Palestina

Il cibo come arma

Il mondo dell’enogastronomia stenta a entrare in azione riguardo alla situazione umanitaria di Gaza. Ma qualcosa inizia a muoversi.

Cene di raccolta fondi, aste di beneficenza, campagne social, grandi e piccoli eventi, iniziative di vario genere: il settore dell’enogastronomia – in omaggio alla portata di gioia, convivialità e condivisione che ne è alla base ed elemento imprescindibile – è sempre stato piuttosto sensibile alle tematiche umanitarie, pronto a mobilitarsi nei modi a esso più consoni per essere d’aiuto là dove ce n’era bisogno. Dai grandi eventi come Festa a Vico ai Refettori botturiani, dalle cene di gala agli chef testimonial di campagne di sensibilizzazione di Ong impegnate sul territorio, alle tante piccole e grandi iniziative messe in campo per aiutare le popolazioni vittime del conflitto russo-ucraino, sono tanti gli esempi.

Eppure, da ormai quasi due anni a questa parte, si è registrato un insolito silenzio riguardo all’atroce massacro di popolazione civile in atto. Parliamo naturalmente di ciò che accade in Palestina: non si tratta di prendere posizione o di iniziare il lungo e infruttuoso elenco di eventi che indichino “chi ha iniziato prima” (o meglio: entrambe le cose sono naturalmente importanti, ma non è questa la sede in cui farlo).

Si tratta, però, di prendere consapevolezza che quanto sta accadendo non solo è spaventoso, ma ci riguarda da vicino. Sì, riguarda anche noi che a vario titolo ci occupiamo di cibo, ne celebriamo la bellezza e ne indaghiamo i tanti aspetti che vanno ben oltre il piatto. In un momento in cui il cibo – la sua gestione arbitraria, la sua mancanza – viene usato come arma contro una popolazione civile, e in cui le risorse agricole e alimentari di una terra (di chiunque essa sia) vengono spazzate via e annullate per decenni con tragica miopia verso il futuro, è difficile restare in silenzio.

Le (poche) voci che si sono alzate

Eppure, fin qui non ci sono state molte voci che si sono alzate a riguardo dal mondo del food. Non è mancata l’immediata e fondamentale azione sul campo di World Central Kitchen, l’organizzazione umanitaria creata e guidata dallo chef ispano-americano José Andrés, che ha visto anche il barbaro attacco e assassinio di alcuni dei suoi volontari e ha continuato a cucinare pasti per la popolazione di Gaza sotto attacco fino a che sono potuti arrivare gli aiuti umanitari. C’è stato in Italia Slow Food, che ha più volte sollecitato l’azione e ricordato Gaza sui suoi canali social, coerentemente con l’approccio etico che ne è alla base.

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Ci sono state piccole, grandi iniziative come Pop Palestine, il libro di Silvia Chiarantini e Fidaa Abuhamdiya, chef di Hebron (che ha vissuto, studiato e lavorato in Italia, Le Calandre), che racconta la Palestina, la sua storia e la sua cultura anche attraverso il cibo e le ricette (molto spesso non conosciute, o di cui altri si sono appropriati, come nel caso di hummus e za’atar): pubblicato per la prima volta nel 2016 e aggiornato nel 2024, ha tenuto alta l’attenzione su quanto avviene a Gaza attraverso presentazioni e cene solidali. E sempre Chiarantini e Abuhamdiya, con la collaborazione di altri cuochi professionisti e food blogger, a cominciare da Gigi Passera de Le Sorelle Passera, hanno realizzato l’e-book Cocomero, con 40 ricette vegane e vegetariane di cucina levantina, scaricabile previa donazione diretta a una delle cinque famiglie o attività seguite e supportate dal gruppo di volontari Watermelon Friends (per restare in tema cibo, l’anguria è il simbolo della Palestina riprendendo i colori della sua bandiera, molto spesso censurata e bandita). Adesso è in lavorazione la seconda edizione, cui parteciperanno anche nomi noti del mondo food plant-based – da Anna Panna a Sasha Carnevali – e non solo: ci si troverà anche la ricetta della parmigiana di melanzane vegana di Priscilla (nome d’arte del napoletano Mariano Gallo), drag queen, artista e attivista molto impegnata sul tema palestinese e in genere sui diritti civili.

Per il resto, gran parte è stato lasciato ai singoli: chef (pochissimi), artigiani, bottegai e giornalisti che hanno voluto esprimere le proprie posizioni su un tema che resta divisivo soprattutto a causa della scarsa conoscenza delle complesse vicende storiche e politiche di quella parte di mondo, ma principalmente sui canali social e in maniera inevitabilmente poco incisiva.

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Un mercato palestinese, in tempi di pace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono stati invece proprio i palestinesi a trovare (anche) nel cibo non solo una straordinaria fonte di resilienza, ma anche di racconto: dai rari momenti di riposo e condivisione delle ricette tradizionali da parte dei giornalisti – molti di loro sono stati assassinati – pubblicati sui social, ad Hamada Shaqoura, food blogger che si è ritrovato suo malgrado a diventare cuoco di campo per sfamare i bambini sfollati riuscendo a preparare vero “comfort food” con i pacchi umanitari, o alla giovanissima Renad Attallah, undicenne che continua a cucinare e raccontare le tradizioni culinarie locali con quel poco che ha a disposizione, e inventandone spesso varianti di guerra (che, a onor del vero, è stata invitata a partecipare in collegamento a Woman in Food 2025, il summit delle professioniste del cibo organizzato da Cook, oltre che alla trasmissione televisiva Splendida Cornice). Entrambi collaborano con Onlus e associazioni e hanno lanciato progetti e collaborazioni per finanziare l’acquisto e la distribuzione di cibo, come Watermelon Relief o Human Concern.

Qualcosa sta cambiando

Da quando il fragile cessate il fuoco durato da gennaio a marzo 2025 è finito, e assieme alla ripresa di bombardamenti, le autorità israeliane hanno bloccato la distribuzione di aiuti umanitari creando di fatto una “carestia programmata” facendo letteralmente morire di fame bambini, anziani e persone fragili, qualcosa si è risvegliato. A dare il là, almeno in Italia, è stato il caso del locale napoletano Osteria di Santa Chiara, la cui titolare è stata accusata di antisemitismo per aver invitato ad andare via (dopo che avevano mangiato, e senza farli pagare) dei turisti israeliani che hanno manifestato le proprie idee sioniste in uno scambio di opinioni degenerato: l’opinione pubblica si è divisa, ma perlomeno si è cominciato a parlarne anche in ambito food, subito dopo l’increscioso episodio che aveva visto la titolare della bakery marchigiana L’Assalto ai Forni venire identificata dalle forze dell’ordine per uno striscione antifascista (a quanto pare, divisivo anche quello) in occasione del 25 aprile.

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La Gaza Cola in vendita nella pasticceria Charlotte di Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno sdegno soffuso ha iniziato così a levarsi, tra post social che invitano a consumare Gaza Cola (bevanda prodotta dall’omonimo brand fondato nel 2023 da un gruppo di palestinesi, le cui vendite vanno a sostegno di progetti umanitari e ricostruzione in patria) anziché l’analogo prodotto multinazionale, e bandiere affisse (ma quella che sventolava alla Baia, stabilimento balneare di Fregene, è stata strappata via nella notte da ignoti). Sdegno acuito poi dalle terribili immagini degli spari sulla folla in attesa della distribuzione del cibo da parte della mal gestita organizzazione israelo-americana. Perché, in qualunque modo la si voglia pensare, e senza ignorare le responsabilità di nessuno e la portata di gesti atroci come quelli avvenuti il 7 ottobre 2023, semplicemente non si può rimanere indifferenti davanti a gente che muore per il digiuno forzato o ammazzata in attesa di sfamarsi.

Azioni e iniziative

Così, qualcosa inizia a muoversi: Hamada Shaqoura, già inserito da Time tra i cento personaggi più influenti del 2024, è stato appena premiato dai prestigiosi James Beard Awards 2025 come Broadcast Media Emerging Voice, amplificandone e riconoscendone il messaggio. Purtroppo però, al momento, non ha più nemmeno i pacchi umanitari con cui cucinare e deve provvedere a sfamare sé stesso e la famiglia.

Lo chef inglese ambientalista e attivista per il clima Max La Manna, conosciuto per le sue ricette vegane zero waste, ha iniziato uno sciopero della fame (interrotto dopo sei giorni) per denunciare l’uso del cibo come arma, e ha invitato tutti i food creator a esprimere il proprio dissenso a riguardo, a supportare l’iniziativa umanitaria della Freedom Flottilla che ha tentato di raggiungere Gaza via mare, e in generale a parlare di Palestina.

In Spagna, la testata gastronomica online Siete Caníbales ha pubblicato una “call” a cuochi e chef per organizzare cene ed eventi di raccolta fondi a favore della popolazione palestinese attraverso la Ong Global Humanitaria, cui hanno già aderito nomi come Andrés Torres e Javier Olleros, con una prima cena in programma il 25 giugno al costo di 200 euro a persona.

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Hummus

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E in Italia? Il 23 giugno, a Palermo alla Bottega Corsallo c’è Una serata per bene: un’occasione di confronto con tre volontari palestinesi di Per Esempio Onlus, con la presentazione della missione “Mediterranea with Palestine” di Mediterranea Saving Humans, cui andrà il ricavato di cibo e vino venduto durante la serata (donazione minima 30 euro). Mentre a Napoli il 24 al Giardino di Margherita a Posillipo è in programma Maqluba, dal nome di uno dei piatti simbolo della regione: cena di beneficenza a sostegno della mezzaluna rossa palestinese (l’equivalente della nostra Croce Rossa) con letture, poesie e canti: la parte culinaria è a cura di Fidaa Abuhamdiya e Alessandra Calvo. Nasceranno altre iniziative simili, magari sulla scia di queste? Scenderanno in campo anche nomi “pesanti” dell’enogastronomia nazionale?

Intanto, a Firenze a giugno c’è stato il corso di cucina palestinese – parte del pacchetto Sapori del Medio Oriente – tenuto da Abuhamdiya alla scuola Cordon Bleu: perché anche approfondire origini e ricette di Mutabbal Batinjan, Maqluba ed Esh El-Ghorab (dolce nido d’uccello) può servire a conoscere meglio un popolo e la sua storia. E a non restare in silenzio.

Maggiori informazioni

Immagine di apertura: il kibbeh, sorta di pasticcio di carne, dal libro Pop Palestine

Tutte le immagini sono di Alessandra Cinquemani per Pop Palestine, ad eccezione dell’immagine della pasticceria Charlotte di Roma

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