Oggi è venerdì 17 gennaio, una giornata particolare per i più scaramantici, ma che nella tradizione napoletana segna un evento speciale: è la festa di Sant’Antonio Abate, protettore di fornai e pizzaioli. Un’occasione che, a mezzanotte, coincide con l’accensione del tradizionale fuoco di Sant’Antuono presso la sede AVPN di Napoli a Capodimonte.
Non a caso, l’Associazione Verace Pizza Napoletana ha scelto proprio questa data emblematica – da qui assurta a “Pizza Day” tout court – per celebrare il Vera Pizza Day, maratona no-stop per raccontare la pizza napoletana e il suo valore culturale in tutti i continenti che quest’anno – prima della full immersion al Sigep di Rimini con un ricco programma di incontri e workshop con il Pizza Club – include per la prima volta anche Qatar e Filippine, oltre a prevedere un collegamento con gli scienziati della Base Concordia in Antartide.
Insomma, sembra che la giornata odierna sia l’occasione perfetta per celebrare la pizza in tutte le sue forme. Così, in attesa di addentarne una fetta, vi raccontiamo le pizze preferite della redazione, senza limiti di gusto e fantasia.
La Diavola di Pizzeria Rabottini a Pescara
Ben vengano gli ingredienti di pregio, gli accostamenti studiati e le preparazioni complesse, ma ultimamente sto vivendo una sorta di ritorno alle origini. Ogni volta leggo il menu, ci penso un po’ e alla fine scelgo una Diavola. A patto però che il salame piccante sia di qualità. Proprio la scelta del salume, spesso dettata da ragioni di territorio, è la firma del pizzaiolo, che può così personalizzare questo grande classico. Per spezzare ulteriormente la monotonia, voglio citare la Diavola con Ventricina Abruzzese mangiata in una pizzeria completamente fuori dai circuiti di guide e classifiche. A Pescara, Rabottini Pizza propone impasti leggeri e cotti in maniera impeccabile, conditi con materie prime di qualità, a partire da un buon extravergine. ―Salvatore Cosenza
La teglia di Pizza Chef a Roma
Il forno non è a legna (come vorrebbe il disciplinare della Verace Pizza Napoletana), bensì elettrico, e la forma non è la classica tonda con cornicione pronunciato (anche se disponibile su richiesta per l’asporto). Qui la pizza, infatti, viene sfornata in teglie rettangolari, come solo i romani sanno fare. Per quanto riguarda i condimenti, Mario Panatta e Sara Longo di Pizza Chef non pongono limiti alla fantasia. È difficile tenere il passo con il menu che aggiornano quotidianamente, ma una cosa è certa: il loro condimento con le polpette è sempre una garanzia al bancone. —Andrea Martina Di Lena
La Crisommola di Pepe in Grani a Caiazzo
La pizza dolce più buona che io ricordi si chiama Crisommola: la ricetta è di Franco Pepe (2017) e fa scivolare sapori ed emozioni su un triangolo di impasto fritto. «Ogni morso racconta le eccellenze del territorio casertano», mi ha raccontato il pizzaiolo campano con le mani ancora sporche di farina. Gli ingredienti protagonisti sono strettamente locali: ricotta di bufala profumata con zest di limone, confettura di albicocche del Vesuvio, nocciole tritate e tostate e, tocco finale, una polvere di olive caiazzane maturate in acqua e sale che conferisce sapidità accentuando la dolcezza d’insieme. A chiudere l’assaggio sono tre foglioline di menta fresca, che smorzano la densità del gusto della ricotta e puliscono il palato. L’ho assaggiata e riassaggiata sia nel locale di Caiazzo sia ai tavoli de La Filiale, l’elegante insegna in Franciacorta dove ha una consulenza. È impossibile resisterle. ―Anna Gentile
La Margherita di Giotto a Firenze
Marco Manzi è davvero un maestro della pizza napoletana. Da Giotto a Firenze, la sua filosofia segue sempre la tradizione della migliore verace, adeguata ai giustificati bisogni di digeribilità. Impasto ad alta idratazione, lunga maturazione, farine non raffinate e lievito madre: ecco il suo biglietto da visita. Il cornicione poi è alto e gonfio e delimita il disco sottile al centro: una vera prelibatezza! Come, del resto, tutte le materie prime che utilizza come condimento. La mia preferita? La Margherita, un grande classico condito con pomodoro San Marzano Dop, fior di latte di Agerola, Parmigiano Reggiano Dop 24 mesi, basilico, olio extravergine di oliva Fontana Lupo di Petrazzuoli. ―Emanuele Gobbi
Mediterranea e Acciuga (a pari merito) di Balobino a Padova
Lontana dallo stile napoletano (il mio preferito), e per il piacere assoluto dell’impasto, suggerisco di fare un salto da Balobino, in pieno centro a Padova. Una corte trecentesca nel cuore della città accoglie da poco più di un anno il progetto della famiglia Quaglia. Le radici affondano nella panificazione e in pizzeria c’è grande attenzione all’uso di lievito madre e farine da grani antichi, ma anche di riso, mais e orzo, al carbone, proponendo una pizza alta, lievitata da 24 a 48 ore con idratazione spinta. Gli impasti sono soffici e croccanti, per alcune proposte gourmet con cottura al vapore. Da provare: la semplice e deliziosa Mediterranea – con base riso, orzo e semi tostati e farcita con salsa di pomodoro datterino, olive taggiasche, capperi e origano – e la sfiziosa Acciuga, con base carbone e farcita con salsa di pomodoro datterino, burrata, filetti di acciuga del Cantabrico e origano selvaggio. ―Giambattista Marchetto
Aspra mon amour di Saccharum ad Altavilla Milicia
Che buona la pizza di Saccharum e di Gioacchino Gargano. Un lavoro quotidiano e meticoloso fatto di studio e ricerca, in cui la passione per l’abbinamento degli ingredienti del territorio si sposa con una buona dose di inventiva e coraggio: la pizzeria si trova ad Altavilla Milicia, proprio allo svincolo dell’autostrada che da Palermo porta verso Catania o Messina. È una tappa consigliata per tutti gli amanti della pizza. Il pensiero di oggi è dedicato alla pizza del territorio: Aspra mon amour con provola affumicata e porro, poi in uscita scarola riccia, acciughe di Aspra, crema di mandorle e limone fermentato. Una delizia! ―Salvo Ognibene
Antica Margherita Slow Food di 50 Kalò a Roma (e Napoli)
Di recente, da 50 Kalò a Roma – ma è in menu anche a Napoli – ho (ri)assaggiato questa pizza strepitosa in cui Ciro Salvo mette insieme alcuni dei prodotti più buoni e antichi del paniere campano, spesso Presidi Slow Food, con un equilibrio che ha del miracoloso: su un impasto leggerissimo e perfetto, in puro stile napoletano ma eccezionalmente etereo e lontano da ogni gommosità (così come dai virtuosismi nell’alveolatura del cornicione) troviamo gli Antichi Pomodori di Napoli che crescono nel territorio tra Napoli e Salerno, la mozzarella di bufala campana, il Conciato Romano di Manuel Lombardi (il pecorino più antico della Campania e forse d’Italia, scelto però in una stagionatura “giovane”, di sei mesi, per evitare l’eccessiva invadenza, grattugiato finemente e distribuito millimetricamente), il basilico fresco e l’eccellente extravergine cilentano Idra di Fattoria Ambrosio. ―Luciana Squadrilli