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Il futuro del fine dining è nella connessione tra gli chef

Dal Basque Culinary Center, la Chefs Community for Innovation collega l’alta ristorazione mondiale. Italia inclusa.

C’è un gruppo Whatsapp segreto in cui decine di persone condividono dati, formule, fotografie e pensieri. Non si tratta di un progetto per sovvertire l’ordine mondiale (a parte, forse, quello gastronomico), ma di scambi su fermentazioni, distillazioni, cotture a pressione e consistenze che viaggiano ogni ora del giorno e della notte, incrociando fusi orari opposti e turni di servizio, in un inglese diviso per slang che a tratti prende anche l’accento italiano. A crearlo è stato John Regefalk, coordinatore dell’area di cucina e innovazione del Basque Culinary Center: il quartier generale di quella che è stata battezzata Chefs Community for Innovation, presentata quest’anno al mondo passando dall’essere un moto carbonaro a uno speakeasy d’eccezione, è infatti a San Sebastián. La città basca si conferma così l’epicentro dell’onda gastronomica mondiale e continua non solo a fare la storia, ma a costruire il futuro di una cucina sempre più connessa.

Dopo la creazione nel 2018 del BCC Innovation, primo centro al mondo dedicato esclusivamente alla tecnologia gastronomica, nel 2023 sempre qui è stato lanciato il Gastronomy Open Ecosystem (GOe), un’iniziativa strategica che nella visione dei suoi fondatori ha l’ambizione di rispondere alle sfide future dell’alimentazione e della gastronomia, e che ha nel suo nome la definizione di ecosistema aperto: una piazza di ritrovo che mira ad attrarre talento globale favorendo un sistema di ricerca condiviso e promuovendo la collaborazione tra aziende, imprenditori e professionisti del settore gastronomico. Oggi questo progetto si chiama Goe Tech Center e comprende anche parte dell’offerta formativa del BCC con due nuovi Master sull’Analisi Sensoriale e la Food Fermentation e il Master di Scienze Gastronomiche già attivo.

«Siamo sempre stati a favore dello sviluppo innovativo nell’alta ristorazione e nella gastronomia. Questo può davvero essere considerato il punto di incontro di tanti professionisti che vengono qui o si collegano da tutto il mondo e condividono conoscenze, idee e visioni capaci di diventare rivoluzionarie grazie proprio alla compartecipazione nello sviluppo», spiega Regefalk.

La rete globale degli chef innovatori

A fare rete in questo nuovo progetto è infatti un insieme di cuochi professionisti i quali, da ogni angolo del mondo, si connettono per condividere le sperimentazioni che portano avanti nelle loro cucine. Sono circa sessanta oggi a far parte della Chefs Community for Innovation: si va da Vanika Choudhary, visionaria proprietaria e chef del ristorante Noon di Mumbai, al cuoco spagnolo Diego Guerrero del DSTAgE di Madrid. Poi ci sono Ryan Walker, responsabile della fermentazione e della ricerca e sviluppo di Silo a Londra, e Nicolàs Rodrìguez, coordinatore dei programmi internazionali presso la Escuela de Gastronomia dell’Università delle Americhe (UDLA), in Ecuador. E ancora Ines Castaneda e Sunshine Lee-Jonsson dalle Filippine, Vojtech Vegh dalla Slovacchia, Sofia Bodovic Olsson dalla Svezia, e si potrebbe fare davvero il giro del mondo fino a contare tutte le cucine che oggi hanno un piano trasversale di connessione, un luogo fisico e virtuale dove potersi incontrare per discutere di azioni e reazioni di nuovi ingredienti e nuove tecniche di cottura o trasformazione.go-tech-center

A quanto pare, dunque, uno degli effetti positivi della globalizzazione digitale è proprio il valore di un gruppo nato su WhatsApp tra accademici e cuochi, e poi evoluto in un database scientifico che si aggiorna in tempo reale su argomenti come la fermentazione lattica (è stato proprio questo il primo focus di ricerca del gruppo): una tecnica profondamente radicata nella storia e sempre più rilevante nelle cucine moderne che, guidata dal metabolismo dei batteri dell’acido lattico (LAB), trasforma gli ingredienti esaltandone il gusto, migliorandone la digeribilità, aumentandone il valore nutrizionale e generando composti aromatici complessi e nuove consistenze.

L’Italia nella chefs community

Nella rete creata dal BCC non poteva mancare la gastronomia italiana, la cui partecipazione vede tre nomi in lista: Davide Guidara, Executive chef de I Tenerumi del Therasia Resort sull’isola di Vulcano, e Giovanni Olivieri, sous chef del ristorante Orma guidato da Roy Caceres, e Ciro Scamardella, chef del ristorante Pipero, entrambi a Roma. Ed è proprio in quest’ultima cucina che è arrivata nel 2025 Natalia Villamor, studentessa al quarto anno del corso di Laurea in Gastronomia del Basque Culinary Center, giunta qui grazie al progetto di tesi basato sull’importanza di creare un dipartimento interno di Ricerca e Sviluppo in ogni ristorante.

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Natalia Villamor e Ciro Scamardella

Il lavoro svolto da Villamor, guidata da Scamardella e in collaborazione con le brigate di sala e cucina del ristorante, si concentra sull’obiettivo di strutturare un processo interno coerente e continuo di innovazione culinaria. Un fattore che nelle parole dello chef di Pipero si evidenzia come determinante: «Credo che ricavare uno spazio per investire in ricerca e sviluppo sia essenziale per non smettere mai di crescere. Poterlo fare all’interno di un progetto allargato, in cui ogni giorno un collega dall’altra parte del mondo condivide dubbi e soluzioni, lavorando magari sulle stesse procedure, oltre a essere stimolante è prezioso più di qualsiasi altra cosa». Nel suo laboratorio troviamo l’OCOO, pentola elettrica coreana utilizzata per cuocere in ambiente chiuso, combinando temperatura, pressione e umidità su curve prestabilite per consentire fermentazioni, decozioni, cotture lente e trasformazioni termiche complesse in modo ripetibile e controllato. Sullo stesso banco c’è il Twinstones, una raffinatrice a pietra ispirata ai metate tradizionali messicani qui utilizzata per preparazioni come pralinati, paste di frutta secca ed emulsioni. Ma soprattutto, c’è un fermentatore a controllo climatico costruito in autonomia con componenti acquistabili online: un polibox nero capace di controllare e garantire temperatura e umidità, essenziali per gestire fermentazioni delicate come quelle necessarie alla produzione di koji, miso e salse umami in modo stabile e preciso.

Nuovi sapori e tecniche condivise: il futuro in tavola

Grazie a questi strumenti e alla condivisione con la Chefs Community for Innovation, e al supporto di Natalia Villamor, è nato un nuovo percorso gastronomico proposto oggi da Scamardella, centrato sulla massima esaltazione degli ingredienti. «L’Ostrica con friariello e alga nori prima la preparavamo lavorando tutto l’ortaggio, con cui formare una purea. Oggi produciamo un kimchi di friariello che, dosato con la crema originale, dà una spinta pazzesca al sapore». Mentre lui racconta il piatto con gli occhi che brillano, Villamor estrae dal fermentatore a controllo climatico un koji di pistacchi e un koji di riso, che assaggiamo insieme per testare la sperimentazione su nuove consistenze e nuovi spettri aromatici: il risultato è sorprendente.

 

Un altro piatto nato dalla ricerca congiunta in laboratorio è il Gambero e ciauscolo su brodo di mela. Il brodo è ottenuto da mele annurche e ibisco, la cui essenza viene estratta grazie a un processo lungo sei ore con l’OCOO, mentre il gambero crudo viene lavorato in emulsione con l’“olio” della propria testa e unito al ciauscolo fino a formare una massa quasi spalmabile, da condire infine con un filo di olio di dragoncello. Un piatto intenso, equilibrato, pensato per esaltare le caratteristiche principali di ogni elemento e il loro gioco d’insieme.

«Mi stimola molto attingere da tecniche e strumenti lontanissimi da me, per applicarli a ingredienti che invece mi appartengono per tradizione. Questo è possibile solo dedicando tempo e risorse a una ricerca globale e condivisa». Le parole di Scamardella chiudono il cerchio sottolineando come senza tutto ciò, l’alta cucina sia sensibile a profonde crisi di crescita e di identità. Proprio per questo motivo, per entrare nello speakeasy della Chefs Community for Innovation non basta conoscere le coordinate del gruppo WhatsApp: bisogna dimostrare di essere dei ricercatori che hanno a cuore il futuro della gastronomia globale.

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