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Identità Golose

Identità Golose giorno 3: la creatività è un atto di coraggio

Il video messaggio di Massimo Bottura apre il sipario della giornata finale del Congresso, raccogliendo altre testimonianze dei protagonisti più influenti del momento: da Niko Romito ad Antonia Klugmann, passando alle declinazioni di cucina green degli chef di Venissa o di Davide Guidara.

È tempo di tirare le somme anche per la 19esima edizione del Congresso di Identità Golose che come ogni anno ha portato sul palcoscenico le migliori realtà del panorama gastronomico italiano e internazionale. «Siamo nati disobbedienti fondando il congresso nel 2005 e, dopo gli anni bui del Covid-19, possiamo affermare che abbiamo superato tutti i parametri legati all’evento del 2019: era stato il nostro ultimo anno migliore», afferma entusiasta Claudio Ceroni, prima di lasciare spazio al video-contributo di Massimo Bottura che per la prima volta dalla fondazione del simposio, non è presente fisicamente a causa di impegni lavorativi a Los Angeles.

«Le rivoluzioni originano dalla disobbedienza e il gesto rivoluzionario è l’atto con cui si esce creativamente fuori dagli schemi – afferma Bottura –. Significa essere coraggiosi, voler provare a cambiare le cose rinnegando l’omologazione e l’obbedienza; solo così l’innovazione diventa un epicentro di una danza che intreccia coscienza, conoscenza e cultura».

Anche attraverso lo schermo, lo chef emiliano non risulta mai banale e regala un quarto d’ora di grande intensità a cui fa seguito sul palco Riccardo Camanini, che con il suo Lido 84 occupa la settima posizione della 50 Best Restaurants, primeggiando tra le insegne italiane. «La disobbedienza mi ha messo in crisi, è difficile ribellarsi a qualcosa che si ama. Allora mi sono chiesto quale fosse la sfida più importante per un cuoco. La risposta è negli ingredienti, che spesso disobbediscono all’idea del cuoco». È un’analisi molto lucida quella di Camanini che ai fornelli dell’Auditorium mette in mostra – ancora una volta – la sua passione per i grandi libri di cucina gastronomica, sintetizzandola nella Minestra di Cavoli struccati alla milanese che prende spunto da una (ri)lettura di una ricetta del Cinquecento, tratta dal libro di Bartolomeo Scappi (soprannominato il “cuoco dei papi”) soffermandosi sulla preparazione perché incuriosito da cosa intendesse il cuoco con il termine “struccare”. «In questo caso la rivoluzione è sovvertire l’idea originale di Scappi traducendola con un punto di vista contemporaneo».

Dalle sponde del lago di Como si passa a un piccolo paese friulano, Vencò, dove Antonia Klugmann sta portando avanti da diversi anni un modello di ristorazione intimamente legato al proprio territorio, in cui le erbe sono le protagoniste della maggior parte dei piatti, come dimostrano i Ravioli alle erbe amare e rapa bianca scelti come copertina del Congresso di quest’anno. «La mia cucina è in movimento continuo perché ho bisogno che lei esprima me stessa. Ogni stagione mi rinnovo e le mie preparazioni sono un’espressione di un bisogno di sintesi in cui la tecnica e l’estetica sono solo dei mezzi. Per me la ricerca si traduce in un tentativo di cambiare lo sguardo sulle cose che ci circondano e far sì che quel piatto sia un’espressione di quello sguardo mutato».
Un messaggio profondo, tanto quanto la conoscenza culinaria della chef friulana che aggiunge: «Il cuoco oltre a seguire la stagionalità degli ingredienti deve essere in continuo ascolto del proprio intimo cambiamento». Una rivoluzione così silenziosa da far rumore e l’esempio sono proprio i suoi ravioli di erbe amare, armonici nel gusto grazie al talento della Klugmann che tiene a bada questo gusto (spesso difficile da gestire) con un’emulsione di mandorla – utilizzando solamente l’acqua senza l’aiuto di latticini, una tecnica appresa da Romito come confessa lei stessa –, una centrifuga di rapa bianca e un mix di altre erbe tra cui la rucola selvatica e il prezzemolo.

Da cuoco autodidatta a una delle personalità più influenti nel mondo della gastronomia. Il claim del 19esimo congresso di Identità Golose è interpretato sotto tanti aspetti da Niko Romito che ha dovuto “lottare” contro la sua stessa famiglia, contraria alla sua decisione dell’epoca di rilevare l’attività del padre. «Sì alla disobbedienza, ma con un senso, perché prima di compiere un atto innovatore o rivoluzionario bisogna conoscere tutto quello che c’è stato. Io mi definisco un “contro-esempio”, ma ho dimostrato che con lo studio, con la ricerca e con il talento si può fare qualcosa di nuovo per influenzare in positivo il nostro settore». Romito può essere definito disobbediente per eccellenza partendo dalla filosofia del suo pane che si conserva in frigorifero fino a 30 giorni, citando la linea di biscotti vegani che nel gusto non ha differenze con uno classico o il voler proporre piatti classici della tradizione italiana nella catena di hôtellerie di lusso del Bulgari. Infine, la scelta di voler incentrare il menu di Reale su ricette interamente vegetali. «Io sono sempre più affascinato da questo lavoro e credo che il digitale e il miglioramento dei processi tecnologici possano aiutare la gastronomia, dal migliorare la componente nutrizionale di un piatto a far esprimere ogni ingrediente al 100% del suo potenziale».

In questa edizione di Identità Golose non poteva mancare un approfondimento sulla sostenibilità della ristorazione e sul conseguente utilizzo dei vegetali in cucina. E chi meglio di Francesco Brutto e Chiara Pavan, chef e coppia nella vita, poteva esporsi sul tema. Loro che a Venissa, sull’isola di Mazzorbo, si riforniscono esclusivamente da fornitori locali e coltivano quello che riescono nei loro 500 metri quadri di orto, cucinando solamente specie invasive e autoctone. «Definiamo la nostra come una cucina ambientale perché ci prendiamo cura del luogo in cui viviamo – commenta Brutto –. Negli ultimi anni abbiamo notato un cambiamento in negativo del territorio e così ci siamo imposti delle regole severe per preservare questo ecosistema». Dopo la siccità della scorsa estate, i due cuochi hanno avuto la sensibilità di capire che non era giusto, né conveniente essere autosufficienti al 100% e si sono affidati ai produttori locali, creando un network tra gli agricoltori con l’idea di mettere la figura dello chef al centro della comunità agricola. «La nostra disobbedienza è stata trasgredire alle nostre stesse regole, perché abbiamo avuto la maturità di capire che il dogma dell’autoproduzione non era giusto», chiosa Chiara Pavan.

Un altro testimonial della cucina vegetale è Davide Guidara, che nell’insegna stellata de I Tenerumi all’interno del Therasia Resort sull’isola di Vulcano, conquista gli ospiti con una degustazione di 20 portate. Cook More Plants è il manifesto vegetale da lui scritto attraverso il quale passa in rassegna i setti punti della sua “nuova cucina vegetale”. In Auditorium lo chef di origine campana si è soffermato sul terzo punto, ovvero la tecnica che applica alle verdure. «La mia è una disobbedienza tecnica, che consiste nell’approcciare ogni ingrediente sempre con le medesime pratiche». Il caso studio che porta in esame è il fungo, varietà cardoncello, che nella maggior parte delle cucine viene lavorato a fiamma alta per le sue caratteristiche spugnose, mentre Guidara per renderlo più permeabile lo secca per poi grigliarlo, sfumandolo con un vino creato dai funghi – con lupini, zucchero e lievito di Chardonnay – e una glassa ossidata di funghi porcini. Uno dei suoi più interessanti e formidabili signature.

In chiusura prende la parola Franco Pepe, presente alla kermesse per il suo 13esimo anno consecutivo. Il maestro pizzaiolo ha fatto una disamina del suo percorso, segnato sin dall’inizio della sua carriera dalla disobbedienza. «Io ho abbandonato la pizzeria di mio padre perché avevo bisogno di mettermi in discussione, volevo creare la mia identità altrove. È stata una disobbedienza negativa vissuta negativamente dalla mia famiglia, ma io avevo intuito che il mondo della pizza stava cambiando, c’era grande attenzione da parte degli chef e con Pepe in Grani ho creato un progetto sul territorio, che ogni mese porta nell’entroterra casertano migliaia di visitatori». Pepe ha creato un concetto di pizza innovativo, andando anche contro il mondo del disco lievitato partenopeo. Tra le sue creazioni più rivoluzionare c’è la Margherita sbagliata, dove gioca con il contrasto di temperature tra la mozzarella calda e il pomodoro riccio freddo: «Qui la rivoluzione è nell’”oltraggiare” la pizza per eccellenza, ma era l’unico modo per far esprimere il pomodoro riccio, una varietà della mia terra presente in Campania dall’Ottocento».

Tre giorni stimolanti e ricchi di spunti che hanno immortalato una fotografia brillante e ricca di spunti su cui riflettere della ristorazione del momento. Segnatevi già le date per la 20esima edizione: 22-24 febbraio 2025.

Maggiori informazioni

In apertura: Antonia Klugmann

Leggi anche: La rivoluzione inizia dall’orto

Foto Brambilla-Serrani

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