Arnaldo Pomodoro

Il tempo, la scultura, il vino: l’ultimo brindisi di Arnaldo Pomodoro

Dalle sfere bronzee al design delle cantine, Pomodoro ha plasmato l’arte come riflessione sul tempo. Il vino, suo complice silenzioso, diventa forma, simbolo, rituale.

C’è qualcosa di beffardo, quasi teatrale, nella tempistica con cui Arnaldo Pomodoro ha lasciato la scena: il giorno prima di compiere 99 anni, nella sua casa milanese. Un addio silenzioso, avvenuto tra le stesse mura in cui aveva coltivato per decenni la sua idea di arte come tensione permanente: tra perfezione e ferita, superficie e profondità, luce e oscurità.

Pomodoro, nato il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna, ha attraversato il secolo come un simbolo che si rinnova nel tempo. Le sue sculture monumentali, in particolare le celebri sfere bronzee incise e rivelatrici (una è anche nella hall di Palazzo Ripetta, hotel cinque stelle nella Capitale), punteggiano piazze e musei in tutto il mondo – da New York a Dublino, passando per Roma, Città del Vaticano e Seul. Ma accanto alla dimensione pubblica e universale della sua opera, esiste un legame meno evidente e forse proprio per questo più suggestivo: quello con il vino.

Un rapporto durato decenni, fatto di amicizie, visioni condivise, architetture nate dalla materia e dal gesto, dove l’arte si è fusa con la cultura enologica. Più che decorare il vino, Pomodoro ne ha interpretato l’essenza, trasformandola in forma e struttura.

Il Carapace ne è l’esempio più audace. Inaugurato nel 2005 sulle colline di Bevagna, in Umbria, è un esempio unico al mondo di cantina-scultura. Frutto della collaborazione con la famiglia Lunelli, si presenta come una cupola di rame che emerge dal terreno, simile al guscio di una tartaruga – simbolo di longevità, lentezza, resistenza. Pomodoro lo definiva “un luogo dove il vino nasce dentro la scultura”: un’opera abitabile, funzionale, in cui i confini tra arte e produzione si annullano. Il Sagrantino, vino potente e meditativo, vi fermenta al centro di un’architettura che parla il linguaggio del tempo.

Non fu il primo incontro tra l’artista e il mondo del vino. Già nel 1992, in occasione del 90° anniversario delle Cantine Ferrari, Pomodoro realizzò un grande disco celebrativo. Dieci anni dopo, per il centenario, nacque Centenarium: una spirale bronzea di sei metri collocata lungo l’autostrada del Brennero, che evoca l’esplosione gioiosa di una bottiglia di bollicine. Una scultura da vedere in corsa, un’epifania sulla velocità del viaggio e sulla lentezza del brindisi.

Anche in Franciacorta resta il segno del suo passaggio. È il Cancello Solare di Ca’ del Bosco, realizzato nel 1993 dopo anni di progettazione. Un portale in bronzo e acciaio, simile a un sole aperto, che accoglie il visitatore come una soglia tra la terra e l’arte. Non un ingresso, ma un rituale.

Nel suo territorio natale, la Romagna, Pomodoro ha lasciato un’altra traccia del suo linguaggio simbolico: la Torre a spirale nella Tenuta Mara, cantina biodinamica e museo en plein air. Un’opera che custodisce iscrizioni, ascese verticali, geometrie sacre: come un totem che celebra la vitalità del vino, il suo rapporto con la natura e il cosmo.

Arnaldo Pomodoro non ha mai ceduto alla tentazione dell’estetica facile. Non ha mai usato il vino come pretesto decorativo. L’ha trattato come una materia viva, pulsante, da scolpire. Le sue opere in cantina non sono orpelli: sono presenze, presidi di pensiero. Raccontano un modo di pensare il tempo, la trasformazione, la memoria. E forse anche il brindisi come gesto umano e universale: effimero, ma destinato a rimanere nella forma.

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In apertura, ritratto di Arnaldo Pomodoro (ph. Andrea Delbo, Shutterstock)

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