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I colori del Lambrusco

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La riscoperta del Lambrusco a colori

In occasione dei cinquant’anni della Doc, dopo la festa al Museo Ferrari di Modena, il Lambrusco sale sulla Tour Eiffel per rafforzare la visibilità sui mercati internazionali. Per l’Italia funzionano meglio le espressioni brut e secco, con gli ancestrali emergenti.

Ha invaso il mondo con la sua identità peculiare, ha costruito un certo modello di Made in Italy che si identificava nella bollicina divertente e zuccherina. Eppure a cinquant’anni dal riconoscimento della Doc il Lambrusco sta attraversando una sorta di “rivoluzione a colori” per superare i preconcetti (soprattutto in Italia) e far scoprire la propria anima duttile su scala internazionale. «Non esiste il Lambrusco, ma piuttosto dobbiamo pensare che vanno scoperti i molti volti del Lambrusco», chiosa Claudio Biondi, presidente del Consorzio di tutela del Lambrusco che pure – dal 2021 – ha saputo riunire sotto un’unica bandiera le otto denominazioni di riferimento tra Modena e Reggio Emilia: Modena Doc, Lambrusco di Sorbara Doc, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Doc, Lambrusco Salamino di Santa Croce Doc, Reggiano Doc, Colli di Scandiano e di Canossa Doc.

Obiettivo: visibilità internazionale

Risultato? Una rappresentanza unitaria per 70 tra vitivinicoltori e imbottigliatori che portano sul mercato oltre 46 milioni di bottiglie di Lambrusco Doc (vanno invece considerate a parte le circa 115 milioni di bottiglie di Lambrusco Emilia Igt, che rientrano nell’ambito di tutela del Consorzio Vini Emilia). «Quello che ha portato all’unificazione del variegato mondo del Lambrusco – sottolinea Biondi – è stato un percorso molto lungo. Ora il nostro obiettivo è portare avanti i progetti di promozione più efficaci, sia a livello nazionale che internazionale, continuando ad apportare un contributo in un settore che, come tutti, ha subito i contraccolpi della recente pandemia». Se dunque da un lato si lavora per mantenere le nuove generazioni «attaccate alla terra» –   per usare un’espressione del presidente – dall’altro c’è un focus sul posizionamento internazionale, tanto che il prossimo 21 giugno il Consorzio lancerà il World Lambrusco Day da Parigi, con un evento speciale al Salon Gustave Eiffel Lounge, al primo piano della Tour Eiffel. «Non è un caso che si parta proprio nel 2023 – chiosa il presidente –: le nostre Doc più storiche hanno compiuto e superato i 50 anni dal riconoscimento e finalmente ci sono le condizioni per poter celebrare questo percorso. Lo abbiamo già fatto sul nostro territorio, con un evento al Museo Enzo Ferrari. Per un vino come il Lambrusco, presente in moltissimi mercati esteri, è giunta l’ora di dar vita a un momento di racconto e di presentazione dedicato agli interlocutori esteri e quella di Parigi sarà la nostra première».

Vitigni versatili per un vino policromo

Il Consorzio ha recentemente presentato una nuova brand identity che sembra giocare con le tonalità di colore che il Lambrusco assume nell’espressione della sua anima polimorfa: dal rosa chiaro al rubino, dal rosa antico al rosato, fino al porpora e al rosso intenso che richiama i frutti rossi. «Il Lambrusco è il vino dei colori, uno diverso dall’altro – aggiunge il direttore del Consorzio Giacomo Savorini –. Nel mondo è identificato come un vino rosso scuro e frizzante, ma abbiamo l’esigenza di far comprendere che esistono tante varietà di lambrusco, con colori e sentori diversi, che possono veicolare esperienze completamente differenti e che, grazie alla loro versatilità e ampia gamma di referenze di qualità, si possono perfettamente abbinare a diverse e numerose tipologie di cucina». Il nome Lambrusco indica infatti una famiglia di dodici vitigni a bacca nera autoctoni, diffusi da sempre in Emilia-Romagna. Sono Sorbara, Grasparossa, Salamino, Foglia Frastagliata, Barghi, Maestri, Marani, Montericco, Oliva, Viadanese, Benetti e Pellegrino. E se nel modenese la tendenza predilige il focus su una singola varietà, nel reggiano è tradizionalmente utilizzato un blenddi differenti vitigni.

Per l’Italia più secco e meno amabile

In questo gioco multiforme, la produzione spazia dal frizzante – che rappresenta oltre il 95% della produzione – fino al metodo classico e a quello ancestrale, dal secco alle versioni amabili. E se l’export (che pesa circa il 60% della produzione) è trainato soprattutto dal frizzante e dai prodotti più dolci, sul mercato italiano emergono con maggiore verve vini meno zuccherini e più agili nella beva. All’assaggio di quasi un centinaio di referenze – in larga maggioranza spumanti brut e frizzanti secchi – si impongono dunque per un palato contemporaneo in primis i metodo classico come il Rosé di Sorbara 2020 e il Lambrusco Salamino di Santa Croce di VentiVenti, il Federico e l’Ermes (entrambi Grasparossa) di Cavaliera, capaci di una complessità elegante, mentre tra gli charmat spiccano La Riserva e L’Eclisse di Paltrinieri Gianfranco, lunghi in acidità e strutturati; il Rosato di Cantina Zucchi e il Rosea di Messori, più dolci ma ben affilati; il Vecchia Modena Premium di Cleto Chiarli che si gioca bene il frutto; il Concerto di Medici Ermete che punta su densità asciutte; il Canova di Fattoria Moretto che vira sull’amaricante; il Rosso del Bacino di Tenuta Vandelli che spicca per freschezza. Un’espressione intrigate e giovane del Lambrusco, destinata probabilmente ad affermarsi con sempre maggior convinzione, è l’ancestrale: i due esempi più convincenti sono senza dubbio il Phermento di Medici Ermete, che esprime corpo e frutto con grande pulizia, e il Fondatore di Cleto Chiarli, dritto e fruttato.

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