Al porto di Milazzo, nel continuo viavai di partenze e ritorni, dove il profumo del mare accompagna il trascinarsi delle valigie e il sottofondo dei traghetti in partenza per le isole Eolie, ha aperto da pochi mesi un luogo che sembra stare lì da sempre. Si chiama Frangipane e, più che un forno, è il manifesto “lievitato” di Antonio Palana, ex ferroviere, oggi artigiano della panificazione naturale. Il suo sogno? Spezzare il pane per spezzare col passato. E ricominciare.
Dalla ferrovia alla fermentazione
«Ho lavorato 22 anni per le ferrovie dello Stato – racconta Antonio –. Genova, Bologna, poi il ritorno a casa, a Milazzo. Ma la passione per la cucina l’ho sempre avuta. Allenamento, benessere, alimentazione controllata: per me il cibo è sempre stato una forma di equilibrio, oltre che di piacere». Nel 2019 arriva la svolta: un corso professionale al Gambero Rosso lo introduce al mondo delle fermentazioni. «Lì ho scoperto i lieviti, l’acqua fermentata, il potere dei batteri lattici. Ho capito che il pane non è solo farina, acqua e sale. È vita, è trasformazione». Così, il lievito madre entra in casa sua e non ne esce più.
Il primo contatto con il pane risale comunque all’infanzia, quando impastava con la nonna in una vecchia casa di campagna, sulle colline di Messina. «Avevano un forno di proprietà. All’età di cinque anni mi hanno messo su uno sgabellino e mi facevano impastare. Era tutto tradizione, tutto istinto. È un ricordo che non mi ha mai lasciato». Negli anni successivi studia, sperimenta, si forma con i grandi maestri della panificazione: Ezio Marinato, Oscar Pagani, e altri. «All’inizio il pane non mi riusciva. Ma questo mi ha dato ancora più voglia di capire. La panificazione è tecnica, ma anche ossessione».

Cos’è Frangipane?
«Frangipane è un nome nato dal cuore. Per noi (lui e Michela Di Rubbo, sua moglie con un background in food & beverage management, ndr) ha rappresentato una rottura, positiva, naturalmente. Infrangere con il pane, come gesto simbolico: lasciare le nostre vite precedenti e ricominciare».
In quest’ottica, Milazzo è una scelta di ritorno, ma anche una scommessa. «Conoscevo bene il territorio, sapevo che poteva essere pronto per una panetteria nuova, etica, contemporanea. E il porto è il luogo perfetto: frontiera tra partenze e ritorni, tra chi arriva e chi resta. Volevamo che il nostro pane parlasse anche a chi viene da fuori».
Frangipane è il frutto di una lunga preparazione, ma anche di un’intuizione precisa. «Con Michela abbiamo fatto un master con MadreProject, la scuola del pane e dei luoghi di Milano, un progetto di Terzo Paesaggio in collaborazione con il Panificio Davide Longoni e Avanzi – Sostenibilità per azioni. È lì che abbiamo capito che il pane può diventare impresa, cultura, territorio. Non è solo pane: è un progetto agricolo, umano, politico».
Dopo aver trovato il locale giusto – un ex ristorante rimasto chiuso per quasi un anno – hanno ristrutturato –seguiti da due professioniste di Roma di UN/DONE Architectures – e aperto lo scorso 8 dicembre. Oggi il laboratorio lavora a pieno ritmo: i picchi ci sono stati durante le feste comandate, tra infornate di panettoni e colombe. Per ora, la priorità è consolidare la base: far conoscere i pani, raccontare il progetto, fidelizzare chi entra.
Il pane come progetto agricolo e culturale
Al bancone di Frangipane si trovano 6-8 tipi di pane diversi ogni giorno, più alcune specialità a rotazione. Tutti con lievito madre, tutti da grani siciliani antichi, coltivati in biologico. «Lavoriamo soprattutto con Mulini del Ponte, pionieri nella molitura a pietra e nel recupero di varietà locali. Il loro grano mantiene il germe, la parte viva. Per questo va conservato con attenzione, a 18°, anche nei nostri magazzini».
C’è il perciasacchi, la timilia, la russello, tutti grani duri che raccontano la Sicilia più autentica. «Il nostro è pane che dura, che fermenta lentamente, che migliora col tempo. Più grande è la forma, più profondo è il gusto. E non è solo buono: è sano, digeribile, vero». Non è un caso se indossa la maglietta di Panificatori Agricoli Urbani (PAU), movimento di cui fa parte e che promuove anche attraverso il manifesto in 10 punti esposto alle pareti del locale.

Non solo pane: bottega e cultura
Nel laboratorio interno si producono anche pizze (teglia, alla pale e padellino), focacce e lievitati stagionali. La linea è chiara: ingredienti freschi, vegetali, selezionati con cura. Pochissimi formaggi, nessun prodotto standard. «Facciamo tutto noi, dalle farciture ai contorni. Anche la pizza segue la stessa filosofia del pane: grani antichi, impasti lunghi, leggerezza e gusto».
La bottega ha pochi posti a sedere, ma è stata pensata per far restare i clienti. «Ci piace mantenere il contatto con i clienti, raccontare cosa facciamo. Perché il nostro pane costa un po’ di più? Perché dietro c’è un’altra idea di produzione, un’altra idea di economia. Rispettiamo la stagionalità, la sostenibilità reale, quella che considera anche le persone, non solo l’ambiente».

Milazzo come inizio
Frangipane è partito da qui, ma non è detto che resti solo qui. Il sogno è portare il pane naturale anche altrove, senza perdere l’identità. «Il nostro modello è replicabile, ma solo se resta radicato al territorio. Non vogliamo diventare una catena, vogliamo costruire comunità». E mentre la gente passa per prendere l’aliscafo per Vulcano o Salina, c’è chi si ferma per un panino di grano russello, una fetta di focaccia di grano duro, o semplicemente per ascoltare una storia. Perché in fondo il pane è questo: un mezzo per raccontare chi siamo.