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Il ventennale di Petra

Un anniversario celebrato nel momento più difficile per il Paese: Francesca Moretti e Beppe Caviola parlano delle prime venti vendemmie maremmane.

Petra è un luogo magico per Francesca Moretti, presidente del gruppo Terra Moretti Vino, che a Suvereto, in Val di Cornia, trova – e ritrova tutte le volte – la sua parte più “wild”.
L’annata in commercio è la 2017, complicatissima dal punto di vista climatico: siccitosa, scarsa dal punto di vista produttivo, stressante anche per i terreni. Una vera sfida per Francesca e l’enologo di fiducia, il piemontese Beppe Caviola che hanno deciso il blend di stile bordolese tenendo conto di queste difficoltà, 70 per cento Cabernet Sauvignon e 30 per cento di Merlot, coltivati su terreni ricchi di argilla e di scheletro. Per questo abbiamo deciso di rivolgere direttamente ai due protagonisti alcune domande su questi primi 20 anni e sulle peculiarità dell’azienda toscana.

Iniziamo con Francesca Moretti.

Il tuo rapporto con Petra e la Maremma, tra tutte le aziende del gruppo Moretti, che spazio ricopre?
Il mio rapporto con Petra è un rapporto importante, perché è un’azienda che ho fortemente voluto e desiderato. Tutto nasce dopo un viaggio a Bordeaux, dove mi innamoro “a prima vista” della storia e della cultura degli châteaux francesi. Torno in Italia, compio i miei studi di enologia e comincio a lavorare nelle aziende di famiglia, ma il pensiero torna spesso là: allo stile, al rigore, all’eleganza di quelle cantine e del loro territorio. Petra nasce così: da un viaggio e da un sogno. La Toscana alla fine anni ’90 è il luogo ideale per dar vita ad un’azienda del vino “alla maniera bordolese”, la scelta della Maremma della Val di Cornia non fu così scontata. Ma se ho ereditato qualcosa da mio padre è l’audacia nelle scelte, così comprammo i terreni e la tenuta.
 Sono stati anni meravigliosi quelli degli esordi: il lavoro con il professor Attilio Scienza (professore ordinario di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano, ndr) legato alla zonazione, il progetto con l’architetto Mario Botta per dar vita a una cantina moderna e all’avanguardia che si inserisse con armonia all’interno della riserva naturale, le prime scelte enologiche, non sempre “corrette” ma sicuramente pionieristiche. Ho vissuto a Petra per anni, mi sono formata sul campo e quando sono tornata in Franciacorta ero sicuramente più “matura” di prima. Avevo imparato a dare forma a un sogno.

Raccontaci il tuo rapporto professionale e umano con Beppe Caviola.
Con Beppe abbiamo un bellissimo rapporto basato su una fiducia sincera e su una visione comune del futuro, di come si debba vivere e trattare un territorio, ma soprattutto sullo stile enologico di Petra. Con lui stiamo condividendo un percorso di crescita e di sviluppo dei nostri vini che ci è riconosciuto dagli appassionati e dalla critica di settore. Beppe è un professionista “generoso”, un compagno di viaggio con il quale non manca uno scambio dialettico importante, ma nello stesso tempo sento che guardiamo sempre nella stessa direzione.

E che rapporto ha Francesca Moretti con il tempo che passa? Hai preso i ritmi della natura e delle vendemmie?
In questo momento non so bene cosa rispondere, sono praticamente 12 mesi che viviamo in una specie di bolla, dove il tempo è determinato solo dai vari allarmi relativi al virus. Se questa domanda mi fosse stata posta 2 anni fa, avrei riposto che sono sempre stata vicina alla natura e ai suoi ritmi, sono sempre stata in azienda sin da piccola e per me il tempo è sempre stato quello della vigna. Oggi, se da una parte questo sentimento si è accentuato, perché ho visto come la natura possa tornare protagonista quando l’uomo rallenta il suo passo, dall’altra dobbiamo prendere atto che anche la pandemia è un espressione della natura e fare i conti con tutta la nostra fragilità.

Cosa ti piace dei vini di Petra e in particolare del taglio bordolese?
Del taglio bordolese mi piace la possibilità di interpretazione, l’ampio agio nel capire le annate, i vitigni e le relative reazioni a seconda della stagione. I vini di Petra oggi hanno un loro stile netto, elegante e coerente su tutta la linea. Ci sono voluti un po’ di anni e varie mani, ma adesso, enologicamente parlando, Petra è quello che ho sempre pensato dovesse essere.

Un risultato raggiunto, come dice Francesca , anche grazie al comune sentire con l’enologo piemontese che segue l’azienda dal 2014.
Doveroso quindi interpellare anche Beppe Caviola.

La 2017 viene presentata come annata assai difficile per siccità e rese basse, tu non sei del tutto d’accordo. Come mai ?
L’annata 2017 effettivamente non è stata un’annata facile, partendo dalle rese che sono state mediamente basse. Ma, a mio avviso, non così calda come sostengono molti. La definirei piuttosto un’annata siccitosa con uno sviluppo della vite anticipato e rallentato da un brusco abbassamento di temperatura registrato a fine aprile. Dal mese di maggio è iniziato un lungo periodo di bel tempo che si è protratto fino alla vendemmia con temperature massime durante i mesi estivi sopra la media (ormai nella norma), ma a differenza di altre annate più calde – come la 2015 – le notti sono state abbastanza fresche. Gli eventi piovosi anche se deboli e sporadici sono stati sufficienti per scongiurare problemi di marcato stress idrico. Per ottenere un vino “equilibrato”, di struttura ma anche di grande eleganza, ritengo che sia fondamentale cercare l’equilibrio vegeto-produttivo che si può raggiungere con una meticolosa gestione della chioma, ovvero defogliazione tardiva della parte medio-alta della chioma in post-invaiatura con l’obiettivo di asportare foglie fotosinteticamente attive in modo da evitare l’eccessivo accumulo di zuccheri e di conseguenza di alcol. Tutto ciò va combinato con un attento ma non eccessivo diradamento dei grappoli volto a bilanciare la produzione.

Il vino ottenuto in che modo racconta questa annata complessa?
Il vino di questo millesimo è l’ espressione autentica dell’annata 2017, del territorio da cui ha origine – Suvereto – e di una reale condivisione stilistica tra la famiglia Moretti e il sottoscritto. In sintesi il Petra di oggi è un vino di originalità marcata, struttura, complessità ma anche di eleganza, con alcol controllato e un frutto che è per forza del territorio, quindi sontuoso e ricco, ma che chiude con un finale lungo, persistente ed elegante perché ravvivato da una spiccata nota fragrante, croccante e rinfrescante. Un vino dal carattere mediterraneo, un vino che racconta questa parte suggestiva di Maremma “ferrosa”. Siamo infatti sulle colline metallifere della Val di Cornia, zona di miniere dai tempi degli Etruschi.

Che terroir è quello di Suvereto ?
Il clima di Suvereto presenta caratteristiche mediterranee lungo la costa e assume caratteri leggermente più continentali via via che si procede verso l’interno. Le distanti montagne della Corsica ad ovest e i più vicini rilievi dell’Isola d’Elba tendono a deviare o ad attenuare le perturbazioni atlantiche, limitando l’apporto idrico annuo che si concentra soprattutto nel periodo invernale. Il terreno regala grande mineralità e sapidità al vino, dovuta alla composizione dei terreni ricchi di minerali (manganese), con argille importanti, simili a quelle del Pomerol francese (in grado di trattenere circa il 50% di acqua rispetto a un terreno sabbioso e ciottoloso), tanto scheletro, tendenzialmente calcarei in collina e più ricchi di sabbia e limo in pianura.

Lavorare con i Moretti, quindi su più fronti pedoclimatici ed enologici: quali sono state le sfide più difficili e quali le soddisfazioni maggiori che ti sei tolto?
Lavorare con la famiglia Moretti è prima di tutto entusiasmante e sfidante in quanto i progetti, anche i più complessi, vengono vissuti con ambizione massima e ciò contagia positivamente i collaboratori impegnati in prima linea per il conseguimento del risultato. Nel panorama delle aziende del gruppo ritengo Petra, Teruzzi e Sella &Mosca, pur all’interno delle loro differenze pedoclimatiche, varietali e operative, tre sfide profondamente significative: ottimo lavoro in team, sperimentazione e nuove rotte da tracciare, cioè il massimo della soddisfazione professionale e personale.

La luce della Maremma: che ruolo gioca nel lavoro di un enologo che lavora da quelle parti?
Ammetto che questa domanda mi ha orientato verso una risposta a cui non avevo mai posto la giusta attenzione. La luce della Maremma è unica e si muove insieme ad un cielo in perenne movimento, dove le nuvole inseguono mille sfumature di blu. Al di là delle suggestioni visive ed emotive, la luce della costa e dell’entroterra di questa parte molto particolare della Toscana è davvero unica e rappresenta una fonte di ispirazione che si traduce nel concepimento di vini eccellenti dotati di personalità e identità precise. In Maremma le giornate sono molto limpide, con una luce molto “pulita” e con valori di oltre 11 ore di sole al giorno nei mesi di giugno e luglio. Questo permette alla vite di lavorare molto bene e di essere molto efficiente sulla fotosintesi. Immaginiamo le foglie come dei pannelli solari che producono energia, assorbendo la luce solare per dare il via al processo di fotosintesi clorofilliana che trasforma l’anidride carbonica presente nell’aria e sciolta nell’acqua, in composti organici, soprattutto zuccheri. Quindi è grazie all’importante disponibilità di luce bella e pulita, che garantisce un irraggiamento ottimale, che si riescono ad ottenere vini luminosi.

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