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Beviamo troppo matcha e la sua produzione non basta più

Il tè polverizzato simbolo del Giappone cresce nei consumi mondiali, ma raccolti ridotti e carenza di manodopera mettono sotto pressione l’intera filiera.

Il paradosso del matcha: mai così richiesto, mai così raro. La polvere di tè verde ottenuta dalla macinatura delle foglie di tencha, è passata in pochi anni da ingrediente di nicchia a presenza stabile nei bar, nei ristoranti e nelle cucine domestiche di gran parte del mondo. La sua diffusione, favorita dai social network e dalla percezione di alimento salutare, ha superato le capacità produttive del Giappone, principale Paese esportatore. Nel 2024 la produzione ha raggiunto 5.336 tonnellate, più del doppio rispetto a dieci anni fa, ma il raccolto è risultato inferiore a quello del 2023, mentre la domanda continua ad aumentare.

Il matcha non basta più: domanda globale oltre la produzione

Negli Stati Uniti, primo mercato estero per il tè giapponese, circa un terzo delle importazioni si concentra su questo prodotto. Importatori e distributori segnalano che le scorte si esauriscono molto più rapidamente rispetto al passato. Anche in Giappone, in alcune aree turistiche sono stati introdotti limiti di acquisto per garantire continuità di fornitura tra un rifornimento e l’altro.

Le difficoltà produttive derivano in larga parte da fattori climatici. Le piantagioni di matcha si concentrano nella regione di Kyoto, dove l’ultima stagione è stata segnata da temperature superiori alla media. Le foglie di tencha, coltivate all’ombra e raccolte solo in primavera, sono particolarmente sensibili a variazioni climatiche. Il risultato è stato un calo della resa che ha contribuito a raddoppiare i prezzi della polvere verde rispetto all’anno precedente.

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Accanto alla variabile climatica, pesa la trasformazione della filiera agricola. Negli ultimi vent’anni molte aziende giapponesi hanno chiuso per mancanza di ricambio generazionale: tra il 2000 e il 2020 quattro imprese su cinque hanno cessato l’attività. Le lavorazioni restano in gran parte manuali e richiedono competenze specifiche, dalla pulizia delle foglie alla macinatura con pietre tradizionali. La riconversione di terreni verso nuove piantagioni non offre soluzioni immediate, poiché una pianta impiega circa cinque anni per diventare produttiva.

Sul fronte dei consumi, il matcha ha assunto dimensioni globali. In Europa, e in Italia in particolare, proliferano catene e locali dedicati, che propongono cappuccini, dolci, gelati, latte e varianti pensate per incontrare un pubblico più ampio. La popolarità deriva più dall’estetica – il colore verde brillante e l’associazione a uno stile di vita salutare – che dal gusto, spesso percepito come amaro. Piattaforme come Instagram e TikTok hanno amplificato la tendenza con video che mostrano ricette, consigli di preparazione e versioni addolcite con latte vegetale, sciroppi e creme.

Eppure la storia del matcha è antica. Introdotto in Giappone dalla Cina intorno all’VIII secolo, si è affermato attraverso la cerimonia del tè, restando a lungo prerogativa delle élite. Oggi la dimensione rituale è ridotta e il consumo è entrato nella quotidianità internazionale. Il mercato globale valeva 3,48 miliardi di dollari nel 2023 e, secondo le proiezioni, potrebbe superare i 5,5 miliardi entro il 2028.

La contraddizione rimane evidente: mai come ora il matcha è stato diffuso e accessibile, ma la disponibilità effettiva rischia di non soddisfare una domanda in crescita continua. Per consumatori e operatori significa prezzi in rialzo, scorte limitate e un’attenzione sempre maggiore alla provenienza e alla qualità di una delle polveri più riconoscibili del panorama gastronomico contemporaneo.

Com’è che ora tutti bevono matcha?

Un elemento chiave nell’exploit del matcha a livello globale è il suo successo sui social network, guidato da algoritmi che premiano contenuti visivamente accattivanti. La sua brillante tonalità verde, associata a bevande preparate con latte schiumato, dessert pastello e ricette creative, lo rende perfetto per Instagram, TikTok e simili.

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Le cifre sono eloquenti. Su TikTok, hashtag come #matcha hanno accumulato più di 94 miliardi di visualizzazioni, con video che ottengono in media migliaia di visualizzazioni ciascuno. Su Instagram, #matcha conta oltre 6 milioni di post, in crescita costante . In Cina, sulla piattaforma Xiaohongshu, i post legati al matcha sono aumentati da circa 694 mila nel 2023 a oltre 1 milione nel 2024, con un +47,6% su base annua.

Questo meccanismo crea un omologazione visiva: i video e le foto condivisi seguono schemi simili – palette pastello, tecnica “latte schiumoso”, close-up estetici –, indipendentemente dal contenuto specifico. Il risultato è un format riconoscibile a livello globale, che privilegia contenuti “stipati” all’interno di filtri estetici riproducibili, più che approfondire il contesto culturale o gustativo del matcha.

L’algoritmo amplifica così contenuti che generano engagement visivo, ma rischia di semplificare il prodotto, trasformandolo in un codice estetico condiviso più che in alimento da conoscere nella sua ricchezza sensorica e culturale. La cerimonia del tè, con i suoi tempi lenti e ritualizzati, viene sostituita dall’immediatezza di clip virali da pochi secondi: il matcha perde parte della sua identità tradizionale per essere consumato principalmente “con gli occhi”.

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Foto da Shutterstock

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