In Italia, tra l’1 e il 2 novembre, il cibo assume un valore simbolico profondo. Durante Ognissanti e il Giorno dei Morti, la tradizione contadina e religiosa si intreccia in un rito che celebra la memoria attraverso piatti di stagione — dalle zuppe di legumi alle castagne, fino ai dolci come le “ossa dei morti”. Ogni regione conserva usanze specifiche, ma il filo conduttore resta lo stesso: nutrire la famiglia e onorare chi non c’è più.
Il significato del cibo nella ricorrenza dei morti
Nel calendario italiano, il primo novembre (Ognissanti) e il due novembre (Giorno dei Morti) rappresentano un momento di passaggio tra sacro e quotidiano. Nella cultura popolare, si credeva che in queste giornate le anime dei defunti tornassero a visitare i propri cari, trovando accoglienza in case e cucine. Per onorare il loro ritorno, si lasciavano tavole apparecchiate, cibi semplici e bevande calde, spesso preparati con ingredienti poveri e di stagione.
Questa usanza, ancora viva in alcune aree rurali, riflette una forma antica di ospitalità verso i defunti: un gesto simbolico che trasforma il pasto in memoria condivisa.
Piatti della tradizione: legumi, castagne e verdure d’autunno
Molte ricette legate al Giorno dei Morti affondano le radici nella cucina contadina. I legumi, in particolare, hanno un significato rituale. Fave, ceci e lenticchie rappresentano il ciclo della vita e della rinascita, motivo per cui un tempo venivano offerti ai poveri o lasciati sulle tombe come segno di continuità.
La zuppa di ceci e zucca, diffusa in gran parte del Centro Italia, ne è l’esempio più rappresentativo: un piatto povero, caldo e denso, che unisce i sapori autunnali della terra.

In Piemonte si prepara ancora la zuppa alla canavesana, con verza, pancetta e brodo servita su pane abbrustolito e formaggio fuso, mentre la bagna cauda, a base di acciughe e aglio, segna l’inizio dell’inverno e si condivide in tavola come rito conviviale.
Non mancano i risotti di stagione, come il risotto alle castagne, che unisce dolcezza e note aromatiche, emblema della cucina semplice e del recupero dei frutti boschivi.
Nel Trentino e nelle valli alpine, il Giorno dei Morti è legato alla carne salada, carne di manzo marinata con spezie e vino, servita a fettine sottili con cavolo cappuccio o mele. È un piatto di conservazione, tipico delle stagioni fredde, ma anche un simbolo di parsimonia e di rispetto per la materia prima.
Sempre nel Nord Italia, la verza con le noci è un contorno tradizionale, cotto lentamente in padella fino a diventare una crema morbida, arricchita dal sapore oleoso e rustico delle noci, frutto che simboleggia l’aldilà nelle credenze popolari.
Oltre ai legumi i veri protagonisti gastronomici di queste giornate sono i dessert. In ogni regione, il momento dolce di queste giornate assume un valore rituale. Le ossa dei morti, biscotti friabili a base di mandorle, zucchero e spezie, sono tra le preparazioni più diffuse e rappresentano, nella loro forma, un omaggio simbolico ai defunti. In Sicilia e in Umbria si preparano con mandorle tostate e chiodi di garofano, mentre in Piemonte e in Liguria assumono varianti locali.
Il castagnaccio, tipico della Toscana e dell’Appennino settentrionale, nasce da un impasto di farina di castagne e acqua, arricchito da pinoli, uvetta e rosmarino: un dolce antico, privo di zucchero raffinato, che racconta la povertà contadina e la saggezza dell’uso stagionale degli ingredienti.

A Milano e nella Brianza si prepara invece il pan de mej, un dolce rustico a base di farina di mais e fiori di sambuco. Un tempo associato alla festa di San Giorgio, nel tempo è diventato tipico anche del periodo dei morti, grazie alla sua lunga conservabilità e al sapore semplice.
In Campania, in occasione di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti, assume un ruolo simbolico un dolce particolare: il Torrone dei Morti. Non si tratta del torrone tradizionale di mandorle duro da conservare, ma di una variante morbida o semimorbida, spesso a base di cioccolato, crema alle nocciole e frutta secca. La forma e il nome evocano il rapporto con la ricorrenza: in dialetto napoletano viene talvolta chiamato ‘o Murticiell (“il morto”), e una versione racconta che anticamente i bambini portassero questi dolciumi sulle tombe dei defunti come dono, oppure si lasciassero in tavola durante la notte fra l’1 e il 2 novembre per accogliere gli spiriti. Usanza tra l’altro condivisa con moltissimi luoghi del Regno delle Due Sicilie, in particolare con l’Abruzzo. Sul piano simbolico, il torrone richiama un duplice significato: da una parte la continuità della famiglia e il ricordo dei defunti attraverso il gesto del cibo condiviso; dall’altra un elemento di “dolcezza” introdotto in una giornata orientata alla memoria e al lutto, che mitiga il tema della perdita con quello della convivialità.
Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, cosa si mangia in Italia il Giorno dei Morti? Si mangiano piatti di memoria. Ricette nate per essere condivise, preparate con ciò che la stagione offre e arricchite di significati che attraversano i secoli. In ogni cucchiaio di zuppa, in ogni biscotto speziato o fetta di castagnaccio sopravvive un gesto antico: quello di ricordare attraverso il cibo.