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jamin cantinamento subacqueo

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Il vino che vien dal mare

Il 2023 si conclude con l’avvento anche in Italia di una delle più significative novità a tema enoico: il cantinamento subacqueo. In questa operazione che sembra avere più vantaggi, in particolare ambientali, c'è chi ha etichettato il primo Champagne Under Water Wine.

Avreste mai pensato di fare il brindisi di Capodanno 2024 con uno vino che viene dal fondo del mare? Oggi è possibile e a renderlo tale è il progetto Under Water Wine (UWW), probabilmente la novità più curiosa e positiva per il mondo del vino in questa difficile annata 2023, che si apre a prospettive felici per l’affinamento del vino, la sua appetibilità commerciale e, soprattutto, il suo impatto ambientale. 

Jamin e il progetto UWW

Tutto parte dal progetto Jamin Portofino UWW, la prima PMI italiana specializzata in servizi ingegneristici e metodologie di cantinamento subacqueo. Un’idea registrata nel 2015 dal fondatore Emanuele Kottakhs, concretizzata nel 2021 con l’ingresso anche di Antonello Maietta (ex presidente AIS) come presidente del cda e presentata ufficialmente a novembre di quest’anno nel primo Meeting Internazionale degli UnderWaterWines.

L’avvio dei lavori è stato messo in moto grazie a un crowdfunding che aveva l’obiettivo minimo di 250mila euro, ma che ne ha raccolti 600mila in meno di due giorni, tanto per tastare l’entusiasmo con cui è stato accolto. Per poi accaparrarsi, nel giro di pochi mesi, ben cinque riconoscimenti, tra cui il Premio speciale per l’Innovazione a Merano.

Jamin, questo il nome del progetto, che deriva dal dialetto dei marinai genovesi “giaminare” ovvero “lavorare duro”, attualmente coinvolge 409 soci e una rete in franchising che conta già 4 cantine sottomarine affiliate alla capofila di Portofino (Ravenna, Termoli, Acquappesa e Scarlino), cui se ne aggiungeranno a breve altre 4 in Campania, Abruzzo, Sicilia e Basilicata.

L’iniziativa si avvale del contributo professionale di ingegneri, fisici, biologi marini, subacquei, enologi e sommelier chiamati, da una parte, a svolgere rigorose analisi sensoriali e di laboratorio, dall’altra, complesse operazioni di immersione ed emersione a una profondità di 52 metri di speciali gabbie modulabili, da circa 500 bottiglie ciascuna, dotate di appositi sensori per la registrazione di dati. Il tutto accompagnato da un importante comparto Ricerca & Sviluppo, al quale viene destinato il 30% delle risorse, che sta lavorando alla realizzazione di una Smart Cage in grado di facilitare la gestione delle operazioni di immersione e consentire la lettura dei dati remoti in tempo reale; mentre, in partnership con il DAGRI dell’Università di Firenze, si va progettando una nuova chiusura tecnica delle bottiglie: UWW Cork. Insomma, un intenso “giaminare” di squadra sotto più aspetti.

Il vino sott’acqua 

La soluzione di affinare il vino sott’acqua, pur non essendo senz’altro la più semplice o economica – ogni operazione di cantinamento ha un costo di circa 25mila euro e coinvolge capitaneria, ingegneri, subacquei esperti e staff medico per la presenza obbligatoria di una camera iperbarica – offre diversi vantaggi, molti dei quali non replicabili a terra. Innanzitutto, permette di azzerare la presenza di raggi UV, quelli che più interferiscono sul vino, causando il cosiddetto “difetto di luce”. Poi, garantisce una pressione e una temperatura costanti, pari a 6 atmosfere e ai 13-14°C tipici del Mar Mediterraneo per una profondità di 52 metri.

Infine, cosa che in tempi di calo di appeal e vendite del vino non guasta, immette una buona componente di marketing e di storytelling, implementata anche dal fascino di bottiglie “rivestite” da concrezioni marine, alzando la percezione del valore dei vini. Oltre a ciò, potrebbe esserci persino qualcosa di più, e gli assaggi lo hanno evidenziato.

Alla prova di assaggio

In una degustazione che ha messo a confronto gli stessi vini affinati, l’uno in una normale cantina “a terra”, l’altro in mare, e per lo stesso numero di mesi, alcune differenze sono saltate ai sensi. A grandi linee, i vini di mare presentavano tutti un profilo gustolfattivo più integro e giovanile, merito, indubbiamente, dell’iper-riduzione data dal fatto di trovarsi in totale assenza di ossigeno. Condizione che, in terra, non è data, a meno che non si utilizzi un tappo a vite o stelvin, del quale ricerche ad hoc hanno già evidenziato tali prerogative. E che determina una diversa evoluzione e percezione dell’intensità del vino a seconda della tipologia. Tutti elementi che sono già in osservazione nelle ricerche del DAGRI attorno al progetto Jamin e che verranno implementate nei prossimi mesi anche per andare a individuare quali potrebbero essere le tipologie di vino più idonee all’affinamento in mare. Tra i tanti studi ancora in atto, ce ne è però uno che è già una certezza: la sostenibilità del cantinamento in mare.

La sostenibilità degli UWW

Può un vino trasportato a -52 metri sott’acqua essere più sostenibile di un vino tenuto a terra? Sì, perché il cantinamento subacqueo incide su due aspetti fondamentali dell’affinamento del vino: lo spazio e l’energia. Immaginate, ad esempio, il territorio della Liguria, dove il progetto nasce, o un’isola ad alta vocazione vinicola come Pantelleria, dove lo spazio è limitato e il paesaggio è un bene da preservare; dove il clima è caldo e l’energia elettrica costa cara, perché deve essere trasportata. E dove, di contro, il mare è una risorsa caratterizzante. Mettere le bottiglie di vino ad affinare in acqua significa evitare di costruire nuove cantine interrate in uno spazio limitato e complesso, quindi non incidere sul paesaggio e sull’ambiente e, soprattutto, risparmiare energia elettrica per il condizionamento dei locali, sfruttando, invece, una possibilità naturale (come in terra sarebbe quella offerta da una grotta profonda). Il tutto, senza impattare sull’ecosistema marino, come dimostrato dalle ricerche presentate dal professor Giorgio Bavestrello, responsabile della ricerca per conto del DISTAV dell’Università di Genova.

Tanti vini e il primo Champagne UWW

Nel 2022, in tutto il mondo, sono state circa 400 mila le bottiglie “sommerse”, contro le 100mila del 2021, a riprova, quindi, di un fenomeno ad alto potenziale di interesse e sviluppo. Già solo Jamin è pronta a passare alla fase 2.0, rendendo applicabile il know-how acquisito per permettere a chiunque di aprire, in autonomia, la propria cantina subacquea tramite l’affiliazione in franchising. Un progetto che, come abbiamo visto, sta coinvolgendo diversi siti produttivi in tutta Italia e che, attualmente, conta ben 200 tipologie di vini sommerse, mentre si sta iniziando a sperimentare anche con oli extravergine e distillati.

Complice l’esperienza di successo della maison Veuve Clicquot avviata a seguito del ritrovamento, nel 2010, di bottiglie di Champagne naufragate insieme alla nave che le trasportava nel 1840, Jamin ha anche sperimentato sugli spumanti, lanciando il primo Champagne al mondo etichettato come Under Water Wine (UWW), il -52 Cloe Marie Kottakis. Dopo la rifermentazione in bottiglia nella cantina terrestre è stato affinato per ulteriori 24 mesi alla profondità di 52 metri nell’UnderWaterWine Cave all’interno dell’Area Marina Protetta di Portofino. La Selection Edition proviene da una piccola partita di circa 700 bottiglie ed è venduto al costo di 294 euro sul sito di Jamin. Un prezzo di vendita senz’altro meno competitivo di quello di un vino “di terra”, ma, come abbiamo visto, si tratta di pezzi unici che si portano dietro anche tanto lavoro e ricerca. E poi, vuoi mettere il fascino di brindare al nuovo anno con una bottiglia che vien dal mare?

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