Manuel Trevisan, Benedetta Fullin e Salvatore Sodano

Perché da Local a Venezia si mangia così bene da volerci tornare subito

Dal 2022, l’arrivo di Salvatore Sodano ha confermato questa insegna a conduzione familiare come un simbolo di cucina innovativa e vibrante in Laguna.

Da qualche anno a questa parte, da un pass largo appena 40 centimetri escono alcuni tra i piatti più interessanti di Venezia. Si tratta della cucina di Local, ristorante aperto nel 2015 nel sestiere di Castello da Benedetta Fullin, quarta generazione di una famiglia di albergatori veneziani – ancora in attività con la deliziosa pensione Wildner vicino a piazza San Marco. Oggi la patronne è affiancata dal compagno Manuel Trevisan, bravo maître e sommelier, conosciuto a Londra. A valorizzare ulteriormente il percorso costruito in questi dieci anni nella ristorazione veneziana contemporanea, nel 2022 è arrivato Salvatore Sodano, chef campano classe 1985 che ha subito riconfermato la stella Michelin.

Una delle sale di Local a Venezia

A rinnovare questo legame lavorativo con la proprietà, a fine febbraio è arrivata l’apertura della Trattoria del Local, poco più avanti lungo la stessa calle: un’insegna dalla proposta più informale che vede Benedetta, Manuel e Salvatore uniti in società.

Chi è Salvatore Sodano

Come per il fratello Francesco, oggi chef stellato del ristorante Famiglia Rana sempre in Veneto, anche per Salvatore Sodano la cucina è una questione di famiglia. I genitori, entrambi professori all’alberghiero, hanno trasmesso ai due figli non solo il mestiere, ma soprattutto un’etica del lavoro rigorosa. «A casa mia la scuola alberghiera non era un ripiego, ma un percorso formativo serio. Ho imparato presto che in cucina non bastano le idee, servono metodo e disciplina», racconta Salvatore.

Dopo gli inizi a Napoli, Sodano costruisce un curriculum ricco, in equilibrio costante tra l’Italia e l’estero, principalmente Inghilterra e Stati Uniti. A Los Angeles, ad esempio, ha lavorato per diversi anni, gestendo la consulenza di un catering company di Cristina Bowerman. Quando è rientrato a Napoli, è il fratello Francesco – in quel momento in difficoltà con il personale – a chiedergli una mano a Londra: «Doveva essere per una settimana, è diventato un mese, poi due… E non sono più tornato negli USA».

Seguono tre anni intensi al Faro di Capo d’Orso, in Costiera Amalfitana, dove i fratelli lavorano fianco a fianco. «È stata una stagione meravigliosa dal punto di vista professionale e quel periodo ci ha legati ancora di più». Dopo quell’esperienza, Salvatore si sente pronto per mettersi in proprio: i due aprono insieme un progetto dedicato al panino a Pomigliano d’Arco (oggi chiuso), un locale piccolo ma dalla visione chiara, in equilibrio tra cucina e panificazione, grande passione di Salvatore che da Local esprime attraverso una pagnotta scura, impastata con poco più di una decina di farine, dal profumo intenso e una crosta croccante.

La brigata di cucina di Local

È in quel momento che arriva la proposta di Benedetta per Local: «Alcuni amici ci hanno messi in contatto. Lei cercava qualcuno per portare avanti il progetto del ristorante. Io cercavo un posto dove potermi esprimere». È il 2022, e da quel momento Sodano guida la cucina di Local. Ma il legame con il fratello resta fortissimo: «Quando lui cambia un menu, me lo racconta. Quando lo faccio io, ne parliamo. Ci sentiamo cinque o sei volte al giorno. Siamo fortunati: siamo una famiglia unita, e questo nel nostro mestiere è raro».

Cosa aspettarsi da Local a Venezia

Tra i segnali più evidenti di rottura con la ristorazione classica ci sono le scelte estetiche e di servizio: niente tovaglie, nessuna rigida mise en place, un’atmosfera che punta sulla naturalezza (volutamente non c’è musica affinché al tavolo si dialoghi come se si fosse tra calli e sestieri), ma sempre con una regia chiara. Il servizio è informale ma impeccabile, misurato nei toni, attento nei tempi, privo di sovrastrutture.

Selezione di tè proposta in abbinamento

I primi dettagli che si notano varcando la soglia di questo posto sono le murrine incastonate nel pavimento, che richiamano il terrazzo alla veneziana (un grande mosaico, ma senza fughe tra le tessere, ndr), la cucina a vista sulla sinistra dell’ingresso – affacciata direttamente sulla prima delle due sale – e il design in legno che avvolge i rilassanti ambienti color verde salvia, realizzati dall’artigiano veneto Remo Pasquini. Vengono da Murano anche i bicchieri in vetro soffiato a mano dal maestro Alberto Striulli, riconoscibili per la loro originale forma esagonale. Con questi Matteo Canu serve il Metodo Classico, prima di proporre un raffinato tea pairing, presentato perlopiù in calici da vino, per conferirgli la stessa dignità.

Dopo questo brindisi, comincia così uno dei due menu degustazione proposti da Sodano – sette o nove portate – che si apre con una sequenza di cichetti: dalla sfera di alghe con emulsione di ostrica da bere direttamente da una ciotolina, al cracker di cumino con foie gras, pecorino e tonno marinato e grattugiato; poi il taco con anatra, senape e cipolla rossa, e infine un canelé in versione salata con alghe e fegato di pesce.

Tra i piatti più complessi e interessanti c’è l’Elica con carciofi, rognoni ed erbe amare: proprio questa nota balsamica ritorna nella pasta in più sfumature. C’è la freschezza vegetale del tarassaco e quella più piena e terrosa del carciofo, lavorato in ogni sua parte: il gambo diventa un olio affumicato, le foglie un brodo ossidato usato per mantecare, il cuore, più tenero, viene tagliato a brunoise e cotto nello stesso brodo, con un risultato che ricorda il sapore intenso del carciofo arrosto. Il miso di limone – ottenuto con limone nero e altro maturato – aggiunge una nota agrumata, ormai arrotondata dal tempo (questa salsina ha circa due anni). Il tutto è accompagnato da un succulento jus di coniglio con i rognoncini scottati, per un equilibrio di contrasti che resta impresso. Entrato in menu a fine maggio, sembra già un classico.

Storytelling e carrelli

A precedere ogni portata, sul tavolo compaiono anche piccoli biglietti con annotazioni, ingredienti o suggestioni. Un gesto semplice ma accurato, che richiama lo storytelling discreto e calibrato che Sodano costruisce intorno all’esperienza gastronomica: il racconto non è mai didascalico né invadente, ma accompagna il cliente con garbo, lasciando che siano i piatti – e le sfumature narrative – a parlare.

Il carrello del formaggi

Uno dei più coinvolgenti è quello che introduce la selezione di formaggi, servita alla fine del percorso salato su uno dei carrelli di Local – il servizio al carrello è un punto di forza del ristorante e motivo d’orgoglio soprattutto per Manuel, che crede profondamente nella sala e nel valore della figura del cameriere. Su quella card si legge il nome di Sandro, ottantenne ed ex rappresentante farmaceutico oggi in pensione che, per passione, viaggia in tutta Italia alla ricerca di prelibatezze dei Presìdi Slow Food. Da non perdere l’Asiago stravecchio, il Parmigiano Reggiano 72 mesi e un formaggio di capra aromatizzato al pepe nero.

Anche i distillati vengono avvicinati al tavolo grazie a un traporto su quattro ruote ed è interessante lo studio sull’abbinamento al bicchiere che riesce a soddisfare anche chi è abituato a pasteggiare a cocktail o superalcolici che, in questo caso, valorizzano un’eccellenza veneta come Capovilla.

Da Local ogni piatto è raccontato in sala. Un gesto, una teatralità leggera che non scivola mai nel manierismo: «Non è un monologo. È un modo per far capire cosa c’è dietro. Se spendi 250 o 300 euro per una cena, è giusto che ti venga dato qualcosa in più di un impiattamento raffinato». È questa l’idea di “cucina narrativa” che Sodano porta avanti. Con passione ma anche con un sorriso: «Spiegare è dare strumenti. C’è gente che arriva qui senza un background gastronomico, ma con tanta curiosità. E allora tu devi essere pronto a costruire un ponte di dialogo».

Eliche abbinate ai carciofi

Nel suo mondo anche il dolce diventa un manifesto. L’ultima coccola, come la chiama lui, non è un dessert da manuale, ma un cono gelato fatto con latte nobile lucano (ne abbiamo parlato qui). «Il gelato è la mia ossessione. Dietro un gusto apparentemente semplice come la crema ci sono studi, bilanciamenti, prove. È come la panificazione: solo chi la pratica davvero capisce quanto sia complessa. Ma proprio per questo mi affascina. È una sfida costante, come tutto il resto».

La parola “divertimento” torna spesso, anche se declinata con prudenza. «Forse sì, ma non nel senso di uno show. Io voglio che il cliente stia bene, si rilassi, mangi bene, beva bene, sia servito bene. Tutto il resto viene da sé». E Venezia, con la sua bellezza unica, diventa non solo lo sfondo ma il laboratorio ideale: «Qui c’è gente che torna da New York, dal Sudafrica, dal Giappone solo per mangiare da noi. È una soddisfazione enorme. Ma la vera gratificazione è sapere che hanno trovato un posto dove si sentono accolti. Che non cambia maschera a seconda di chi entra. Local è questo. Ed è il motivo per cui ogni giorno apriamo quella porta con orgoglio».

«Etica, non solo sostenibilità»: la responsabilità quotidiana dello chef

Sodano non si sottrae a uno dei temi più caldi dell’alta ristorazione: quello della sostenibilità. Ma anche qui, il suo approccio è diretto, concreto, senza vezzi: «Io non parlo di sostenibilità, parlo di etica. Perché troppo spesso oggi si abusa del concetto senza capirne davvero il peso. La vera sostenibilità è far funzionare il ristorante ogni giorno, senza sprechi e senza compromessi sulla qualità».

Quello che colpisce nel suo racconto è la capacità di creare una filiera che non è solo corta, ma profondamente umana: «Il fornitore che non ho mai cambiato è High Quality Food, per la carne. Non mi interessa il prodotto a 50 centesimi in meno. Voglio capire da dove arriva, chi l’ha fatto, perché. I ragazzi della Clarice in Umbria non mi vendono semplicemente erbe aromatiche: mi propongono un bouquet costruito in esclusiva per un piatto. Hanno una sensibilità incredibile. Ecco, questo per me è ancora un altro tipo di lusso».  Proprio con loro ha costruito il profilo vegetale e organolettico dell’insalata di cetriolo che accompagna il pesce frollato (in questo periodo ha la ricciola).

Non è un caso che la sua riflessione si allarghi anche alla formazione delle nuove generazioni: «I cuochi devono imparare a non buttare nulla. Non perché fa tendenza, ma per una questione di rispetto. Per il prodotto, per chi lo ha coltivato o pescato, per chi lo mangerà. E anche per il ristorante stesso: siamo in un equilibrio delicato. Far quadrare tutto è già una rivoluzione silenziosa».

Maggiori informazioni

Ristorante Local
Località Castello 3303, 30122 Venezia
ristorantelocal.com

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