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Alla scoperta del vino della faglia di Sant’Andrea

Viaggi e degustazioni lungo la placca di 1.200 km che corre lungo la California

Non c’è niente di meglio – per lo meno per quanto ne sappia finora – che sedersi su un molo vicino a una delle casette dei pescatori ristrutturate di Nick’s Cove, locanda con ristorante sulla baia di Tomales, nella California del nord. Soprattutto al tramonto, con un bicchiere di rosato e una dozzina di ostriche crude. La vista sulla baia diventa dorata mentre l’oscurità inizia a sfiorare le colline dall’altra parte dell’acqua, e tutto ciò che si sente è il leggero sciabordio delle onde. Il luogo è così tranquillo che quasi non si direbbe che la faglia di Sant’Andrea, la tumultuosa collisione di due vaste placche tettoniche, passi proprio sotto queste acque, tagliando in due la Tomales Bay, qualche chilometro sotto la superficie.

Prendete un’altra ostrica, un altro sorso di rosato. Poi andate al ristorante, come ho fatto io, e ordinate l’eccellente cioppino di Nick’s Cove, lo stufato di frutti di mare tipico di San Francisco, popolare oggi come nel 1906, quando la faglia di Sant’Andrea ha più o meno spianato la città. Nel tempo è stata responsabile di terremoti (un po’ troppo spesso) e di vulcani in eruzione (in un passato molto lontano), ma per molti versi ha anche formato il carattere distintivo di alcune delle migliori regioni vinicole della California (per non parlare dell’intera costa californiana). È per questo che ho deciso di fare un viaggio in auto lungo buona parte della sua estensione. Si tende ad associare l’enoturismo a una zona circoscritta: la Napa Valley, la Toscana, Bordeaux. Mi sono chiesto invece se non fosse ancora più interessante seguire un altro tipo di itinerario. Perché non immergersi nella storia e nella geologia e costruire un viaggio visitando le cantine lungo la faglia?

Un viaggio in California

Ho iniziato il mio viaggio all’Harbor House Inn, a Elk, dove il Best New Chef 2019 per F&W Matthew Kammerer fa magie con ingredienti localissimi in una casa di sequoia costruita nel 1916 per un’azienda di legname. L’Harbor House si trova proprio sulla costa e dalla locanda si può ammirare il punto in cui la faglia scorre sotto l’acqua (tocca terra qualche chilometro a sud, vicino Point Arena). Kammerer raccoglie alghe al largo per alcuni dei suoi piatti, ma la maggior parte dei suoi prodotti proviene da una piccola fattoria che ha acquistato proprio sulla faglia. «Fino ad Harbor House è tutto basalto», mi ha detto quando sono andato a trovarlo, «ma qui è terriccio sabbioso, con sopra questa ricca terra nera che per l’agricoltura è l’ideale. Lo chiamo terreno per carote. Le carote crescono belle dritte fino in fondo». La mattina, dopo una colazione a base di uova al tegamino e funghi selvatici, mi sono diretto a sud, tagliando per l’entroterra lungo la Highway 1 vicino a The Sea Ranch verso Peay Vineyards. Ho seguito le curve di Annapolis Road attraverso foreste sempreverdi per diversi chilometri e ho attraversato un piccolo ponte sul fiume Gualala, asciutto e non esattamente impetuoso: in quel punto, mi aveva detto Andy Peay, mi sarei trovato direttamente sopra la faglia. Sono sceso e ho camminato fino al centro del ponte, ho guardato su e giù per il letto del fiume, ricoperto di alberi, e ho pensato che per una caratteristica geologica così strabiliante, la vista era piuttosto banale. Poi un camion ha suonato il clacson ed è passato mentre saltavo di lato. L’autista sembrava del tutto indifferente alla possibilità di trasformarmi in poltiglia. Mi piace pensare che sia stato per la mia temerarietà nel non essere colpito dal potenziale distruttivo della faglia, ma probabilmente era più per il fatto che stavo in mezzo alla strada, su un ponte, come un idiota, pensando alle rocce. A mia discolpa, se vi interessa il vino, ogni tanto anche voi dovreste pensare alle rocce (ma non mentre siete in mezzo alla strada). Il clima si manifesta in superficie; è facile immaginarne gli effetti.

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Il taglio preciso dei Pinot Noir dei fratelli Andy e Nick Peay e dell’enologa Vanessa Wong – «densità ma non pesantezza», ha precisato Andy – è dovuto in gran parte all’effetto rinfrescante dell’Oceano Pacifico, 6,5 km a Ovest. Ma le viti hanno radici, e le radici crescono in basso, nel terreno e nella pietra. A proposito della decisione sua e di Nick di fondare l’azienda nel 1996, Andy ha detto: «Volevamo più note floreali, di tè e terra di quelle che si trovavano nei Pinot californiani degli anni Novanta». Queste caratteristiche derivano dal clima della Costa di Sonoma, influenzato dall’oceano, ma anche dal mix di rocce sotto i vigneti. «I fattori principali per tutti noi qui sono il clima, la geologia e la geografia. E queste ultime sono guidate dalla faglia».

Hirsch Vineyards dista solo 16 miglia da Peay, ma ho impiegato un’ora per arrivarci. La costa occidentale di Sonoma non è un posto per gli amanti delle strade dritte. Ma ha una bellezza scenografica, piena di fitte foreste di sequoie, crinali battuti dal vento e vigneti nascosti, a differenza della bellezza curata di luoghi come la Napa Valley (anche se in realtà, poiché l’azienda vinicola non è attualmente aperta al pubblico, il posto migliore per provare i vini Hirsch è la loro accogliente sala degustazione a Healdsburg). Era una giornata di sole, e quindi, anziché degustare al chiuso, con l’enologa Jasmine Hirsch abbiamo portato diverse bottiglie in cima al Blocco 16, un piccolo anfiteatro di viti che si trova al margine occidentale della proprietà. «Il terreno qui è ripiegato», mi ha spiegato. «È come se stendessi una coperta spessa sul pavimento e la appallottolassi. Non c’è niente di piatto. Abbiamo ogni orientamento, ogni esposizione. In alcuni punti arriva la nebbia, in altri no, e il motivo per cui qui piove così tanto, è tutto legato alla topografia. Che è stata prodotta dall’attività sismica della faglia». Per questo motivo, la cuvée di Pinot di punta di Hirsch si chiama San Andreas Fault. «Mio padre dice sempre che la nostra proprietà è stata definita dalla faglia, quindi l’ha chiamata così», ha detto Jasmine. Hirsch Vineyards è stata fondata nel 1980 da suo padre, David, sul sito di un vecchio allevamento di pecore, ed è senza dubbio uno dei più grandi vigneti di Pinot Nero in California; Jasmine ora produce il vino, mentre David supervisiona la viticoltura. La cuvée San Andreas Fault è un blend di diverse parcelle provenienti dai 30 ettari di vigneti della tenuta, con note di frutti a bacca rossa, strutturato e complesso. «È l’intero vigneto in un bicchiere», ha detto Jasmine mentre guardavamo le vigne. Il sole fiammeggiava nel mio calice mentre bevevo un altro sorso. Oltre i filari, il terreno scendeva fino alla linea della faglia, poi saliva fino al crinale successivo. Poi, nient’altro che il Pacifico. «In una giornata limpida, da qui si può vedere il bianco delle onde», ha detto. David Hirsch ha spesso affermato che «il terroir di Hirsch è il terroir del terremoto» e, sebbene i suoi Pinot abbiano spesso un carattere distintivo di lampone e rovo (che trovo anche nei Pinot di Peay), è importante non semplificare troppo ciò che influenza il sapore di un vino. Non si può dire che i Pinot Noir prodotti sul versante occidentale della faglia di Sant’Andrea sappiano tutti di lampone e quelli del versante orientale di amarena, per esempio; non c’è una corrispondenza univoca. Quando un vino ha carattere – un carattere vero, non industriale, da milioni di bottiglie – le fonti di quel carattere sono sempre complesse. Ma per quanto riguarda la faglia, una cosa detta da Andy Peay sui suoi vini sembra appropriata: «Forse c’è solo una sorta di energia generale. Ci sono queste due enormi placche, quella nordamericana e quella del Pacifico, che si combattono pochi chilometri sotto i nostri piedi. Se si entra troppo nello specifico, è chiaro che si rischia di dire scemenze. Ma ci deve essere un collegamento».

Da Hirsch ho seguito la linea della faglia fino alla baia di Tomales e alla locanda e ristorante Nick’s Cove, poi sono sceso attraverso San Francisco fino alle montagne di Santa Cruz. Lì ho passato la notte a Los Gatos. L’ho fatto soprattutto, lo ammetto, per fare colazione da Manresa Bread, dove preparano i kouign-amann più croccanti e burrosi del mondo (Avery Ruzicka è un genio). Ma Los Gatos è anche dove, nel 1989, viveva mia zia Amy quando il terremoto di Loma Prieta scaraventò la sua casa giù per il fianco di una montagna (se pensate alla faglia di Sant’Andrea come a un grande fiume che scorre da nord a sud, la faglia di Loma Prieta è uno dei suoi affluenti minori). Mia zia era andata a fare la spesa e stava scendendo dalla macchina quando è successo. È rimasta illesa ed era assicurata contro i terremoti, ma poi si è trasferita a Bodega Bay e ha vissuto il resto della sua vita in riva al mare. Pensavo a questa storia mentre guidavo lungo lo Skyline Boulevard, una strada panoramica molto amata da ciclisti e motociclisti, pare per le numerose opportunità che offre di raggiungere velocità da capogiro senza morire. La mia destinazione era la Thomas Fogarty Winery, appena dopo la Windy Hill Open Space Preserve, e all’arrivo ho chiesto al proprietario Tommy Fogarty Jr. se si ricordava del terremoto di Loma Prieta. «Certo. Io non c’ero, ma abbiamo subito capito che era il terremoto», mi ha detto. «Il nostro enologo stava guidando verso Santa Cruz e sulla Highway 17 gli edifici cominciarono a crollare sulla strada». Nonostante ciò, e anche pensando a mia zia, era difficile immaginare la distruzione di massa mentre eravamo lì, circondati da tavoli di degustatori del fine settimana, tutti a chiacchierare allegramente sorseggiando i vini Fogarty. Chi abita sulla baia vive con la prospettiva dei terremoti proprio come tutti quelli che ho conosciuto crescendo a Houston vivevano con l’idea degli uragani: a volte capitano, non c’è dubbio, ma si va avanti con la propria vita, un giorno alla volta. Sotto di noi, i vigneti di Fogarty scendevano lungo il pendio: Portola Springs a 585 metri di altitudine, Rapley Trail a 500, Razorback Vineyard a 430. La faglia stessa giaceva sepolta in basso, sotto le case multimilionarie della Silicon Valley. Ho sorseggiato uno degli Chardonnay di Fogarty. Sapeva di vino bianco, non di case cadute su un’autostrada.

Quando ho lasciato Fogarty, mi sono diretto a sud, attraversando le montagne fino al versante di Santa Cruz. Fuori Corralitos, l’enologo e proprietario di Sante Arcangeli Family Wines John Benedetti e io ci siamo arrampicati su una scala traballante per salire sul tetto di un vecchio fienile nel suo vigneto Split Rail. La vista impareggiabile sulle foreste e le vigne verso il Pacifico davanti a noi mi ha reso meno consapevole del fatto che mi trovavo su un tetto inclinato e senza ringhiere, con un salto di 12 metri rispetto al terreno sottostante. Cadere trafitti da una vite di Pinot Nero sarebbe una brutta fine (anche se forse appropriata) per un giornalista di vino. «Siamo su un pezzo sollevato della placca del Pacifico, un vecchio fondo lacustre del Pliocene, con arenaria», ha detto Benedetti. «Qui si trovano fossili di conchiglie». Ha indicato la cresta successiva, verso l’oceano. «Ma quella montagna è per lo più argilla. E dietro di noi», ha detto voltandosi, «il lato est della denominazione, laggiù, sulla placca nordamericana, è tutto un altro mondo. In altre parole, intorno a noi c’è la faglia di Sant’Andrea». Quella sera ho cenato con Benedetti al ristorante Home di Soquel, un posto da non perdere dove lo chef Brad Briske si affida agli ingredienti della costa californiana per piatti eccentrici e brillanti come le orecchiette al nero di seppia con vongole e pancia di maiale in un brodo di sidro, peperoncino e miso. Cenare a uno dei tavoli da picnic nell’ampio cortile in una calda serata è imbattibile. Benedetti e io abbiamo contrapposto il suo Pinot dello Split Rail Vineyard al suo Pinot del Lester Family Vineyard, il primo più speziato e scuro, il secondo più leggero e fruttato. Terreno? Geologia? Età delle viti, direzione dei filari, microclimi diversi, diverse epoche di vendemmia? Difficile individuare la causa ma ne è nata una divertente discussione fino a tarda notte tra due appassionati di vino.

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Non avrei seguito la faglia fino al punto in cui si esaurisce vicino al Salton Sea nella California meridionale, ma l’ultima tappa del mio viaggio mi ha portato su un terreno completamente diverso. La Cienega Valley è secca e calda, a 32 chilometri dall’oceano e a circa 16 chilometri a sud di Hollister. La zona ospita molti terreni agricoli, ma anche Eden Rift Vineyards, un’oasi di vigneti abbracciata su tre lati da colline di querce. Qui non ci sono sempreverdi. Quando ho imboccato la Cienega Road per Eden Rift, ho superato la vecchia cantina Almaden, costruita negli anni Cinquanta. La faglia passa proprio sotto di essa e le sue pareti non si toccano più in alcuni punti a causa dell’attività sismica. Il proprietario Christian Pillsbury ha chiamato la sua cantina Eden Rift, sia in riferimento a La Valle dell’Eden di John Steinbeck sia alla faglia che la attraversa. Le viti qui crescono dal 1849, quando il francese Theophile Vaché piantò alcuni filari di Mission dando inizio al più antico vigneto piantato ininterrottamente in California. Pillsbury ha specificato: «Non è che Vaché abbia visto questo posto a metà dell’Ottocento e abbia detto: ‘Beh, con quest’azione tettonica incredibile, di sicuro è un posto perfetto per l’uva da vino’. Ma è più o meno così». Topologia e topografia: l’inclinazione delle terrazze collinari, la conca della valle, la terra e la roccia. «Il terreno qui è tutto granito frantumato e calcare», ha detto Pillsbury. C’è così tanto calcare, così tanto fondo oceanico scagliato violentemente verso l’alto più di un millennio fa, che le strade che attraversano la proprietà sono di un bianco brillante al sole. Eden Rift è isolata ma vale la pena arrivarci. Mi sono seduto all’esterno, degustando i Pinot a un tavolo da picnic fuori dalla Dickinson House, un delizioso esempio di architettura Prairie School dei primi del Novecento. I vini di Pillsbury erano eccellenti; sono rimasto colpito sia dagli assaggi che dal silenzio profondo. Mentre sorseggiavo, un falco si è alzato in volo scomparendo nel cielo vuoto. Poi niente. Non un movimento. Non un suono. Chilometri sotto di me, vaste placche continentali si stavano sfregando lentamente l’una contro l’altra, forse generando pressioni catastrofiche. Ma in quel momento non c’era alcuna prova di ciò, se non, forse, nella particolare e precisa tensione dei sapori nel mio bicchiere di vino.

I migliori vini da provare lungo la faglia

Quali sono i vini migliori, quelli più soddisfacenti e gustosi da assaggiare provenienti da questa incredibile, e unica, zona del mondo?

Peay Vineyards

Frutti rossi e arancia sanguinea caratterizzano il Pinot Noir Scallop Shelf 2022, che prende il nome dai fossili presenti nel vigneto, ma anche il Cep Estate Syrah 2021, dal secondo marchio di Peay, più abbordabile.

Hirsch Vineyards

Il Pinot Noir San Andreas Fault Estate 2022 ha note di lampone e ciliegia, sentori di erbe fresche e tannini snelli. Anche il vivace e più accessibile Pinot Noir BohanDillon 2023 è un’ottima introduzione ai vini di Hirsch.

Thomas Fogarty Winery

Fondata nel 1981, questa cantina è da tempo artefice di molti vini di punta delle Santa Cruz Mountains. Cercate lo Chardonnay Santa Cruz Mountains 2021, equilibrato e minerale, o passate a uno dei cru, come lo Chardonnay 2021 della Langley Hill Vineyard, cremoso e agrumato.

Sante Arcangeli Family Wines

John Benedetti attinge ai vigneti Split Rail e Lester Family per il suo Chardonnay Santa Cruz Mountains 2023, un bianco brillante e minerale. Oppure potete viziarvi con il sublime cru di Pinot Nero 2022 dal vigneto Split Rail.

Eden Rift

Il fragrante Pinot Noir Estate 2021 offre note distintive di tè nero e spezie – pepe, anice – che si accompagnano agli invitanti sapori di amarena. Anche lo Chardonnay Estate 2021, profumato di gelsomino, è da non perdere.


Maggiori informazioni

Foto di The Ingalls

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