C’è un profumo che a Firenze e dintorni annuncia l’arrivo dell’autunno più di ogni altro: quello della schiacciata con l’uva, la focaccia dolce che i forni iniziano a sfornare con i primi giorni di settembre e che accompagna l’intera stagione della vendemmia. Basta passeggiare per il centro storico, tra un vicolo e l’altro, per vedere turisti e fiorentini con un pezzo in mano, attenti a non macchiarsi con il succo violaceo che cola dagli acini durante il morso.
Pane e uva: una “focaccia” dalle origini antiche
Dietro la sua apparente semplicità c’è un mondo di tradizioni contadine. Le origini si collocano in epoche lontane, quando nulla andava sprecato: i grappoli non raccolti, o inadatti alla vinificazione, finivano dentro l’impasto del pane, con un po’ di zucchero e qualche goccia d’olio. Una volta cotta, la focaccia diventava il dolce della festa, consumato nelle sagre di paese o portato in tavola al ritorno dai campi. C’è chi sostiene che già gli Etruschi ne preparassero una versione primitiva con farina di frumento e uva, a dimostrazione di quanto questo frutto fosse radicato nella cultura alimentare toscana.
Elemento fondamentale è l’uva canaiola, vitigno autoctono dalle bacche piccole e ricche di semi. Poco adatta alla vinificazione, era perfetta per questa preparazione grazie alla dolcezza acidula e alla capacità di impregnare l’impasto con i profumi del mosto. Non a caso lo stesso termine “canaiolo” ha spiegazioni curiose: secondo alcuni deriverebbe dalla “canicola”, i giorni caldi d’estate in cui l’uva inizia a cambiare colore; per altri, in modo più dispregiativo, il termine rimanderebbe a un’“uva da cani”, per la sua scarsa resa in cantina. Ma se il vino non la esaltava, il forno sì: nella schiacciata l’uva canaiola ha trovato la sua consacrazione.
Una ricetta che unisce la Toscana, con tante varianti
Nel corso dei secoli ogni territorio ha adattato la ricetta. A Firenze prevale l’uva sull’impasto, a Prato si parla di “pan con l’uva” perché più simile al pane che alla focaccia, mentre in Chianti e Maremma sono comparsi aromi come anice, finocchio, rosmarino o persino noci. Nonostante le differenze, la sostanza è rimasta invariata: un dolce rustico, stagionale, legato al ritmo delle vigne.
Oggi la schiacciata con l’uva si trova ovunque, dai mercati rionali alle pasticcerie eleganti, spesso proposta in versioni addolcite e senza semi. Ma i puristi ricordano che la vera magia è nella ricetta originaria, quella “povera” e diretta, in cui pane e uva dialogano senza filtri. Una regola, comunque, è sempre valida: va gustata fredda, quando i succhi dell’uva si sono fusi con lo zucchero, regalando all’impasto il suo colore violaceo e il profumo inebriante.
Prepararla in casa non è difficile: si parte da un impasto di pasta lievitata (simile a quello del pane), cui si aggiunge un filo di olio extravergine d’oliva. Nell’impasto si distribuisce tanta uva nera, preferibilmente canaiola, e si spolverizza poi con lo zucchero. Si stende metà dell’impasto in teglia, si ricopre di uva e zucchero, poi si sigilla con un altro strato di pasta e ancora uva in superficie. A cottura ultimata, il risultato è una focaccia profumata, colorata di viola, con un equilibrio unico tra dolce, aspro e amarognolo. La schiacciata con l’uva non è solo un dolce: è un rito collettivo che unisce la città e la campagna, i ricordi d’infanzia e le abitudini di oggi. Un morso, e l’autunno toscano è servito.