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Il Pagliaccio

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Anthony Genovese: «Oggi sono libero e maturo e ho imparato a gestire i miei tormenti»

Inauguriamo la nostra rubrica Conversations con un'intervista a uno degli chef mentor della ristorazione italiana che ha chiuso il 2023 all'insegna dei festeggiamenti per il 20esimo anniversario de Il Pagliaccio.

«Come mai va via così spesso la luce?», chiese una volta a cena Daniele Cernilli, alias Doctor Wine, all’epoca curatore della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso. «Perché stasera ci sono tanti compleanni». L’arte dell’improvvisazione, tutta italiana, ha caratterizzato i primi anni di vita del Pagliaccio: «Quando abbiamo aperto avevamo un impianto elettrico che non funzionava e saltava spesso la corrente. Così, ogni volta che succedeva, simulavamo un compleanno e i ragazzi iniziavano a cantare tanti auguri», racconta ridendo Anthony Genovese. Il ristorante romano di via dei Banchi Vecchi, due stelle Michelin, chiude un 2023 all’insegna dei festeggiamenti (e di tante cene a quattro mani) per il suo ventesimo anniversario. Siamo andati a fare una lunga chiacchierata con lo chef, nato in Calabria e vissuto in Francia, tra aneddoti e bilanci. A darci il benvenuto alla porta c’è Matteo Zappile, da 13 anni al fianco dello chef, di cui è capace di esaltare la cucina “di complessa armonia” con un servizio sartoriale in sala, insieme a un team giovane e impeccabile. Ad accompagnarci per buona parte dell’intervista, invece, c’è Berlingot, il Golden retriever dello chef più dolce ancora dei tipici zuccherini francesi delle feste, fedele e imperturbabile sotto al tavolo della sala privata e dedicata a Parallels Experience, un percorso di 14 portate – dalla Tatin di mela, limone e crème fraîche alla Pernice, tartufo, barbabietola e rafano – con un servizio su misura.

Chef, com’eri vent’anni fa?

«Ce l’avevo con il mondo intero, ero irruento, aggressivo, volevo essere accettato, sia dal pubblico che da quella stampa romana che mi ha sempre puntato il dito, dicendo che non seguivo un percorso, che secondo loro doveva essere la reinterpretazione del mondo classico della cucina romana, o che comunque dovevo cucinare in un modo più tradizionale. Roma era ancora una città seduta su se stessa a livello gastronomico, io mi proponevo con la mia cucina fatta di influenze asiatiche e tecnica francese e venivo percepito malissimo: è stata una bella battaglia. Quando abbiamo iniziato con Marion (Lichtle, la ex pasticcera ma sempre presente al Pagliaccio, ndr), senza nulla, è stato difficile. Però sapevo chi ero e dove volevo arrivare. Il nostro scopo è sempre stato fare un bel ristorante, accogliente. Ecco anche il perché del campanello: vuol dire riceverti a casa».

E oggi chi sei?

«Ho 55 anni e sono un uomo maturo, più libero, e mi diverto un sacco. Si vede nei piatti e nella presentazione. Non uso più le spezie, ad esempio, in quel modo quasi provocatorio. Oggi amo tutto del mio lavoro. Ho imparato a gestire i miei tormenti, non ho paura se qualcuno viene da me e non apprezza un piatto».

Quali sono stati i momenti più felici di questi vent’anni?

«Il primo restyling, in cui riuscimmo finalmente a cambiare le sedie di paglia, la prima stella nel 2006, la seconda stella nel 2009, inaspettata, con cui ci hanno riconosciuto tutto il lavoro e i sacrifici fatti».

Scegli un tuo piatto emblematico.

«“Profumo di Ricordi, il caciocavallo e il piennolo”, è ancora in carta. Un piatto della cucina povera ma ricco di sapori e significato. È la mia infanzia in Calabria (più precisamente a San Lorenzo, provincia di Reggio Calabria, ndr), chiudo gli occhi e vedo la mia famiglia».

Qual è la persona più importante della tua vita?

«Mia mamma. È il pilastro del Pagliaccio con la sua dolcezza e la sua gentilezza. Abita in Costa Azzurra ma quando è in Italia arriva al ristorante alle 6 del mattino, apre, sistema, porta sempre qualcosa di nuovo, ascolta i ragazzi. Rende questo posto una casa».

E professionalmente?

«Diversi chef in Francia, in particolare Gérald Passedat del ristorante tre Stelle Michelin Le Petit Nice di Marsiglia. E poi la signora Annie Féolde: alla fine del 1990 lascio la Francia dove la cucina era caviale, foie gras, rombo, piccione, astice e burro e approdo a Firenze, all’Enoteca Pinchiorri, e vedo ceci, baccalà, cavolo nero, limone e olio d’oliva. È stato un colpo di fulmine. Oggi al Pagliaccio il mio alter ego è Matteo Zappile, insieme siamo belli tosti e ci scontriamo, ma per fortuna in cucina ci sono il mio chef Francesco Di Lorenzo e il sous chef Giulio Zoli e in sala Veronica Loachamin e Luca Bellegia, che riportano l’equilibrio e la quiete. Siamo una grande squadra».

Tre sostantivi per lo stile di Matteo in sala.

«Eleganza, tenacia, consapevolezza».

Hai una serata libera per andare a cena in Italia, dove vai?

«A Piazza Duomo da Enrico Crippa».

E a Roma?

«Da Idylio by Apreda».

Cosa non ti piace del tuo e nostro settore?

«Veniamo poco rispettati e difesi, dalla stampa stessa, rispetto ad esempio a quello che succede in Francia. Manca coesione tra noi chef, ci guardiamo storto per un punto in più o in meno in guida. Non capisco i clienti che vanno al ristorante per sparare sul cuoco, invece di godersi l’esperienza. Dovremmo tutti abbassare i toni».

Com’è il nuovo menu?

«Ho raso al suolo il passato. È puro, elegante, pulito, nell’aspetto e nei gusti. All’inizio molti mi accusavano di caricare troppo i miei piatti ma del resto io amo Gagnaire. Progressivamente sono andato a togliere dal punto di vista visivo ma dentro il piatto ho mantenuto una grande struttura. Un esempio? L’Astice al pompelmo».

Qual è il complimento che ti fa più piacere?

«Quando i clienti mi dicono che hanno fatto un viaggio, che li ho portati a Tokyo o in Malesia, che la mia cucina evoca ricordi e mette a proprio agio».

Perché sei riuscito a fare da mentore a tanti chef? E quali sono quelli di cui sei più orgoglioso?

«Perché do tantissimo, trasmetto la passione, il lavoro profondo e le basi fondamentali della cucina, ma lasciando che si esprimano. Chi esce dal Pagliaccio trova una sua identità e segue la sua strada. Faccio due nomi: Andrea Accordi del Four Seasons Hotel di Bangkok e Antonio Ziantoni di Zia Restaurant a Roma, quello che più mi assomiglia nell’idea di ristorazione».

Maggiori informazioni

Il Pagliaccio
Via dei Banchi Vecchi, 129/a, 00186 Roma
ristoranteilpagliaccio.com

 

 

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