasticceria servita nei locali, oltre al pane e ai grandi lievitati delle feste.

Proprio in questi giorni, nel centro si lavora a pieno ritmo in vista del Natale: 180-270 produzioni quotidiane, un forno, un’impastatrice e una regola più o meno ferrea: niente burro, solo olio extravergine di oliva. Questa è la firma dei lievitati Alajmo, tra cui spiccano Arlecchino (il preferito di Max), Mediterraneo con limoni, capperi, olive e peperoncino canditi home-made (la scelta di Raf) e Moro di Venezia, al gusto marasche e gocce di cioccolato (il punto debole di Laura).

Ducale gianduia e cioccolato fondente, abbinato a un sac-à-poche di tartufo bianco e crema al cioccolato

Per il Natale 2025 arrivano due novità, in questo caso burrose. Ducale, confezionato in una super latta da collezione che riproduce le pareti del Ristorante Quadri che sono state disegnate da Starck, con i volti dei fratelli Alajmo e i tessuti Luigi Bevilacqua in giallo e nero, colori dell’iconico risotto zafferano e polvere di liquirizia. All’interno, un impasto con salsa di cacao, gianduia e una sac à poche di crema al tartufo e nocciola, da intenditori. L’altro è Olimpico, dedicato a Cortina e agli imminenti Giochi Invernali: Melannurca Campana Igp, arancia candita, noci e cannella. All’assaggio fa subito venire voglia di caminetto e vin brulé. Gli ordini sono già aperti sul sito e solo il Pan d’Oro arriverà l’8 dicembre. Il motivo? Dura 30 giorni e non tre mesi come gli altri prodotti artigianali che hanno cominciato a essere sfornati.

Le Calandre, dove tutto torna ed evolve

Ali ampie e triangolari, coda corta e squadrata, volo leggero ed elegante. La calandra è un uccello migratore, celebre per la sua abitudine di tornare sempre al proprio nido. Non poteva esserci nome più adatto per il ristorante dove tutto è iniziato – e che ancora oggi resta il cuore pulsante della famiglia Alajmo: Le Calandre.

Dal tronco di un unico frassino di Normandia sono nati tutti i tavoli “nudi” delle due sale, illuminati dalle lampade Ovo di Davide Groppi. Disegnate da Max e Raf, le sospensioni concentrano il fascio di luce sull’incavo del legno dove, prima che il servizio vada in scena, viene adagiato un gomitolo di lana che anticipa il bigliettino che i commensali si scambiano al tavolo. Su di esso si legge: “La cucina è paragonabile a un ago che, attraversando ripetutamente piccoli fori, tende un filo così sottile e resistente da renderci tutti inconsapevolmente legati”. Firmato, Massimiliano Alajmo.

La sala del ristorante Le Calandre ph. Lido Vannucchi

Quella matassa, simbolo di legame e continuità, lascia poi spazio alla pagnotta di pane, avvolta in un fazzoletto di tessuto.
Seguono tre percorsi degustazioneClassico, Raf e Max – ciascuno di otto portate (dolce incluso), dove per alcune preparazioni compare la voce “oppure”, segnalando un’alternativa. Succede, ad esempio, con il Cappuccino di seppie al nero, che nel menu Classico può essere sostituito con Murrina, vivace evoluzione del celebre “cappuccino” degli Alajmo: un piatto dedicato all’arte della murrina veneziana, arricchito da riccio, alga spirulina, barbabietola e spinacio.

Il percorso prosegue con Napul’è per Alfonso Mattozzi, omaggio a uno dei luoghi del cuore dello chef: lo storico ristorante e pizzeria L’Europeo Mattozzi di Napoli. In tavola arriva una pizza, naturalmente, nel gusto di una montanara rivisitata, ma non fritta.

L’interazione con il commensale continua con Suono N’uovo, tra le idee più recenti (primavera 2024) e già un nuovo classico di questo indirizzo. Dopo aver indossato dei tappi per le orecchie, si ascolta la propria masticazione mentre si gustano tagliatelle impastate con l’uovo intero, guscio compreso – ma privato della membrana interna. Il piatto si chiude con un brodo tiepido di gallina.

Risotto Passi d’oro ph. Riccardo Andreatta

Prima del servizio successivo, al tavolo arriva un calice cosparso di Luce brillante, una delle essenze edibili della linea di profumi Alajmo. L’annuso è propedeutico al Risotto Passi d’Oro, metamorfosi dell’evergreen zafferano e polvere di liquirizia.
Scansionando il Qr-Code sulla cartolina numerata, si accede a un video di circa 10 minuti in cui Massimiliano Alajmo spiega il legame con la scultura bronzea Passi d’Oro di Roberto Barni, posta davanti alle Gallerie degli Uffizi di Firenze nel 2013 per commemorare il ventesimo anniversario dell’attentato mafioso che colpì la città del Giglio.

Quasi primordiale è invece il gesto che accompagna la Battuta di manzo al tartufo bianco: si mangia con le mani, alternando l’uso del cucchiaino per scavare il midollo nell’osso di Fassona arso.

Il menu Classico si può chiudere con la Mozzarella di mandorle, un vero trompe-l’œil che gioca sulla componente scrocchiante della candida sfera, condita come se fosse veramente il formaggio fresco a pasta filante. Arriva con un cartellino che ne certifica ingredienti – mandorle, miele, albume d’uovo, zucchero e acqua – e luogo di “produzione”: il caseificio Alajmo, in via Liguria 1, lo stesso indirizzo dove si trova l’ingresso de Le Calandre.
Tra me e me ho sorriso, pensando al richiamo diretto a quella “casa molto carina” cantata da Sergio Endrigo, “in via dei matti numero zero”: una metafora perfetta di libertà creativa, dove tutto può essere esplorato, proprio come accade nella cucina degli Alajmo.

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