Nel cuore della Torino sabauda, tra il Teatro Carignano e l’ex Parlamento Subalpino, esiste un luogo dove il tempo si è stratificato con cura: è il Ristorante Del Cambio, che dal 1757 attraversa secoli di storia italiana – gastronomica, politica, estetica – rinnovando la propria voce.
Un cambiamento che negli anni è sempre stato guidato dalla volontà di restare e di posizionarsi come un ristorante storico nel presente: dalla svolta epocale del 2014, quando dopo anni di chiusura, è stato oggetto di un restauro strutturale, artistico e concettuale voluto dalla nuova proprietà, Michele Denegri.
Le scelte sono state radicali: affiancare Matteo Baronetto, allora uno degli chef più raffinati della scena italiana, per rileggere la cucina piemontese in chiave contemporanea, e scegliere Michelangelo Pistoletto per trasformare uno degli spazi del ristorante in una sala d’arte contemporanea.
2025: un nuovo cambiamento
All’inizio del 2025 è stato ufficializzato l’addio di Baronetto e il passaggio al suo storico sous chef Diego Giglio, con l’obiettivo di garantire continuità nell’identità del ristorante. Oggi con il nuovo chef alla guida della cucina, il ristorante compie 268 anni e rinasce, di nuovo. Non come si fa per moda, ma come si fa per fedeltà: alla propria storia, alla propria città, al proprio stile.

Del Cambio non è mai stato un ristorante “popolare” e non ha intenzione di diventarlo ora: chi entra nella storica Sala Risorgimento – quella dove pranzava Cavour – sa che l’esperienza comincerà con un’accoglienza dal tono rituale. Lo staff, guidato da Fabio Furci, restaurant manager con formazione alla scuola di Daniele Sacco, si muove con grande senso di accoglienza e grazia.
Cosa si mangia al nuovo Del Cambio
La mano di Giglio, dopo diversi anni trascorsi al fianco di Matteo Baronetto, è netta e coerente: la cucina continua ad affondare nella tradizione piemontese e francese, con un linguaggio brillante, sobrio e calibrato.
Il menu degustazione “1757” (€ 175) è la dichiarazione più chiara di intenti: una sequenza di piatti che raccontano la memoria gastronomica torinese come un racconto corale.
Si apre con il Gran Antipasto Piemontese, una composizione conviviale di piccoli assaggi — gofri del Piemonte, paté di vitello in gelatina, acciughe al verde, vitello tonnato — che ricostruisce la storia delle case e delle osterie borghesi, ma con una leggerezza formale da alta cucina.

Segue la Lingua alla Persillade (€ 50 se ordinata alla carta): fettine sottili di lingua di vitello, salsa verde di prezzemolo e concassé di lardo in carpione. Un piatto bilanciato, dove la classica lingua piemontese viene bilanciata in acidità e grassezza.
La “Minestra di Riso” (€ 55) è un risotto ai funghi di stagione, profumato, dal sapore pieno e mai pesante, e soprattutto cotto all’onda: uno dei piatti più felici della nuova carta, capace di confortare e sorprendere.
Poi arriva il Piccione alla Marengo (€ 70), ispirato a una ricetta del Settecento, che intreccia i sapori della selvaggina con quelli del mare, unendo una bisque intensa, una coscia farcita di foie gras e tartufo nero, accompagnandolo con tuorlo marinato e un gel di limone fermentato. Un assaggio complesso, sontuoso, eppure calibrato.
A chiudere, il Bonet Del Cambio (€ 30): il più classico dei dolci piemontesi che diventa vellutato e aromatico, cotto al vapore e arricchito da olio di nocciola estratto a freddo. La firma è di Giorgia Mazzuferi, ventiseienne pastry chef romana che coordina una brigata di quindici persone tra ristorante, bistrot e Farmacia Del Cambio.

La selezione vini in abbinamento (€ 135) è curata da Mirko Galasso, head sommelier con un palato sorprendentemente libero da dogmi. Dalla cantina — 25.000 bottiglie, 6.000 referenze, un “infernot” storico con Champagne da collezione — emergono verticali di Borgogna, Barolo e bollicine francesi rarissime. È una carta che parla tanto di territorio quanto di curiosità.
Il menu alla carta conferma l’esercizio di reinterpretazione della cucina piemontese e francese: si bilancia tra confini culturali precisi, e propone piatti brillanti, come la carne cruda in doppia versione, ossia steak tartare e albese con carciofi (€ 55) i plin di crostacei e brodo di ceci (€ 55), che mostrano la volontà di Giglio di spingere su contrasti insoliti ma coerenti.
Il conto è coerente con la sua storia e posizione, e con la cantina monumentale: l’esperienza completa (menu degustazione + vini) si aggira sui 310 € a persona, che colloca Del Cambio nella fascia più alta del fine dining italiano, e in linea con ristoranti di pari storicità e livello internazionale.
Un’eredità che sa evolversi
La nuova direzione gastronomica di Del Cambio non è una rottura, ma un passaggio di testimone. Non c’è stato un effetto post Baronetto, forse perché da sempre si è scommesso su una squadra interna e su un progetto di lungo periodo.
Il ristorante, oggi, si articola in tre anime: il Ristorante, la Farmacia del Cambio e il Bar Cavour. Luoghi che hanno al centro un’aristocratica idea di sabaudità combinata alla gioia del ritrovarsi in maniera conviviale, che attraversa ogni spazio.