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Kohaku

Kohaku, la cucina Kaiseki a Roma

In zona via Veneto, un ristorante raffinato propone diverse alternative per una full immersion nei sapori e nella cultura gastronomica del Giappone

All’inizio è stato il sushi, che ha abbattuto molti pregiudizi nostrani (almeno in alcune regioni) verso il pesce crudo e ha portato tanto a pensare che la cucina giapponese fosse tutta lì. Poi è arrivato il ramen, seguito dai gyoza (o meglio, più spesso da dumpling e dim sum) e in seconda battuta dalla cucina “da trattoria”, quella che in Giappone si chiama Izakaya. Eppure, c’è molto altro ancora da scoprire. In attesa che anche da noi aprano locali “monotematici”, specializzati ad esempio esclusivamente in okonomiyaki (incrocio fra pancake e frittata con tanta roba, soprattutto vegetale) o yakitori (spiedini di varie parti anatomiche di pollo e simili), a Roma da qualche mese si può fare esperienza della cucina Kaiseki, la forma più elevata e raffinata di gastronomia tradizionale giapponese.

Nata in forma rituale nel IX secolo come pasto di accompagnamento del Cha no yu (quello che in occidente viene comunemente definito “cerimonia del tè”), con piccoli assaggi serviti separatamente, si è sviluppata in particolare nel XII secolo fino a diventare un rito gastronomico a sé, subentrando all’opulento stile Honzen e incentrandosi su tre principi fondamentali: attenzione estrema ai dettagli e alle temperature, quantità di cibo calibrate per garantire gusto e assenza di spreco, eliminazione degli elementi decorativi superflui che non concorrano alla degustazione della portata. Senza trascurare l’aspetto simbolico e “comunicativo” di ogni assaggio, celebrando la natura attraverso la stretta osservanza delle stagioni e inserendo elementi benaugurali in gran parte delle preparazioni.
Insomma, un concetto di fine dining che – seppur con alcuni punti in comune – si discosta in maniera notevole da quello “occidentale”, a cominciare dall’approccio richiesto a chi si siede a tavola: di osservazione e rispetto più che di autoindulgenza e gratificazione, pur senza dimenticare il piacere gustativo.

Kohaku, la “perfetta imperfezione” Kaiseki

A mediare, in parte, tra le due culture, ha aperto da qualche mese a Roma Kohaku. In via Marche, a due passi da via Veneto, il locale è la seconda creatura di Sabrina Bai dopo Shiroya, ristorante in stile Izakaya in attività dal 2019 a ridosso di Campo de’ Fiori. Curatissimo negli spazi interni firmati da Essence Interiors dello studio AMW architettura, che sposano essenzialità nipponica e raffinatezza contemporanea tra strutture in legno che ricordano le case tradizionali di Kyoto e dettagli in travertino come omaggio all’Italia (in maniera simile a quanto avviene per le belle stoviglie in ceramica, gres e smalti, pezzi realizzati su misura dal laboratorio Pots di Sebastiano Allegrini e Angelica Mariani di cui Bai è allieva), Kohaku nasce appunto dalla volontà di far conoscere ai romani – e non solo – un’ulteriore sfumatura di cucina e cultura giapponese. A cominciare dal nome, che significa ambra: «È una pietra dalla “perfetta imperfezione”, o wabi sabi – spiega Bai –. Criterio che sta alla base del canone estetico giapponese e che si è sviluppato unitamente alla cucina Kaiseki nel XII secolo. E come l’ambra, bellissima, si forma lentamente dalla resina, goccia dopo goccia, così il progetto culinario di Kohaku avrà bisogno del suo tempo per essere pienamene compreso e radicarsi».

Si può tuttavia procedere per “gradi”, esplorando le due anime del ristorante negli appositi ambienti. La sala all’ingresso, infatti, è incentrata sull’esperienza Kaiseki “classica”: in tavola arrivano piatti cucinati, soprattutto con le tecniche di taglio (kiru), sobollitura (niru), cottura al vapore (musu), griglia (yaku) e frittura per immersione (ageru), alternando secondo il menu rituale portate di carne e di pesce in cui un ruolo importante è giocato anche dal riso (quello biologico e naturale Wadachi Mai, dalle coltivazioni terrazzate dalla prefettura di Nigata) e dalle verdure di stagione, ricercando l’equilibrio tra la componente umami e gli altri cinque sapori: acido, dolce, salato, amaro e piccante. Il menu Kaiseki ha un prezzo di 120 euro, si può tuttavia optare per la carta scegliendo in autonomia portate come il granchio di neve con avocado, consommé di pomodoro e ikura (caviale di salmone selvatico dell’Alaska), gli yakimono (spiedini) di pollo, maiale, manzo, gamberi o capesante, gli scampi fritti con salsa tartara Kohaku o l’anatra cotta al forno avvolta nell’houba (foglia di magnolia giapponese), e così via. Mentre a pranzo ci sono vari tipi di ramen, yakimono o diversi lunch set, inclusi sushi e sashimi.

Kohaku Sushi Kaiseki, esperienza immersiva

Se invece ci si accomoda a uno degli sgabelli del bancone nella sala sul retro, è un’esperienza più immersiva e “meditativa” (per quanto non meno appagante, al costo non indifferente ma giustificato di 180 euro per 12 portate, alcune multiple) quella che attende i commensali per il menu Sushi Kaiseki, unendo il pasto tradizionale ad alcune proposte di crudo e in generale al concetto di omakase tipico di molti ristoranti di sushi di alto livello, in cui ci si affida al sushi master che prepara dei bocconi davanti a propri occhi costruendo un percorso gustativo unico.

Così la sequenza rituale canonica del pasto Kaiseki, in cui l’alternarsi di gusti e consistenze è studiata per appagare al meglio i sensi – annoverando tra gli altri il “boccone di benvenuto” del Sakizuke, il brodo limpido e intenso dell’O-Suimono (per noi: shinjyo di gamberi, fagioli, rapa bianca, musubi di carota, scorza di yuzu e katsuodashi, nella foto), il piatto stagionale dell’Hassun (sei piccoli assaggi su un vassoio, tra cui la deliziosa medusa marinata con cetriolo e la melanzana con katsuobushi), lo Yakimono o piatto grigliato (salmone marinato alla saikyoyaki), lo Shiizakana (ostrica con gelatina di ponzu) e il Tome-wan (zuppa di miso, come quella di miso rosso con tofu e alghe) –, si arricchisce di “intermezzi” a base di prelibati bocconi di sashimi e nigiri dove la freschezza e qualità della materia prima (dalla ventresca di ricciola alla carne Wagyu di Hida, ancor più pregiata di quella di Kobe) sono esaltate dalla manualità dello chef Kazuaki Kawane che dopo diverse esperienze in Giappone e a Milano è venuto a Roma espressamente per sposare il progetto di Kahoku e per proporre la “vera” cucina Kaiseki, senza fronzoli né concessioni fusion. Per finire con il Mizugashi, “dessert” freddo di stagione a base di frutta – nel nostro caso gelatina allo yuzu con fragole, panna e matcha – che chiude senza appesantire troppo e con una calibratissima dose di dolcezza, accompagnato dalle note delicatamente tostate del tè houjicha.

Certo, è un’esperienza particolare in cui si rinuncia in parte all’elemento conviviale per dedicarsi all’immersione tra sapori e concetti di una cultura così diversa. Ma non più così lontana.

Maggiori informazioni

Kohaku
via Marche 66, 00187 Roma
Aperto dal lunedì al sabato
Tel. 06 4566 5202
kohaku.superexperience.com

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