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La parabola della carne vegetale: dal boom all’incertezza del mercato globale

Come prezzi alti, percezioni culturali e strategie mancate hanno frenato la crescita delle alternative plant based.

Fino a poco prima della pandemia la carne vegetale aveva assunto le sembianze di una rivoluzione alimentare. I primi hamburger plant based promettevano di cambiare in profondità le abitudini di consumo, offrendo una risposta tecnologica a due questioni centrali: la sostenibilità ambientale degli allevamenti intensivi e la necessità di una dieta più equilibrata. Aziende come Beyond Meat e Impossible Foods sono diventate simbolo di questa trasformazione, conquistando investitori (anche importanti, pensiamo a Bill Gates) e catene di ristorazione in tutto il mondo.

La narrazione dominante era chiara: la carne vegetale avrebbe salvato il pianeta e reso più sano il nostro modo di mangiare. Un entusiasmo che si è tradotto in quotazioni record in Borsa, aperture di ristoranti specializzati e un’ampia copertura mediatica che parlava di un cambiamento ormai inevitabile. Spoiler: non sta succedendo nulla di tutto ciò.

Il contraccolpo del mercato statunitense

A distanza di pochi anni la parabola appare diversa. Negli Stati Uniti, mercato di riferimento e traino dell’intero comparto, le vendite hanno registrato un calo del 17% nei primi mesi del 2025, confermando un trend negativo iniziato già nel 2022. Un andamento che si accompagna al progressivo ridimensionamento delle aspettative: Beyond Meat, che nel 2019 aveva raggiunto una valutazione di 10 miliardi di dollari, oggi vale meno di un decimo di quella cifra.

Le ragioni sono molteplici. L’inflazione ha reso ancora più evidente la differenza di prezzo tra carne vegetale e carne tradizionale, con un divario che in alcuni casi arriva a triplicare il costo per il consumatore. Allo stesso tempo, i prodotti plant based non sono percepiti come un vero sostituto della carne, ma come un complemento, consumato da chi alterna diverse fonti proteiche senza rinunciare del tutto alla carne animale.

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Gli studi di mercato evidenziano un aspetto cruciale: la domanda di carne vegetale è molto soggetta alla variazione di prezzo, mentre quella di carne tradizionale lo è molto meno. Significa che, di fronte a rincari generalizzati, il consumatore medio preferisce rinunciare al prodotto alternativo, ritenuto meno necessario, e mantenere invece le proteine animali.

A questo si aggiunge la percezione culturale. Negli Stati Uniti in particolare, la carne resta un alimento identitario e profondamente radicato nella cultura gastronomica. Negli ultimi anni, l’industria della carne ha promosso una contro-narrazione potente, insistendo sul carattere “ultraprocessato” dei prodotti vegetali. Una strategia che ha trovato terreno fertile in un contesto politico polarizzato, in cui influencer carnivori e campagne di comunicazione hanno rafforzato l’immagine della carne come simbolo di forza e autenticità.

La crisi del plant based si inserisce in una politica che negli Stati Uniti ha favorito il ritorno della carne tradizionale. L’amministrazione Trump ha dato spazio a figure come Paul Saladino, influencer e sostenitore della dieta carnivora, che ha portato simbolicamente un frullato di carne e latte crudo alla Casa Bianca. Una narrazione che associa il consumo di proteine animali a valori di potenza e virilità e che ha trovato sponde anche nell’industria agroalimentare.

La propaganda a favore della carne si è rivelata particolarmente efficace, soprattutto se confrontata con la comunicazione del plant based, spesso incentrata su promesse ambientali e salutistiche che non sempre hanno incontrato il favore del grande pubblico e che, soprattutto, nulla c’entrano col cibo.

L’errore delle strategie industriali

Oltre a fattori economici e culturali, la crisi del settore è stata aggravata da strategie poco efficaci. La collaborazione tra Beyond Meat e McDonald’s per il lancio del McPlant, interrotta dopo pochi mesi a causa di risultati deludenti, ha mostrato i limiti di un’offerta che non ha saputo definire chiaramente il proprio pubblico di riferimento. Un panino con burger vegetale ma condimenti di origine animale non è stato convincente né per i vegani né per i carnivori curiosi.

Anche Burger King ha incontrato difficoltà simili con il Plant Based Whopper, comunicato in modo ambiguo e accolto con scetticismo dai consumatori più attenti. Errori di posizionamento che hanno contribuito a rallentare un mercato già fragile.

Noi questi panini li abbiamo assaggiati entrambi e sono effettivamente identici alle versioni tradizionali. Ci incuriosisce molto il perché i valori nutrizionali siano sballati a favore della proposta classica con i plant based che hanno molte più calorie dell’hamburger tradizionale ma non siamo riusciti mai ad avere una risposta chiara e soddisfacente dalle due multinazionali.

L’Europa e l’Italia: un contesto diverso

Se negli Stati Uniti la crisi appare evidente, in Europa il mercato resiste, seppur con dimensioni più ridotte. In Italia, secondo i dati Ismea, le vendite di prodotti alternativi alla carne sono cresciute del 21,6% nel 2021 e del 14,8% nei primi cinque mesi del 2022. Numeri che riflettono sia la fase iniziale di sviluppo del comparto, sia una maggiore curiosità dei consumatori verso alternative sostenibili. Oggi i dati sono più stabili ma sono comunque buoni per essere un prodotto di nicchia.

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Alcuni ristoranti e catene hanno ampliato i menù con proposte vegetali, mentre realtà come Bun Burger hanno introdotto panini disponibili sia in versione classica che plant based. Un segnale che testimonia un approccio più pragmatico e meno polarizzato rispetto al mercato statunitense.

Quale futuro per la carne vegetale?

L’industria delle proteine vegetali si trova di fronte a un bivio. Da un lato deve affrontare le difficoltà legate a costi elevati e percezioni negative, dall’altro ha l’opportunità di ripensare il proprio ruolo non come sostituto integrale della carne, ma come opzione complementare.

Ethan Brown, fondatore di Beyond Meat, ha ammesso che «non è il nostro momento», e che la priorità ora è superare una fase difficile. Impossible Foods ha parlato apertamente di un pubblico flexitariano, pronto a ridurre ma non eliminare la carne dalla dieta. Alcune aziende stanno persino sperimentando prodotti ibridi, a metà tra vegetale e animale, per intercettare questa domanda intermedia.

Il boom della carne vegetale aveva acceso aspettative altissime, ma la realtà del mercato ha riportato la questione a una dimensione più concreta. Ridurre il consumo di carne resta un obiettivo importante per motivi ambientali e sanitari, ma la strada passa probabilmente attraverso un approccio meno radicale e più graduale.

Le proteine vegetali potrebbero trovare spazio non come sostituto totale, ma come parte integrante di una dieta varia e sostenibile. Un percorso che, al di là delle oscillazioni di mercato, continuerà a interrogare consumatori, aziende e istituzioni su quale debba essere l’alimentazione del futuro.

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Immagini da Shutterstock

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