Sapio nasce nel 2016 come sogno dello chef Alessandro Ingiulla, primo a portare una stella Michelin a Catania nel 2018 e, a soli 25 anni, il più giovane chef stellato d’Italia. Dal cuore della sua campagna ai piedi dell’Etna, prende forma infatti un racconto gastronomico che parla di terra, identità e bellezza: un ristorante come varco tra natura e cultura, dove ogni piatto è nutrimento per il corpo e per lo sguardo.
Lo chef coltivatore dove la terra diviene fonte di memoria e continuo rifornimento
Il mondo rurale non è solo un ricordo d’infanzia per Alessandro, ma rappresenta il cuore pulsante di un impegno concreto. Nella casa di nonna Alfina, tra ulivi e frutteti, ha imparato, infatti, fin da piccolo che cucinare significa seguire i ritmi della natura, celebrare il lavoro collettivo e rispettare le stagioni.

A Santa Maria di Licodia, nel versante sud dell’Etna, coltiva oggi, con metodo biologico, un oliveto da cui nasce l’olio extravergine Ealia, sempre presente sulla tavola del ristorante, e un frutteto che custodisce antiche varietà locali: mele Cola, pere Spineddi, ciliegie Mastrantonio, pistacchi e agrumi: un microcosmo fertile che si estende dai 550 ai 1150 metri di altitudine, su suolo vulcanico, e che rappresenta il punto di partenza di una cucina profondamente radicata nella materia prima. La filosofia di Sapio si basa dunque su stagionalità, autoproduzione e collaborazione con piccole realtà agricole locali, generando una rete virtuosa che promuove una riduzione drastica degli sprechi, come per esempio l’eliminazione della plastica o l’utilizzo di acqua filtrata e di macchinari ad alta efficienza energetica.
Il gusto per lo chef come forma di espressione estetica
Per Sapio, la cucina è molto più che nutrimento: è un linguaggio che unisce sapore e sapere, un ponte tra corpo e mente. Il cibo diventa così riflessione, esperienza sensoriale e intellettuale insieme, un esercizio estetico che racconta una visione profonda. Ogni piatto nasce da un lavoro meticoloso, quasi ossessivo, in cui si intrecciano tecniche culinarie di respiro internazionale con una ricerca continua sull’identità gastronomica siciliana. Il risultato? Creazioni che parlano una lingua globale ma con un accento fortemente territoriale.
Emblematica è la rivisitazione di ricette tradizionali, come il Gambero Affogato, trasformato in una raffinata rappresentazione contemporanea di un’antica preparazione catanese, lo Scorfano con fagiolini, miele e finocchieto selvatico, la Coppa di maialino, la Quaglia in sfoglia, e ancora il Piccione servito in conca, omaggio a una ritualità contadina che un tempo riuniva la famiglia attorno al fuoco. Questi piatti svelano le radici profonde dello chef, il suo legame autentico con la campagna che si affaccia sul mare, da cui trae ancora oggi ispirazione.
Lo chef come promotore di arte e condivisione della bellezza
Nel 2023, Ingiulla ha dato nuova vita al suo ristorante, trasferendolo in una sede inedita: uno spazio concepito per esaltare ulteriormente l’accoglienza e rendere l’esperienza degli ospiti ancora più intensa e memorabile. Il nuovo Sapio sorge quindi all’interno di un edificio storico, situato nel cuore dell’antico quartiere delle botteghe artigiane, nella parte bassa di via Antonino di Sangiuliano a Catania. Qui, da ciò che un tempo era una fabbrica di sedie ormai in rovina, è stato ricavato un ambiente completamente rinnovato, grazie al progetto dell’architetto Daniele Ingiulla, fratello dello chef.

Gli spazi sono stati ideati con cura per accogliere non solo una cucina d’eccellenza – arricchita da uno chef’s table riservato a due persone – e una grande sala modulare in grado di creare aree di riservatezza variabili, ma anche una cantina pensata per ospitare progetti speciali dedicati all’Etna in primo luogo e alla Sicilia in generale (tra cui un enorme inventario di vecchie annate rappresentative di aziende iconiche e piccole realtà artigianali su tutti i versanti del vulcano) e una piccola foresteria con tre camere dedicate esclusivamente agli ospiti del ristorante. L’intero ambiente riflette un’idea di movimento e trasformazione continua: giochi prospettici, materiali tattili e inserti vegetali si integrano con la filosofia di una cucina in costante divenire. La pietra lavica, elemento identitario del territorio, domina nella scelta dei materiali: la si ritrova grezza nella volta a botte della cantina, dove ogni blocco si incastra come fosse parte di un’antica colata, e ancora nella sala principale, dove le superfici incise creano trame e sfumature sempre nuove.
In questo contesto prende forma anche l’arte, protagonista di un progetto fortemente voluto dallo stesso Alessandro: mostre temporanee di artisti – per lo più locali – si alternano nel corso dell’anno, seguendo il ritmo delle stagioni e del menu. Un dialogo costante tra diverse espressioni artistiche che invita gli ospiti alla scoperta della bellezza, in linea con la visione profonda che anima il ristorante.