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Arieddas

Arieddas, aria nuova in Marmilla

Pier Giorgio Parini, affiancato da Francesco Vitale con la sua brigata, firma il menu del nuovo ristorante della cantina Su’entu a Sanluri. Parole d’ordine: condivisione, accessibilità e un’idea dinamica di tradizione.

Dalla riviera romagnola, dove vive con la famiglia a Rimini, all’entroterra cagliaritano, quello autentico e poco conosciuto della Marmilla. Pier Giorgio Parini mantiene da tempo – da quando ha lasciato le cucine del Piccolo Diavolo di Torriana – il suo proposito di non legarsi a un indirizzo stabile ma si lascia incuriosire da progetti stimolanti. Così è andata quando una telefonata di Domenico Sanna, maître e sommelier oggi responsabile dell’accoglienza e degli eventi della cantina Su‘entu, gli ha proposto di venire in Sardegna per studiare insieme il menu, e l’identità, del nuovo ristorante battezzato Arieddas: «È il figlio piccolo di Su’entu. Un’ulteriore “scusa” per proseguire il racconto di questo territorio ancora poco frequentato iniziato con i vini», racconta Roberta Pilloni. Insieme ai fratelli Valeria e Nicola hanno raccolto la capacità di visione del padre Salvatore – sempre presente in azienda, e sempre pronto a nuove sfide: dall’ampliamento della cantina all’ospitalità che nascerà nei prossimi anni –, e la scommessa sul fascino di questa campagna dove a scavare per impiantare le vigne e per trovare l’acqua saltano fuori fossili marini e resti dell’età nuragica, e dove soffia sempre il vento. E ora anche, una nuova brezza gastronomica.

Riprendendo una tradizione di famiglia, dal 2009 i Pilloni hanno con pazienza impiantato numerosi ettari di vigne nei terreni calcareo argillosi appena fuori dal borgo di Sanluri, e ridato spazio e dignità anche alla poco frequentata Igt Marmilla oltre che a quella di Isola dei Nuraghi e alle Doc Cannonau di Sardegna e Vermentino di Sardegna. Non a caso è appunto un Marmilla Rosso Igt l’elegante e avvolgente Su’oltre, vino di punta della cantina, e qui si crede molto nel Bovale, vitigno autoctono dalle grandi potenzialità. «Ma ci piacerebbe che diventasse sempre di più un racconto corale, che altri seguissero questa strada. Per i vini, come pure per la gastronomia e gli ingredienti della Marmilla», sottolinea Roberta spiegando come pure nella carta del ristorante le etichette guardino anche oltre le dolci colline della zona, con referenze regionali e nazionali. Le fa eco Domenico Sanna, che puntualizza: «Si tratta del primo progetto di ristorazione organico in una cantina sarda, con un locale autonomo e aperto sei giorni su sette. L’obiettivo è far conoscere Sanluri e i suoi prodotti, ma anche di essere da stimolo ad altri nel territorio».

E infatti Arieddas, pur essendo parte integrante della struttura in cima alla collina coperta di filari, ha un ingresso a sé e un’identità ben precisa all’interno di Su’entu, come spiega Valeria Pilloni. A cesellarla, i dettagli della bella sala con la grande vetrata affacciata su vigne e colline, dove lo studio locale di architetti Casciu Rango ha raccolto interessanti esempi di artigianato sardo: dalle ceramiche di Walter Usai, di Assemini, ai tessuti di Mariantonia Urru che ricoprono le comode sedute rileggendo la grande tradizione tessile di Samugheo in chiave contemporanea, fino ai “graffiti” di terracotta e cenere che disegnano il bancone frastagliato, opera di Lello Porru.

Da qui anche l’idea di chiamare Pier Giorgio Parini con cui, racconta ancora Valeria, si è creato da subito un forte feeling: «In lui abbiamo trovato una piena condivisione del progetto, e soprattutto grande sensibilità e umiltà nel venire a conoscere un territorio nuovo, studiando materie prime e produttori». E proprio il suo sguardo “non autoctono”, scevro da condizionamenti e automatismi, ha reso possibile l’ideazione di un menu – o meglio di un’idea di cucina, perché le proposte possono cambiare anche in base a quello che arriva dall’orto in azienda – insieme fortemente identitario e legato al territorio ma anche assolutamente contemporaneo, senza forzature “ruralizzanti”. «Sono entrato in punta di piedi in un ecosistema diverso dal mio, da guardare con occhi nuovi, da fuori, per portare avanti un racconto già iniziato da altri ma da rafforzare attraverso la cucina», racconta lo chef. «Per me la tradizione è un sedimento di qualcosa di passato che però continua a evolversi, e si muove più velocemente di tutto. Prendiamo il ragù, che è nato da una preparazione di secoli fa ma non è certo più lo stesso».

Grande sintonia anche con Francesco Vitale, cuoco pugliese ormai da anni in Sardegna – lo abbiamo visto, ad esempio, da Cucina.Eat e da Sa Scolla, ma è passato anche nelle cucine di Roberto Petza e in quelle di Heston Blumenthal a Bray, dove già si era fatto notare per il suo talento con gli impasti – che guida la brigata stabile di Arieddas, lavorando a stretto contatto con Parini (che sarà qui spesso) ma con margini di autonomia nel portare avanti quella che è una linea fortemente condivisa: predilezione per legumi, ortaggi e animali da cortile, legame molto forte con il territorio con circa l’80% degli ingredienti in arrivo da piccoli produttori locali, e qualcosa dal resto dell’isola. E accessibilità anche nei prezzi (il menu degustazione Un viaggio in Marmilla costa 40 euro) per allettare tanto chi viene da Cagliari, che è circa mezz’ora di macchina, quanto chi abita in zona e non ha magari l’abitudine di mangiare fuori spesso.

Nascono così gli antipasti schietti e sorprendenti, possibilmente da condividere al centro del tavolo come nei pranzi in famiglia: dall’anguria senza semi di Gavina arrostita e condita fino a ricordare l’intensità e la consistenza di un peperone in insalata alla misticanza dalle mille sfaccettature vegetali accompagnate dalla nota sapida della bottarga di Pino Spanu, dall’estratto di kiwi e dall’olio di lentisco, dalla dolce “cotoletta” di cipolla margherita panata e fritta, servita con senape e miele all’uovo della festa (all’occhio di bue, con pomodoro arrosto, pecorino e basilico) da accompagnare con il buonissimo pane scuro e ricco di profumi di Vitale, a base di grani locali rustici.

Omaggiano la grande tradizione pastaia sarda i primi come le lorighittas (anelli intrecciati a mano dalle donne della vicina Morgongiori) con ragù di cortile, ginepro e grattugiata di uovo di gallina marinato e il filindeu, affascinante filigrana di semola abitualmente viene cucinata nel brodo di pecora con abbondante formaggio, che qui invece si bagna di volta in volta in brodi stagionali; come quello estivo di verdure arrostite, intenso ma leggero, con la nota speziata dello zafferano e quella agrumata del trombolotto (limone selvatico laziale, a base di profumati condimenti) che traccia una traiettoria tra Mediterraneo e Oriente. Mentre tra i secondi figurano la pecora di Sanluri – lavorata in tutte le sue parti e proposta in filetto, spezzatino, spiedino (o il pollo nostrano) di “quelli veri che razzolano e corrono” – accompagnati da verdure dell’orto il cui sapore è sottolineato da diversi liquidi di bollitura ed erbe aromatiche. Si chiude con il gelato di latte di pecora con frutta di stagione, con la crema alla vaniglia con frutta fresca e zucchero profumato dalle foglie di fico e con le deliziose sevadas artigianali di Gavoi accompagnate da miele di sulla, riduzione di arancio ed erbe e aromi non abitualmente associati ai dolci.

Così, portata dopo portata – o tutte insieme, nel caso degli antipasti – si disegna una tavola imbandita che ricorda i pranzi di casa, i calici aiutano ad abbandonare i convenevoli, ci si apre alla discussione. «L’idea è quella di mettere in tavola il meglio che c’è quel giorno lì, come quando si invitano a casa i parenti, per rompere la formalità e far emergere il confronto», dice Parini. «È una cosa che va fatta crescere, attecchire, curandola come fosse una vigna».

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