Un team di ricerca internazionale ha ricostruito, attraverso il sequenziamento del Dna, le specie di pesci utilizzate per la produzione del garum, la salsa fermentata di pesce centrale nella dieta romana, antenato diretto della moderna colatura di alici. L’analisi, pubblicata sulla rivista Antiquity, ha permesso di identificare con precisione i resti ittici rinvenuti in un impianto di lavorazione in Galizia, databile al III secolo a.C.. Lo studio apre nuove prospettive sulla conoscenza delle tecniche di conservazione, sulle rotte commerciali e sulle scelte alimentari nel mondo antico.
Le testimonianze storiche hanno a lungo descritto il garum come uno dei condimenti più diffusi nella cucina romana, ma solo recentemente è stato possibile comprendere in modo diretto e scientifico come venisse effettivamente prodotto. Uno studio coordinato dal Ciimar (Centro Interdisciplinare di Ricerca Marina e Ambientale dell’Università di Porto) ha rivelato, attraverso l’analisi genetica di resti ittici, che la ricetta del garum iberico si basava prevalentemente sull’utilizzo di sardine europee (Sardina pilchardus).
Nei meandri del garum
L’indagine è stata condotta su reperti provenienti dal sito archeologico di Adro Vello, in Galizia, nel nord-ovest della Spagna, dove un impianto di salagione romano (chiamato cetaria) ha restituito frammenti organici conservati nei depositi delle vasche. Questi resti, risalenti al III secolo d.C., sono stati sottoposti a una delicata lettura della sequenza del materiale genetico, non privo di difficoltà: la fermentazione accelera infatti il degrado del materiale genetico, rendendo l’identificazione molto complessa.
Secondo i risultati la specie prevalente nel composto era la sardina europea. Confronti condotti tra i profili genetici delle sardine antiche e quelle moderne hanno evidenziato una minore variabilità genetica nelle popolazioni ittiche del passato, indicando una frammentazione più marcata tra gli stock oceanici.
Il garum, derivato dalla fermentazione di pesci interi – spesso eviscerati ma non privati delle teste – mescolati a sale grosso, era ricco di glutammato naturale, elemento che lo rendeva un insaporitore molto potente. Il prodotto finale risultava particolarmente stabile, adatto al trasporto su lunghe distanze. Per questo motivo la sua produzione era concentrata soprattutto lungo le coste atlantiche della Hispania e nel Nord Africa romano, in particolare tra l’Andalusia, Cartagine e le attuali aree costiere algerine.
Esistevano diverse varianti della salsa, che venivano modificate con aggiunte come aceto, vino, olio o pepe, a seconda dell’uso previsto. Il garum era impiegato sia nella cucina quotidiana delle classi medie sia nelle preparazioni più elaborate della cucina aristocratica.
La ricerca dimostra come l’approccio genetico possa aprire nuovi scenari nello studio delle pratiche alimentari antiche. Finora, infatti, i resti di pesce recuperati in contesti archeologici sono stati spesso trascurati per la difficoltà di attribuzione specifica. L’identificazione molecolare consente ora di ricostruire con maggiore accuratezza non solo la composizione dei cibi, ma anche le strategie economiche e ambientali legate alla loro produzione.