Nel docu-film La Quinta Stagione – in anteprima il 2 settembre alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia – cinque chef italiane raccontano la propria idea di cucina. Attraverso paesaggi, gesti quotidiani e memorie profonde, il progetto esplora il momento che precede la creazione di un piatto: quell’istante in cui si definisce chi si vuole essere e si scopre come il cibo possa diventare insieme linguaggio intimo e collettivo. Si tratta di Caterina Ceraudo, Martina Caruso, Valeria Piccini, Antonia Klugmann e Cristina Bowerman.
Una narrazione diversa che mostra una cucina differente da ciò che siamo abituati a vedere
A Venezia, in occasione dell’82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, viene presentato il docu‑film ideato da Paola Valeria Jovinelli e diretto da Giuseppe Carrieri, realizzato da Fondazione Arte del Convivio e IULMovie LAB. Il progetto attraversa l’Italia da Nord a Sud e segue le storie di cinque chef donne, protagoniste di un racconto che fonde paesaggio, ricordi e cucina come forma di espressione personale.
È una narrazione che non punta alla tecnica o ai piatti, bensì al tempo che precede il servizio, quel tempo interiore che si manifesta nei gesti quotidiani, nella relazione con il territorio e nelle scelte di vita. La Quinta Stagione non documenta la cucina in azione, ma esplora il contesto intimo delle chef: i luoghi di casa, i campi, le strade dei loro paesi. Le parole della voce narrante di Isabella Ragonese accompagnano il racconto, con pause e silenzi che delineano un’atmosfera intensa e riflessiva.

Le protagoniste sono Caterina Ceraudo, chef di Dattilo, una stella Michelin a Strongoli, che lavora nella tenuta agricola di famiglia immersa nella Calabria; Martina Caruso del Signum, una stella Michelin a Salina, che ha trasformato la sua isola in un luogo gastronomico riconosciuto; Valeria Piccini, due stelle Michelin al ristorante Da Caino a Montemerano, interprete della Toscana rurale autentica; Antonia Klugmann, una stella Michelin a L’Argine a Vencò al confine tra Italia e Slovenia, che declina cucina e riflessione in un dialogo con la natura; e Cristina Bowerman, una stella Michelin con Glass Hostaria a Roma, che coniuga cucina romana e visione multiculturale.
Le interviste a queste figure emergono come narrazioni profonde: ciascuna ha costruito un percorso autonomo, senza ricette precostituite, ma attraverso viaggi personali, relazioni con il paesaggio e memorie familiari. Il loro tempo non coincide con l’orologio ma con la stagionalità, con la preparazione interiore e con la definizione di un’identità professionale. Nella visione del regista Carrieri, la cucina diventa gesto lirico, gesto che precede la forma, che diventa sentimento e libertà.
Paola Valeria Jovinelli afferma di aver voluto dare voce a un mondo femminile poco narrato nel panorama gastronomico italiano. Il film non cerca la spettacolarizzazione, ma punta a restituire la geografia emotiva di vite che hanno costruito la propria realtà professionale seguendo un desiderio di libertà creativa e rigore etico.