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Il vino costa troppo poco? La proposta dell’Oms che sa di provocazione

Un nuovo report dell’Organizzazione mondiale della sanità invita i governi europei a introdurre accise sul vino. Dati, precedenti e possibili ripercussioni su consumi e filiera

L’Organizzazione mondiale della sanità invita nuovamente i governi europei a riconsiderare le attuali politiche fiscali su vino e alcolici. Secondo l’Oms, il basso costo di questi prodotti potrebbe contribuire a un consumo più elevato, con possibili ricadute sulla salute pubblica. È quanto emerge dal report Too Cheap to Ignore, che definisce il prezzo attuale del vino e delle bevande alcoliche in molti Paesi europei «troppo basso per essere ignorato»: questo è letteralmente il titolo dell’estratto. Il documento propone l’introduzione di nuove accise o il rafforzamento di quelle già esistenti come strumento di tutela della salute pubblica e leva fiscale utile a incrementare le entrate statali.

Secondo il report, «in molti Paesi europei l’alcol è oggi più accessibile rispetto a vent’anni fa e le persone ne pagano il prezzo con la propria salute». Il nostro continente è l’area con il più alto consumo pro capite di alcol al mondo, con effetti documentati su patologie oncologiche, epatiche e cardiovascolari, oltre a incidenti e mortalità precoce. Va segnalato, però, che i dati di vendita di tutte le bevande alcoliche sono in costante calo.

Il nodo fiscale: solo il 4% del prezzo del vino è dato da accise

La questione riguarda in modo particolare il vino. Come si legge nel report, nel 2022 solo 29 dei 53 stati membri dell’area Oms Europa applicavano una qualche forma di accisa sul vino, lasciando una quota significativa di consumo alcolico priva di tassazione. Una situazione legata alla direttiva europea sulle accise, risalente al 1992, che consente (tuttora) un’imposta minima pari a zero per il vino. Nel nostro Paese, ad esempio, il vino è sottoposto ad accisa, ma l’aliquota attualmente applicata è pari a zero. Questo significa che, pur essendo il vino un prodotto incluso nella normativa sulle accise (come previsto dal D.Lgs. n. 504/1995), in Italia non viene applicata alcuna imposta specifica.

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Nel complesso, mentre le accise incidono in media per il 37% sul prezzo di vendita degli spirits e per il 16% su quello della birra, il vino si ferma a una media europea del 14%, che scende ulteriormente al 4% nei Paesi dell’Unione Europea.

Il report rileva inoltre come l’incremento dei redditi medi abbia reso l’alcol più accessibile: oggi, in media, i cittadini dei Paesi Ue possono acquistare il 76% in più di vino rispetto alla media di vent’anni fa. Su questo tema, purtroppo, noi c’entriamo poco perché, sebbene in termini di valore assoluto il reddito medio italiano sia aumentato, il potere d’acquisto ha mostrato una tendenza alla stagnazione o addirittura alla diminuzione rispetto al passato.

Per sostenere l’efficacia di politiche fiscali più incisive sugli alcolici, l’Oms ricorda l’esperienza del tabacco. Secondo i dati Ocse, un aumento del 10% del prezzo delle sigarette ha determinato una riduzione dei consumi tra il 4 e il 7% nei Paesi a reddito medio-alto. Nei soli Stati Uniti le vendite annuali di pacchetti di sigarette sono diminuite di circa il 27% tra il 2015 e il 2021, passando da 12,5 miliardi a 9,1 miliardi.

La tassazione, in questo caso, ha funzionato come leva per orientare i consumi e diminuire l’incidenza di patologie correlate. Anche per il vino — afferma il report — «accise basate sul contenuto di etanolo rappresentano lo strumento governativo più efficiente in termini di salute pubblica». In alternativa (o in aggiunta), si propone l’introduzione di un prezzo minimo per unità di alcol, per evitare che le bottiglie più economiche vengano vendute a prezzi troppo bassi.

A supporto della propria posizione, l’Organizzazione mondiale della sanità cita i sistemi di monopolio sugli alcolici di Finlandia, Norvegia, Svezia, Islanda e Isole Faroe, dove regolamentazione dei prezzi e controllo dell’accesso hanno contribuito a contenere i danni sanitari. Particolarmente significativo il caso della Lituania: dopo l’aumento delle accise nel 2017, il consumo pro capite di alcol è sceso del 7% in un anno, mentre le entrate fiscali derivanti da queste imposte sono aumentate del 27%.

Il settore vitivinicolo teme ricadute economiche e occupazionali

Se il punto di vista dell’Oms è chiaro, non mancano posizioni critiche. Il comparto vitivinicolo europeo, che rappresenta un patrimonio culturale ed economico di primaria importanza – specie in Paesi come Italia, Francia e Spagna – esprime preoccupazioni per gli effetti che una tassazione selettiva potrebbe generare.

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La filiera del vino occupa centinaia di migliaia di addetti tra produzione, distribuzione e turismo enogastronomico. Un incremento dei prezzi, in un momento in cui i dati sui consumi di vino registrano già una contrazione storica, rischierebbe di penalizzare le piccole aziende e i territori a vocazione vitivinicola, senza produrre necessariamente una significativa riduzione dei danni sanitari.

Di fronte alla proposta di introdurre o aumentare le accise sul vino, il settore vitivinicolo europeo ha espresso da tempo una posizione critica. L’ultimo report del World Wide Consumption, pubblicato circa un anno fa, ha raccolto quattro argomentazioni contrarie, oggi riprese sistematicamente per rispondere alle proposte dell’Oms, che da tempo alimentano il confronto:

  • Il vino è culturalmente e storicamente differente dagli altri alcolici. Le associazioni di categoria, come il Comitato Europeo delle Imprese del Vino (Ceev) e Confagricoltura, ribadiscono che il consumo moderato di vino fa parte della dieta mediterranea e della cultura alimentare tradizionale, e non può essere trattato al pari di superalcolici o tabacco.

  • I consumi di vino sono già in calo. Secondo gli ultimi dati Oiv (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), il consumo mondiale di vino è sceso nel 2023 ai livelli più bassi dal 1996. Nei Paesi Ue il trend è stabile o decrescente, rendendo quindi – secondo i produttori – inutile un aumento della pressione fiscale. Lo stesso discorso lo si può fare con i superalcolici, i cui consumi sono costantemente in calo fino ad arrivare ad alcuni paradossi intorno al globo: nel 2023 il Giappone ha avviato una campagna per incentivare il consumo di alcol, a causa del calo drastico che ha inciso negativamente sull’economia nazionale.

  • Aumentare le accise penalizzerebbe le piccole e medie imprese. In Italia, Francia e Spagna il tessuto produttivo è costituito in larga parte da aziende familiari e cooperative che rischierebbero, a detta delle sigle di categoria, una perdita di competitività sui mercati globali, specialmente rispetto ai Paesi extra Ue dove le accise sul vino sono nulle o contenute.

  • Si teme un effetto distorsivo sui mercati. Le associazioni prevedono il rischio di crescita del mercato illegale e di importazioni parallele di vino a basso prezzo da Paesi con tassazione più favorevole, come già avvenuto in passato nel caso del tabacco. Il rischio? Creare un nuovo proibizionismo, terreno fertile per l’illegalità.

Tra obiettivi di salute pubblica ed equilibrio economico

Il dibattito è aperto. Se da un lato la tassazione degli alcolici è tra le politiche a «rapido impatto e basso costo» raccomandate dalle organizzazioni per ridurre la diffusione delle malattie non trasmissibili, dall’altro l’efficacia di simili misure su un prodotto culturale come il vino richiede valutazioni più articolate, tenendo conto delle specificità economiche e sociali dei singoli Paesi.

In vista del prossimo vertice Onu sulle malattie non trasmissibili (si terrà dal 19 al 21 settembre 2025), la discussione promette di essere centrale per le politiche sanitarie e fiscali europee. Resta da capire se i governi saranno disposti a intervenire su un settore storicamente esente da imposte specifiche e strettamente legato all’identità agroalimentare e culturale del continente.

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