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Nel cuore del Mugello

A Scarperia, sopravvive uno dei più antichi distretti di produzione di coltelli del nostro Paese

La prima volta che andai a Scarperia avevo vent’anni e vivevo ancora con i miei genitori. Un amico mi aveva parlato di un borgo medievale nel Mugello dove da secoli si forgiavano lame e le mani degli artigiani creavano coltelli di precisione; incuriosita ero andata a sbirciare nelle botteghe e al “Museo dei Ferri Taglienti”, apprezzandone molto il nome e, poi, il valore curatoriale. Ero tornata a casa con il mio primo spelucchino e il mio primo coltello da chef: li aveva prodotti Giglio (coltelleriegiglio.it) e li potete ancora trovare nella mia cucina – non più quella dei miei genitori – di vent’anni più vecchi, coltelli e sottoscritta. Nel frattempo la mia collezione è cresciuta: qualche lama dal Giappone, una dal Sud Carolina (conoscete Quintin Middleton?), altre italiane, perché nel nostro paese la tradizione coltellinaia è storica e vanta almeno due distretti principali, Maniago, in Friuli, e Scarperia, dove lo statuto relativo alla lavorazione dei ferri taglienti risale al XV secolo. Nel Mugello sono tornata in diverse occasioni, di volta in volta visitando i negozi dei produttori storici, come Berti (coltellerieberti. it) e Saladini (coltelleriasaladini.it), tra i preferiti dai ristoratori che cercano un’alternativa a Laguiole. Quello dei Saladini è un caso interessante. Si registrano loro tracce a partire dal 1750, ma l’attuale realtà produttiva ha origine nel 1997 per volontà di Leonardo Saladini. 

La bottega produce tre gamme di coltelli: storici (come il “coltello d’amore”, antico pegno che suggellava il legame del cuore, dalla lama decorata con motivi simbolici), da collezione (per esempio i coltellini a serramanico “fiorentino”, “senese” e il “gobbo” abruzzese), e da tavola e cucina. «Da noi lavorano 7 persone in tutto, inclusi i dipendenti dell’ufficio: siamo artigiani, non ci possiamo definire “azienda”», spiega Giacomo Cecchi, responsabile creativo delle linee, classe ’74, studi da architetto e un apprendistato dai maestri Marcello Azzini e Renzo Berti. Per quanto riguarda la coltelleria da tavola e cucina – la parte di forgiatura con il supporto di macchinari, i manici (in corno di bue, corno di bufalo, legno di olivo o resina) lavorati interamente a mano – Saladini vende soprattutto a clienti stranieri. «La crisi ha colpito duramente il nostro settore e in Italia a livello di produzione siamo ai minimi storici: chi ha potuto è andato all’estero, ma parliamo di aziende vere e proprie, come Alexander, una realtà paragonabile per numeri a Wüsthof, Victo- rinox e Zwilling. Gli artigiani fanno fatica a strutturarsi, essere piccoli è il nostro tallone di Achille ma è anche la nostra forza: noi abbiamo scelto di puntare sull’acciaio forgiato, perché la forgiatura conferisce allo strumento caratteristiche dinamiche che ne allungano la vita; abbiamo scelto di creare una serie di stampi su disegni nostri, che escono un po’ dal panorama del “solito” coltello, tanto che oggi un Saladini si riconosce anche dalla forma, che poi in molti hanno provato a imitare; e abbiamo anche eliminato guardia (il pezzo, tra lama e impugnatura, deputato alla protezione della mano, nda) e rivetti (i “chiodini” che tengono insieme impugnatura e “codolo”, il proseguimento della lama per tutta la lunghezza del coltello, nda)». 

Cecchi si dichiara appassionato di coltelli giapponesi, ma il paragone tra le due categorie di lame per lui non ha senso. «Sono prodotti completamente diversi, è ovvio. I giapponesi producono lame battute a mano sull’incudine, per pezzi che possono anche costare diverse migliaia di Euro: sono opere d’arte, grande cura viene applicata alla lavorazione della lama, con tecniche come la damascatura, e presentano un’elasticità e una durezza incredibili». Il lavoro di Cecchi si concentra sull’evoluzione continua: Saladini collabora con diversi professionisti per la creazione di modelli customizzati, e il canale ristorativo è anche il miglior biglietto da visita per la vendita al privato che sovente sceglie un pezzo da tavola proprio perché lo nota al ristorante. «Continuiamo a migliorare il processo di lavorazione, e cerchiamo di stare al passo con le novità in campo siderurgico: di anno in anno abbiamo a disposizione acciai sempre nuovi». Il tipo di acciaio è la discriminante forse più importante da tenere a mente quando si acquista un coltello, spiega, oltre naturalmente al profilo ergonomico, perché impugnatura e bilanciamento sono fondamentali. Per un primo acquisto, Cecchi consiglia di partire da un “trinciante” (o coltello da chef), oppure “santoku”. Entrambi i modelli sono versatili (il santoku ha una lama più corta e più spessa e spesso presenta una serie di “alveoli” che permettono soprattutto alle verdure di scivolare meglio) e si prestano a una molteplicità di usi. 

La manutenzione, per tutti, è fondamentale: «Un coltello, se ben conservato, può durare una vita». Acidi (anche alimentari: attenzione, per esempio, al succo di limone e al pomodoro), sale e calcare sono nemici delle lame. «Per trattare le macchie consigliamo l’uso di bicarbonato, mentre per i manici in materiale naturale è bene effettuare regolarmente un trattamento con olio d’oliva». Saladini sta per lanciare un nuovo prodotto: curiosamente non si tratta di un coltello. «È un tagliatartufi, messo a punto ascoltando le esigenze degli chef con cui collaboriamo: nelle cucine stellate le fette di tartufo devono essere calibrate al millimetro, con tagli che non sbriciolino la materia prima. Di solito le lame dei tagliatartufi si regolano in altezza: il modello che ho studiato io invece non ha una regolazione sullo spessore bensì sul piano di scorrimento. Così siamo riusciti a tagliare un tartufo nero, tipicamente il più duro, in fette da tre decimi di millimetro».