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A Montefalco

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Montefalco, terra di vini (e non solo di Sagrantino)

Il Consorzio sceglie di portare in evidenza la multiformità del patrimonio enoico di un territorio cresciuto grazie alla trazione dei rossi, ma che gioca con consapevolezza la carta del trebbiano spoletino.

Cambio di passo per Montefalco, che si lancia oggi in una rafforzata promozione al plurale dei propri vini. Il Sagrantino (forse per quell’origine epica del nome che la tradizione lega a Federico II) è stato infatti per lungo tempo il vino bandiera della denominazione, confrontandosi con i mercati internazionali grazie soprattutto al lavoro di aziende capaci di fare da rompighiaccio – da Arnaldo Caprai a Lungarotti. Oggi però il territorio sembra maturo per emergere nelle sue sfaccettature e il focus si sposta allora da un vitigno alle colline intorno, al paesaggio, a una pluralità di espressioni che rappresentano il genius loci. È proprio per questo motivo che il Consorzio Tutela ha scelto di allargare l’obiettivo dal Sagrantino, centrando l’anteprima annuale sull’area (partendo dal nome: A Montefalco). «Il nostro invito è quello di venire A Montefalco, anno dopo anno, per mostrarvi l’evoluzione dei vini di queste terre», dicono dall’istituzione che opera sul mercato enoico. Ecco che nel calice, da scoprire, ci sono i vini di un territorio «dentro un progetto nuovo e corale». E con il progetto Sagreentino il Consorzio spinge su un enoturismo sostenibile attraverso l’utilizzo di bici elettriche. Qual è allora l’impressione che portano le nuove annate di Montefalco Bianco Doc, Montefalco Grechetto Doc, Spoleto Trebbiano Spoletino Doc, Spoleto Trebbiano Spoletino Superiore Doc, Spoleto Trebbiano Spoletino Passito Doc, Montefalco Rosso Doc, Montefalco Rosso Riserva Doc, Montefalco Sagrantino Docg e Montefalco Sagrantino Passito Docg? Probabilmente la parola chiave è multiformità.
«Le dolci colline intorno a Montefalco, Bevagna, Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo – sottolineano dal Consorzio – hanno dimostrato da sempre una straordinaria confidenza con la vigna e il vino, su più fronti e grazie al contributo di numerose varietà autoctone. La tradizione è poliedrica: accanto all’uva simbolo della zona ce ne sono altre di eccezionale valore come Trebbiano Spoletino e Grechetto, tra quelle bianche, e Sangiovese, tra quelle a bacca nera».

Sagrantino polimorfo

La differenza di espressioni emerge già nel calice del Sagrantino. Si va dalla schiettezza dei vini di Tabarrini e Paolo Bea all’eleganza su cui giocano Ilaria Cocco e Antonelli, dalla linearità di Scacciadiavoli alla morbidezza dell’Exubera di Terre della Custodia o del Carapace di Tenuta Castelbuono, fino alla potenza (controllata) di Caprai. Negli ultimi anni i Sagrantino, pur se in anteprima, mostrano nel calice linee più flessuose e minore concentrazione (ne avevamo parlato qui), grazie a un percorso evolutivo che vede sempre più presente l’utilizzo di cemento e botti grandi (che progressivamente sostituiscono le barrique) e lavora su estrazioni meno estreme. Tra gli assaggi più convincenti nella preview d’annata 2019 il Bisbetico Domato di Tabarrini, che si prepara a stupire gli amanti della verticalità con la sua spinta balsamica, e il Sagrantino sempre elegante di Scacciadiavoli; Terre di San Felice, Montioni, Tenuta Castelbuono e il 25 Anni di Arnaldo Caprai si stemperano su dolcezze e speziature più presenti, che non coprono però il carattere del vitigno, mentre il Vignalunga di Moretti Omero gioca soprattutto sul frutto.

Tra le etichette già sul mercato spiccano invece il 2015 di Adanti, tra frutto e tannini eleganti, e il Phonsano 2016 di Ilaria Cocco, composto e teso, capace di un’eleganza croccante, il Lunga Attesa 2016 di Tenuta Castelbuono, elegante pur nella presenza del legno, e i Sagrantini 2017 di Antonelli (teso e terso) e di Scacciadiavoli (preciso e lineare). Spingendosi verso l’annata 2018, La Veneranda spinge sui toni ematici, Le Thiadee e Montioni su tannini eleganti, Terre de la Custodia su spezie e liquirizia. Colpisce, nell’estrema gioventù, il 2019 di Lungarotti per la struttura smagrita e composta. A uno sguardo ampio, l’evoluzione del Sagrantino sembra orientata verso una consapevolezza crescente della necessità di giocare su tannini più lineari, pur se non troppo ammorbiditi, e su una beva scorrevole che spinge sulla tensione.

Il nerbo del sangiovese

Tutt’altro che scontato, ingiustamente considerato il figlio cadetto di una terra che porta in cantina un sangiovese di buon nerbo, capace di intrigante acidità e di flessibilità, il Montefalco rosso si rivela sempre più interessante quando affrontato con consapevolezza. Tra i calici assaggiati in anteprima, nell’annata 2020 spicca nettamente Antonelli per le balsamicità eleganti e pulite, ma se la giocano bene anche Scacciadiavoli, Tenuta Bellafonte e Tenuta Castelbuono, con speziature che non intaccano la scorrevolezza del vino. Scendendo al 2019, la linearità del Giulio II de Le Thiadee, del Capo de Casa di Romanelli e di Colle Ciocco mostrano una buona mano, ma è arrivando al 2018 che i blend di Rosso si esprimono appieno: il Camorata di Ilaria Cocco è vivo, spinge sul frutto croccante senza lasciare troppa rotondità al merlot, mentre il Boccatone di Tabarrini porta in dote l’acidità di una buona presenza di barbera che ne enfatizza la tensione. Niente male anche le Riserve prossime all’ingresso sul mercato. Il solito Antonelli s’impone per eleganza dell’annata 2019, ma anche i Perticaia e Romanelli 2018 si difendono bene. Terre de la Custodia fa valere una discreta consapevolezza con il suo Rubium 2016.

La riscoperta del trebbiano spoletino

Last but not least, purtroppo sottovalutato in passato per la tendenza a un consumo giovane e spiccio, torna à la page in terra di Montefalco il trebbiano spoletino, vitigno bianco antico capace di esprimere grande fascino. Tra vigne vecchie (talvolta a piede franco e “maritate” con olmi o aceri), nel calice porta una complessità che merita tempo, molto tempo, avvicinandosi ai vini bianchi più apprezzati nel panorama europeo. Lo dimostra bene Ninni, piccola cantina artigiana con la quale Gianluca Piernera preserva un patrimonio genetico che porta in bottiglia vini longevi, come il suo Poggio del Vescovo sapido e idrocarburico nel passare del tempo. Nonostante risultino ancora “infanti”, all’assaggio in anteprima si riconosce la stoffa di un vino profondo, verticale, che incanta (anche quando gioca su lievi ossidazioni). Tra le etichette da segnalare, il Trebiume il Vigna Tonda (un cru di prossima uscita) di Antonelli, l’Avventata di Ilaria Cocco, il Filium di Valdangius, così come lo Sperella di Bellafonte (classificato come Montefalco bianco, ma ottima espressione di trebbiano spoletino 100%; spostandosi ai Superiore, colpisce la pulizia della Riserva del Cavalier Bartoloni 2020 de Le Cimate.

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