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Frollatura pesce

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Il pesce? “Maturo” è più buono

Dalla tradizione sarda e marsigliese all’innovazione che viene (anche) dall’Australia, gli chef nostrani si appassionano alle frollature ittiche. Obiettivo: complessità e consistenza.

Con la pubblicazione di The Whole Fish Cookbook nel 2019 Josh Niland – alla guida del ristorante Saint Peter di Paddington, a metà strada tra Sidney e Bondi Beach – ha attirato l’attenzione del mondo gastronomico internazionale. Il merito va soprattutto a una delle tecniche illustrate da Niland: la frollatura del pesce. Scardinando l’idea comune che la prima regola per una materia prima ittica di qualità sia la freschezza, lo chef australiano ha dimostrato come un’attenta maturazione (a una temperatura intorno agli zero gradi) sia in grado di dare risultati più interessanti in termini di consistenza, complessità e profondità di sapore. Un approccio che sta conquistando anche diversi chef italiani.

Per esempio il giovane Jacopo Ticchi – rientrato in Romagna dopo esperienze in Australia, a Milano e a Ibiza – dichiara di essere stato folgorato proprio dall’australiano (e dai suoi post sui social prima ancora del libro) partendo con le sue sperimentazioni “amatoriali”. Una volta trovata la quadra – vale a dire una conservazione ideale grazie al giusto mix tra umidità, temperatura e soprattutto attenta pulizia del pesce: eviscerato, squamato, privato del sangue e appeso intero – vi ha incentrato la proposta della Trattoria Da Lucio, locale riminese dove le grandi celle per il dry aging sotto ozono fanno bella mostra di sé in sala e si viene accolti con un vassoio di “tagli” frollati tra i 6 e i 25 giorni da cuocere alla brace, mentre altri sono serviti crudi. «Quando ho iniziato a sentir parlare di maturazione del pesce come si fa con la carne – con tempi diversi, fermandosi prima che inizi a seccare – l’ho trovato un concetto diretto, effcace, innovativo. Certo, già si faceva in parte con i pesci di grandi pezzature, ma applicarvi la tecnologia è una cosa del tutto nuova. L’idea che una spigola dia il meglio mangiandola dieci minuti dopo averla pescata è errato, anche perché si attivano processi enzimatici non corretti. E poi il pesce fresco ha un gusto molto delicato; che con il tempo si intensifica, senza deteriorare». Un esempio? La rana pescatrice che, frollata almeno 15 giorni, tira fuori note di crostacei esaltate dallo scampo di Rimini crudo servito accanto. Ticchi però ci tiene a precisare come la frollatura sia solo una tecnica al servizio del pesce – il vero protagonista di Da Lucio – che lui applica al contesto romagnolo e all’idea di trattoria, seppur attualizzata.

Non tutti, però, sono stati ispirati dal cuoco australiano: risale agli anni Duemila l’idea di stagionare il pesce (in quel caso per farne salumi) di Moreno Cedroni, con il lancio della “salumeria ittica” di Anikò. Da un anno lo chef marchigiano, sempre sul pezzo quanto a innovazione, sta portando avanti con il braccio destro Luca Abbadir lo studio sulle frollature in maniera scientifica grazie al progetto del Tunnel, super attrezzato laboratorio di ricerca e sviluppo che accoglie anche una cella apposita, con sanificazione con ozono. E da giugno 2021 – in concomitanza con la riaper- tura de La Madonnina del Pescatore a Marzocca – si avvale della collabo- razione di un chimico per analizzare, monitorare e poi condividere, a beneficio di tutti, i dati organolettici del pesce fatto maturare anche oltre 30-40 giorni. «La frollatura migliora la consistenza e dona più gusto, fin qui ci siamo, Ma io voglio sapere tutto ciò che riguarda il pesce lavorato così, analizzando ogni 10 giorni istamina, putrescina e altri fattori per esplorare i limiti e le possibilità di questa tecnica». Cedroni si è dedicato in primis alla cernia, poi al rombo e ora ad altri pesci come ricciola, alalunga, coda di rospo. Intanto nel nuovo menu compare un piatto chiamato esplicitamente Maturazioni, in cui vengono serviti alcuni tagli crudi (abbattuti una volta usciti dalla cella, per scongiurare il rischio Anisakis) di uno stesso pesce con diverse stagionature.

C’è poi chi rivendica una tradizione mediterranea – arcaica e “ingenua” – applicata da tempi remoti ai pesci più grossi e tenaci, le cui carni necessitano per lo meno di qualche giorno di “riposo” per diventare commestibili. «A Carloforte si è sempre fatta su pesci come la cernia o il dentice, ora l’applichiamo anche al tonno», spiega Luigi Pomata che unisce gli insegnamenti del nonno e del padre a quelli dei giapponesi che venivano a comprare il tonno sull’isola: per esempio l’uso della carta di riso invece della garza per eliminare l’acqua prima della maturazione in una cella per la frollatura della carne per circa 7-10 giorni, in base al peso. «Così si asciuga anche il grasso, quello che unge la bocca, e il pesce diventa più dolce e croccante» racconta Pomata, che all’omonimo ristorante di Cagliari serve il filetto di pesce San Pietro appena scottato con topinambur e ricci, accompagnato da una salsa acida al Vermentino, o la ventresca di tonno con pane aromatico al prosciutto, bietole e wasabi.

Arriva da Marsiglia – e dall’esperienza al ristorante tre stelle Michelin Le petit Nice di Gérald Passédat, nel 2019 – l’ispirazione di Lele Usai: «Per loro non è avanguardia, in maniera spannometrica lo fanno da sempre: tutti i pesci, grandi e piccoli, li appendono per almeno un paio di giorni o una settimana al massimo». Approfondendo grazie anche al testo di Niland, Usai ha iniziato a sperimentare – con tanto di test di laboratorio – per vedere fino a che punto ci si poteva spingere. Anche lui – su indicazione di Cedroni – ha acquistato una cella dedicata, con la possibilità di inserire ozono per rallentare la prolificazione batterica in assenza di ossigeno e di settare i parametri di temperatura e umidità. Ed è entusiasta dei risultati: «Hai l’impressione di mangiare del pesce fresco ma si nota un’evoluzione della consistenza e della complessità gusto-olfattiva notevole. È come lo Champagne: buonissimo sia “giovane”, in tutta la sua freschezza, sia invecchiato». Lo chef del Tino predilige pesci locali poco sfruttati, come la tracina, e lavora secondo mercato e a zero sprechi. E nel menu della riapertura c’è il Nautilus: due pesci diversi a carne bianca, secondo pescato, fatti maturare e disposti a ricreare la sagoma a spirale del mollusco che dà il nome ai cantieri navali in cui si trova il ristorante di Fiumicino, accompagnati da un intenso fondo di pesce fatto con le lische maturate e fiori di malva. Così le frollature diventano anche sostenibili.

I LIBRI PER SAPERNE DI PIÙ
Edito da Hardie Grant Books nel 2019 (e tradotto in italiano nel 2020 da Giunti come Il Grande Libro del Pesce. Nuovi modi per cucinarlo, mangiarlo e pensarlo) The Whole Fish Cookbook: New Ways to Cook, Eat and Think di Josh Niland è stato il primo volume a codi care le procedure per la matura- zione del pesce; adesso lo chef australiano sta per pubblicare la sua seconda opera: Take One Fish, The New School of Scale-to-Tail Cooking and Eating. Mentre a fine giugno in Italia esce Oltre la Frollatura di Jacopo Ticchi, per Maretti Editore. Come ben specifica il titolo, non tratta solo di maturazioni ittiche (affrontate sia dal punto di vista del cuoco sia con l’approccio tecnico-scientifico di un esperto) ma più in generale del processo creativo dello chef applicato alla Romagna e ai pesci dell’Adriatico. E poi i piatti, divisi secondo le parti anatomiche – dalla testa alle interiora – e narrati senza dosi e procedure: «È il libro che io avrei voluto leggere», spiega l’autore.

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Nella foto: Jacopo Ticchi, foto di Lido Vannucchi

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