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Giorgia Caporuscio

Giorgia Caporuscio, l’emancipazione passa dalla pizza

Figlia del fondatore e patron del Kesté a New York, la pizzaiola originaria di Terracina ne ha seguito le orme e lo ha affiancato, per poi proseguire il suo percorso personale.

Dna, destino o buon esempio? Difficile dirlo nel caso di Giorgia Caporuscio, trentaduenne pizzaiola italiana oggi alla guida della pizzeria Don Antonio, aperta nel 2012 sulla Cinquantesima – in Midtown Manhattan, nel cuore di Hell’s Kitchen e del Theatre District newyorkese, a due passi dalla scintillante Times Square – dal padre Roberto in società con “don” Antonio Starita, grande maestro della pizza napoletana tradizionale nel rione partenopeo di Materdei.

Giorgia non è venuta su tra sacchi di farina e forni ardenti, così come non era accaduto per il padre: originari di Terracina, lei è cresciuta tra mare e campagna, nell’azienda agricola della famiglia della madre, allevatori e produttori di latte vaccino. Nel 1998 la decisione di chiudere l’attività e, per Roberto Caporuscio, quella di cominciare un nuovo percorso: dopo un corso professionale da pizzaiolo nel 1999 parte per gli Stati Uniti, facendo tappa prima a New York e poi in Pennsylvania. Qui fa esperienza in diverse pizzerie prima di tornare nella Grande Mela iniziando la sua attività da pizzaiolo-imprenditore che lo avrebbe portato ad aprire la pizzeria Kesté nel Village (in Bleecker street, oggi chiusa, mentre resta in attività la più ampia Kesté Pizza e Vino in Gold Street, poco distante dal ponte di Brooklyn), seguita da altre insegne tra cui appunto il Don Antonio.

Lei lo raggiunge nel 2009, dopo gli studi alberghieri: ha 19 anni, le idee non ancora chiare e la voglia di fare nuove esperienze. «Non sapevo bene cosa volessi fare, sognavo di lavorare come hostess di volo e sono venuta a New York per imparare l’inglese», racconta lei. «Mio padre aveva appena aperto la sua prima pizzeria, pioniere dell’autentica pizza napoletana in città. Io mi sono ritrovata al bancone un po’ per gioco e un po’ per vedere dove arrivasse la mia determinazione, con i collaboratori di mio padre che mi prendevano in giro perché non avevo mai fatto la pizza, e perché ero una donna. Mi ci sono messa, giorno dopo giorno, e ho imparato, innamorandomi di questo prodotto. Così sono rimasta, aiutando mio padre prima nel nuovo locale a Midtown e poi con la Pizza Academy Foundation: mi piace moltissimo insegnare, sia ai semplici appassionati sia a chi vuole imparare un mestiere. Amo l’idea di aiutare le persone a cambiare vita: qui negli Stati Uniti, ricominciare da zero più volte è normale!».

Così, sotto l’egida del padre e del mentore don Antonio, Giorgia si è affermata e fatta conoscere, vincendo premi e riconoscimenti negli States e in Italia (tra cui il riconoscimento per la miglior montanara fritta a Napoli nel 2012) e accumulando esperienza tanto come pizzaiola quanto come insegnante e manager. Fino a che, proprio mentre la pandemia imponeva a molti di reinventarsi, cambiando abitudini e assetti dei locali – e portando alla chiusura di alcuni, come appunto la sede originaria del Kesté – non ha deciso che fosse arrivato il momento di andare avanti da sola, rilevando il locale vicino a Times Square e tornando a tempo pieno al bancone. «Ho una visione diversa da quella di mio padre, più giovane, quindi ho cambiato tante cose, dal servizio al branding, fino alle pizze in menu, anche se non mi discosto dalla “napoletana classica” come tipologia». La montanara – quella fritta e passata per pochi secondi nel forno ad asciugare, “marchio di fabbrica” di Starita – è sempre presente, ma la sua impronta personale s’individua soprattutto nelle pizze “seasonal” come quella invernale con noci, radicchio e Gorgonzola, o quella con alici, carciofi menta, mozzarella e pomodorini gialli, che nasce dal ricordo delle prime giornate d’estate a Terracina.

Le differenze sostanziali, però, sono soprattutto nel modello di business e nella scelta dei fornitori. «Pure come conseguenza del Covid, ci siamo orientati verso la sostenibilità e l’utilizzo di materie prime in gran parte locali, anche per supportare i piccoli coltivatori e produttori dei dintorni, birra e bevande incluse. È cresciuto tantissimo anche l’asporto, come la richiesta della pizza senza glutine, che per noi rappresenta ormai il 35—40% del fatturato giornaliero: tutte le nostre pizze, tranne quelle fritte, si possono avere anche nella versione gluten free».

Insomma, non ci sono solo passione e poesia nelle giornate di Giorgia, ma tanta organizzazione e determinazione – spesso condivise con le colleghe negli USA, con cui hanno creato un gruppo che offre complicità, confronto e supporto per un mestiere che anche da quelle parti viene ancora visto come prettamente maschile. «Mi occupo io di tutto, faccio le pizze ma seguo anche la gestione completa del locale, anche se vengo aiutata tantissimo dal mio compagno: stiamo insieme praticamente 24 ore su 24 ma fortunatamente litighiamo pochissimo! Non è semplice, soprattutto per quel che riguarda la gestione del personale che in questi ultimi anni è diventata sempre più complessa. In generale, con il Covid sono stati anni tostissimi ma fortunati, sono molto soddisfatta. Anche se non mi dispiacerebbe tornare a insegnare, per far conoscere la pizza e la cucina italiana a chi ama il nostro Paese».

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