Cerca
Close this search box.
Eneko Atxa del tristellato Azurmendi di Larrabetzu

Identità Golose 2022, gli highlights del primo giorno

Dalla sostenibilità come percorso al radioso futuro del gelato alla vaniglia, passando per la centralità del vegetale e il racconto del territorio contaminato, quello di chef che iniziano il mestiere da giovanissimi guardando l’Italia da fuori e scegliendo di tornarci.

Dopo il tema del lavoro, l’urgenza è l’avvio di progetti che guardino al futuro. Con questo auspicio si apre la diciassettesima edizione di Identità Golose a Milano, il Congresso internazionale di cucina e pasticceria d’autore ideato da Paolo Marchi e Claudio Ceroni. Se “Nella tempesta abbiamo saputo navigare”, come chiosa il giovane Cristiano Piccirillo, ultima generazione della pizza fritta de La Masardona, «Basta solamente domandarsi cosa ci aspetta e a cosa andiamo incontro – ricordano Marchi e Ceroni —. Ogni possibile futuro bisogna cercarlo in noi stessi, perché “Il futuro è oggi” e parlare del domani ci condannerebbe alla sconfitta. Se il Novecento viene considerato il secolo breve, il Duemila sarà quello brevissimo». È necessario, quindi, pensare al nuovo senza prescindere dal passato, come quel Quasi uno spaghetto al pomodoro, piatto iconico di Massimo Bottura e signature di questa tre giorni, un trompe-l’oeil inedito che gioca con amarene e peperone.

Dalla concezione del tempo di Agostino che non esiste se non nell’attimo che stiamo vivendo — quello che separa passato e futuro — riflette il direttore artistico Davide Rampello per proiettare questa dimensione, ritmata da un ieri, un oggi e un domani, in un luogo, quello della tavola, in cui il ristoro promette di “ridare vita, consolidare dei legami”. Non stupisce, allora, che il racconto della genesi di Osteria Gucci a Firenze condiviso da Marco Bizzarri, Ceo di Gucci (ed ex compagno di Bottura ai tempi della scuola di ragioneria), parta proprio da un invito a pranzo, quello in cui è riuscito a conciliare gli impegni del direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, e del tristellato modenese: «Dopo mezz’ora era nato il ristorante in Piazza della Signoria a Firenze».

In Auditorium il panel su “Il futuro è oggi” prende il via con l’intervento di Eneko Atxa del tristellato Azurmendi di Larrabetzu, a capo di una delle cucine più interessanti della regione basca. «La gastronomia è un linguaggio universale, che si declina però in diversi dialetti. Quello di Azurmendi è il nostro, personale e irripetibile». Rispetto delle tradizioni del territorio, studio filologico dell’ecosistema in cui si opera e apertura agli stimoli di altre culture. Questi i pilastri della sua filosofia, che ha trovato un nuovo campo di applicazione nel progetto parallelo e strutturale Jakin. Una linea programmatica che orienta l’attività di ognuno dei suoi locali e che coltiva l’attenzione per forme di architettura rigenerativa, l’utilizzo di energie rinnovabili, il networking con i piccoli produttori, il benessere dei collaboratori e lo studio degli aspetti nutrizionali delle proposte gastronomiche. Le parole chiave, dalla Spagna al mondo, sono sostenibilità, salute e impegno sociale.

Il primo appuntamento con “Il futuro è loro” — la sezione del Congresso dedicata alle nuove leve della cucina italiana e internazionale — si apre con Davide Marzullo, a capo della Trattoria Moderna di Lomazzo (Como). Classe 1996, Marzullo ha maturato competenze tecniche e organizzative al Noma di Copenaghen, mentre a Villa Crespi ha approfondito il gusto della grande tradizione gastronomica italiana con Antonino Cannavacciuolo. Ingredienti a filiera corta, pratiche internazionali e occhi puntati sull’elemento vegetale come preziosa risorsa per il menu del futuro. La ricetta che propone per l’occasione pensa alla Francia ma ignora le proteine animali: una terrina di alga nori e porri, finita con una salsa di gubet — un formaggio di capra di produzione locale — ed erbe di campo.

Restando sulle suggestioni campane, ha avuto (anche) il sapore di pizza napoletana e brace l’evoluzione di Piazzetta Milù che racconta, invece, un bellissimo affare di famiglia a Castellammare di Stabia. Dalla pizzeria di papà Michele e mamma Lucia al salto di qualità gastronomico con la nuova generazione Izzo incarnata da Emanuele, Valerio e Maicol, rispettivamente sommelier, uomo di sala e chef. Ognuno dei fratelli ha trovato il suo destino ampliando anche il business al comparto eventi con le cerimonie a Villa Angelina a Massa Lubrense e, più di recente, con il secret cocktail bar Shub, nel cuore di Sorrento, che propone cocktail, vini e Champagne abbinati a una proposta gastronomica dedicata. Mediterraneo nell’animo, lo chef è affascinato dalle contaminazioni come dimostra il suo Ceviche all’acquapazza, in cui la famosa preparazione a base di pesce crudo di origine sudamericana incontra il sapore dei nostri mari con la pezzogna, in una raffinata sintesi fusion che conferma vincente la triade pomodoro-limone-olio extravergine di oliva. Il futuro di Piazzetta Milù sembra già scritto in quel Mezzo pacchero alla marinara ispirato all’omonima pizza napoletana che fa tornare “a casa”.

Fortemente impegnato nella divulgazione della cucina di territorio appare Pierluigi Fais di Josto, Cagliari, che dopo la provocazione “Nessun piccione è stato maltrattato per la realizzazione di questo menu”, torna a promuovere la sua Sardegna (contemporane) al motto di “La pecora è oggi”. «Oltre al piccione, in una cucina di fine dining si può fare altro. Non abbiamo iniziato noi a recuperare la pecora, animale super identitario della regione, che nella nostra tradizione è sempre stato centrale. In questi anni di ricerca abbiamo studiato l’animale per valorizzarne i singoli tagli anatomici». Dalla spalla e dalla coscia con cui si ricava la Pecora bollita 2.0, che ingentilisce uno dei piatti isolani più tradizionali (e che solo in alcune occasioni è possibile assaggiare anche in un cocktail di benvenuto a base di brodo, sulla scia del Pisco sour!), al carré e ad alcune parti della coscia impiegate per una tartare dal morso più tenace che non bisogna avere paura di mangiare perché «la pecora è un animale pulitissimo e si nutre di sola erba».

Parlando di talenti di oggi e domani non si può prescindere da Christian Mandura, chef di Unforgettable a Torino. Il suo ristorante gioca tra estetica pop, rappresentazione autoriale, scena underground delle grandi metropoli e si sviluppa attorno a un grande bancone che richiama l’omakase giapponese. In una vecchia stazione di posta del ‘500, la cucina risponde all’esigenza di portare il vegetale al centro della scena, servendo pesce e carne come contorno.

“Radicale” appare anche il futuro di Antonio ZiantoniBest Chef Under 35 ai F&W Awards Italia 2021 — che nel 2018 ha inaugurato il suo Zia Restaurant nel cuore di Trastevere. Originario dei versanti appenninici tra Lazio e Abruzzo e cresciuto tra le cucine di Gordon Ramsay, Georges Blanc ed Anthony Genovese, lo chef dice la sua sul domani del fine dining: «Quello che immagino non è un futuro di estremismi o di corse in avanti, ma la prospettiva di un recupero delle fondamenta. Immagino un avvenire che ci tenga agganciati a terra, ma ci lasci liberi di spingersi verso l’alto. Esattamente come accade per un albero e le sue radici». Ai fornelli di Identità Golose propone un piatto entrato da pochissimo in menu: una pasta fredda ai friggitelli, in cui il vegetale è trattato in tre modi. Brasato, arrostito ed estratto nei suoi succhi, utilizzati poi in mantecatura.

Si passa dai primi piatti al dessert, anche se non necessariamente da relegare a fine pasto, con il gelato di Luigi Buonansegna. Il gelatiere lucano è migrato a Firenze per studiare Giurisprudenza, poi è tornato nella propria terra per scrivere lì il nuovo corso del gelato artigianale. Vale la pena salire a quota 1000 metri in provincia di Potenza per provare uno dei migliori gusti al pistacchio d’Italia, ovviamente made in Stigliano, che dalle vetrine delle Officine del Gusto ha fidelizzato anche il consumatore più scettico, abituato al verde acceso (indice tutt’altro che di artigianalità!). Un prodotto che sa di territorio, di futuro e del piacere delle cose semplici. Elementi che si ritrovano ne “La merenda che non c’era”: un panino al latte ripieno di sorbetto di cioccolato bianco, fragole Candonga e peperone arrostito.

Profuma di pane e dessert l’intervento della coppia di chef Roberta Merolli e Giovanni Solofra, con un passato al fianco di Heinz Beck e oggi alla guida del Tre Olivi. Nel ristorante del Savoy Beach Hotel di Paestum, balzato agli onori della cronaca per il salto da zero a due stelle Michelin nel 2021, il focus è ben centrato sulle preziose risorse del Cilento. Non sui soli prodotti di qualità — mozzarella di bufala e grani antichi in primis — ma sulla rete solida dei produttori. Insieme al companatico, il servizio del pane è il primo gesto di accoglienza a tavola, mentre il dolce è l’ultimo saluto che precede il congedo. Roberta Merolla racconta la storia (è proprio il caso di dirlo) di “Peppina, la bufala preferita”: un dessert che vuole essere una celebrazione totale dell’animale campano, con una frolla ai semi di lino ed erba medica, un cremoso di pomodoro, basilico e latte di bufala (memorie di una caprese? Perché no!), poi ricotta, fieno greco e una sfumatura di limone. Un corno in cioccolato riporta alla dimensione un po’ scherzosa del gioco; perché il pasto è bene chiuderlo con leggerezza e buonumore.

Ironia e gioco — sempre sostenuti da una solida dose di teoria e contenuti — sono il marchio di fabbrica anche della ricerca di Fabrizio Fiorani, consulente internazionale di pasticceria da pochi mesi anche al W Rome insieme a Ciccio Sultano. Per chiudere l’agenda di Identità di Gelato, il pastry chef difende il valore di una “pasticceria italiana del tutto contemporanea”. Al di là delle distinzioni geografiche, la domanda è: Qual è il futuro del gelato alla vaniglia? Riusciranno materie prime di alta qualità a far sciogliere il ricordo di un prodotto mainstream dove il fiordilatte si arrende ai topping? Fiorani lo dimostra con il suo gelato/non-gelato: una spirale di crema leggera alla vaniglia del Madagascar, un filo di olio di oliva, caramello al limone, un biscotto al burro che richiama la croccantezza del cono e un pizzico di sale. Con queste premesse, il Vanilla Sundae preferisce la sostanza alla forma.

Maggiori informazioni

Condividi

Facebook
Twitter
LinkedIn
Articoli
correlati